martedì 30 dicembre 2008

Benvenuti in Palestina!

Dal blog di Vittorio Arrigoni

Nell'aria acre odore di zolfo, nel cielo lampi intermezzano fragorosi boati. Ormai le mie orecchie sono sorde dalle esplosioni e i miei occhi aridi di lacrime dinnanzi ai cadaveri.
Mi trovo dinnanzi all'ospedale di Al Shifa, il principale di Gaza, ed è appena giunta la terribile minaccia che Israele avrebbe deciso di bombardare la nuova ala in costruzione. Non sarebbe una novità, ieri è stato bombardato l'ospedale Wea'm. Insieme ad un deposito di medicinali a Rafah, l'università islamica (distrutta), e diverse moschee sparse per tutta la striscia. Oltre a decine di installazioni CIVILI.
Pare che non trovando più obbiettivi "sensibili", l'aviazione e la marina militare si diletti nel bersagliare luoghi sacri, scuole e ospedali.
E' un 11 settembre ad ogni ora, ogni minuto, da queste parti, e il domani è sempre una nuovo giorno di lutto, sempre uguale.
Si avvertono gli elicotteri e gli aerei costantemente in volo, quando vedi il lampo, sei già spacciato, è troppo tardi per mettersi in salvo. Non ci sono bunker antibombe in tutta la Striscia, nessun posto è al sicuro.
Non riesco a contattare più amici a Rafah, neanche quelli che abitano a Nord di Gaza city, spero perchè le linee sono intasate. Ci spero.
Sono 60 ore che non chiudo occhio, come me, tutti i gazawi.
Ieri io e altri 3 compagni dell'ISM abbiamo trascorso tutta la nottata all'ospedale di al Awda del campo profughi di Jabalia. Ci siamo andati perchè temevamo la tanto paventata incursione di terra che poi non si è verificata.
Ma i carri armati israeliani stazionano pronti lungo il confine tutto il confine della Striscia, i loro cingoli affamati di corpi pare si metteranno in funerea marcia questa di notte.
Verso le 23:30 una bomba è precipitata a circa 800 metri dall'ospedale, l'onda d'urto a mandato in frammenti diversi vetri delle finestre, ferendo i feriti.
Un' ambulanza si è recata sul posto, hanno tirato giù una moschea, fortunatamente vuota a quell'ora. Sfortunatamente, anche se non di sfortuna ma di volontà criminale e terroristica di compiere stragi di civili, la bomba israeliana ha distrutto anche l'edificio adiacente alla moschea, distruggendolo.Abbiamo visto tirare fuori dalle macerie i corpicini di sei sorelline. 5 sono morte, una è gravissima. Hanno adagiato le bambine sull'asfalto cabonizzato, e sembravano bamboline rotte, buttate via perchè inservibili. Non è un errore, è volontario cinico orrore.
Siamo a quota 320 morti, più di un migliaio i feriti, secondo un dottore di Shifa il 60% è destinato a morire nelle prossime ore, nei prossimi giorni di una lunga agonia.
Decine sono i dispersi, negli ospedali donne disperate cercano i mariti, i figli, da due giorni, spesso invano.
Un infermiere mi ha detto che una donna palestinese dopo ore di ricerca fra i pezzi di cadaveri all'obitorio, ha riconosciuto suo marito da una mano amputata. Tutto quello che di suo marito è rimasto, e la fede ancora al dito dell'amore eterno che si erano ripromessi.
Di una casa abitata da due famiglie, è rimasto ben poco dei corpi umani. Ai parenti hanno mostrato un mezzo busto, e tre gambe.
Proprio in questo momento una delle nostre barche del Free Gaza Movement sta lasciando il porto di Larnaca in Cipro. Ho parlato coi miei amici a bordo. Eroici, hanno ammassato medicinali un pò in ogni dove sull'imbarcazione.
Dovrebbe approdare al porto di Gaza domani verso le 0800 am. Sempre che il porto esista ancora dopo quest'altra notte di costanti bombardamenti. Starò in contatto con loro tutto questo tempo.
Qualcuno fermi questo incubo. Rimanere in silenzio significa supportare il genocidio in corso. Urlate la vostra indignazione, in ogni capitale del mondo "civile", in ogni città, in ogni piazza, sovrastate le nostre urla di dolore e terrore. C'è una parte di umanità che sta morendo in pietoso ascolto.

Aggiornamento:
La marina israeliana sta ora impedendo alla Dignity di approdare a Gaza e pretende che l’imbarcazione torni a Cipro (anche se il carburante a bordo è insufficiente). Stanno sparando… non solo i medicinali, ma anche i 15 civili internazionali a bordo sono in serio pericolo.

domenica 28 dicembre 2008

Gaza: fermiamo la guerra. Subito

27 dicembre 2008 da Ramallah

di Paolo Ferrero e Fabio Amato

La notizia dell’inizio dell’attacco israeliano a Gaza ci arriva mentre salutiamo Mustafà Barghouti, l’ultimo in ordine di tempo di una serie di incontri con i leaders di tutte le forze della sinistra palestinese. Ci aveva appena raccontato della drammatica situazione che aveva visto poche settimane prima, quando era riuscito ad aggirare il blocco della striscia, arrivando via mare, da Larnaca, a Gaza.
Una situazione disumana, con condizioni di vita sempre più misere. Più di un milione di persone senza cibo, medicinali, elettricità, acqua. Questa è la Gaza che viene bombardata indiscriminatamente dall’ esercito israeliano. Questa è la Gaza che subisce una rappresaglia di violenza inaudita, sproporzionata e completamente ingiustificata, per la rottura del cessate il fuoco e l’irresponsabile lancio di missili qassam da parte di Hamas. Mesi di privazioni iniziate con la vittoria del movimento islamico nelle elezioni parlamentari del 2006 e che hanno visto solo peggiorare giorno dopo giorno la situazione. Due anni di blocco e assedio.
Le tv arabe rimandano in tutti i territori e in tutto il mondo le immagini di quella che è stata annunciata dall’esercito israeliano e accreditata dai suoi più accondiscendenti alleati - a partire dagli USA e dal governo italiano - come un operazione chirurgica. Al contrario, un massacro. Centinaia di corpi, di donne e uomini, di bambini, ricoperti di sangue, trasportati negli ospedali in cui manca di tutto. Sono queste immagini a scatenare la rabbia dei ragazzi di Qalandia, Ramallah, di Hebron, come di Jenin, che subito riempiono le strade o sfidano i soldati israeliani con il lancio di pietre e fionde. Li abbiamo visti al Check point di Qalandia, accucciati dietro ad un terrapieni a tirare pietre mentre i soldati israeliani semplicemente sparavano con il fucile. E non sparavano lacrimogeni. Nessuno si aspettava un attacco cosi repentino. Si stava ancora cercando di far ripartire canali politico negoziali quando il giorno di Natale abbiamo incontrato Abu Mazen ci aveva preannunciato la sua visita odierna in Arabia Saudita per tentare la ripresa di un canale diplomatico, sia con Israele che con Hamas. L’attacco degli aerei israeliani è stato sferrato mentre Abu Mazen era in volo, a segnare ancora di più quell’impotenza dell’autorità nazionale palestinese che uscirà da questa vicenda ancora più indebolita.
Perché in realtà la situazione è paradossalmente ancora più grave di quella che si possa immaginare guardando le immagine delle centinaia di morti di Gaza. Il problema vero è che oggi in Palestina non ci troviamo di fronte ad un processo di pace interrotto o che procede a rilento. Ci troviamo di fronte alla costruzione concreta di un regime di apartheid, che strutturalmente rende impossibile la realizzazione di quanto stabilito dagli accordi e cioè la costruzione di due stati per due popoli. La costruzione dell’apartheid non è dichiarata ma praticata e la costruzione del muro – meglio sarebbe dire dei muri – costituisce la sua affermazione concreta. Oggi in medio oriente non abbiamo un territorio palestinese e uno israeliano ma bensì un territorio israeliano che si espande progressivamente con nuovi insediamenti di “coloni” che vengono difesi dalla polizia e dall’esercito israeliano e uniti da strade che sono utilizzabili solo da auto con targa israeliana. Parallelamente i chek point rendono gli spostamenti dei palestinesi dei calvari interminabili, senza contare che i varchi nel muro, possono essere chiusi in ogni momento. I diritti dei palestinesi semplicemente non esistono perché possono essere sospesi in ogni momento, in ogni luogo, per qualsiasi motivo, dalle forze dell’ordine.
Come ci ha detto un pastore luterano incontrato a Betlemme, la Palestina sembra ad una fetta di gruviera, dove Israele ha il formaggio e i palestinesi i buchi. Questa condizione che caratterizza la situazione degli ultimi anni è oggi aggravata da due elementi.
Da un lato la campagna elettorale israeliana. Per paura che le forze della destra aumentino i consensi, le forze di governo hanno nei fatti cominciato la campagna elettorale attaccando Gaza. Mettere i palestinesi in una condizione ancora peggiore è il vero motivo su cui si giocheranno – in nome della sicurezza – due mesi di campagna elettorale.
In secondo luogo il cambio della leadership statunitense, con i fratelli mussulmani di cui fa parte Hamas – e con l’appoggio dell’Iran - che hanno tutta l’intenzione di accreditarsi come vero interlocutore con cui dover scendere a patti da parte degli USA.
E’ quindi tutto il processo di pace e la possibilità di costruire due stati per due popoli che viene bombardato a Gaza.
Per questo è necessario che un aiuto immediato venga dall’esterno. Occorre lavorare da subito e mobilitarsi per richiedere la fine dell’aggressione a Gaza e la fine dell’operazione militare che negli annunci dell’esercito israeliano dovrebbe durare vari giorni ed estendersi ulteriormente. Dobbiamo chiedere che il governo italiano e l’Europa chiedano con nettezza la fine incondizionata dell’aggressione da parte israeliana. Si riunisca d urgenza il consiglio generale delle Nazioni Unite. Occorre chiedere che queste non si accodino, come da troppo tempo succede, a quanto sosterranno gli Stati Uniti, o - peggio ancora, - si producano in vuote dichiarazioni di buon senso a cui non seguirà nulla.
Il silenzio sul boicottaggio continuo, quotidiano degli accordi di pace, diventa complicità e questa complicità deve essere d enunciata per poter essere fermata.
I ragazzi palestinesi sono scesi in piazza oggi spontaneamente rischiando la vita. Domani (oggi per chi legge) è stato proclamato uno sciopero generale dei territori. Facciamo sentire la nostra voce anche noi, che non rischiamo nulla, per denunciare l’aggressione e per chiedere la fine immediata di ogni azione militare. Perché è con la politica e non con i missili che si può costruire la pace in medio oriente.

sabato 27 dicembre 2008

Testamento biologico: io ho detto si

Alcuni giorni fa ho trovato sul blog di Barone Birra la possibilità di firmare un appello per il diritto alla libertà di cura.
Ovviamente, l'ho fatto immediatamente perchè credo che in materie come questa ognuno debba avere il diritto di poter scegliere secondo la propria coscienza.
In seguito ho ricevuto l'e-mail che segue:

"Carissima/o,
grazie per la tua adesione all'appello per il diritto alla libertà di cura sul sito www.appellotestamentobiologico.it, e grazie perché, anche con il tuo contributo, abbiamo già raggiunto oltre 27.000 firme!
Ho voluto promuovere questa iniziativa perché sono convinto che il paese su molte questioni sia più avanti del Parlamento. In questi anni ho girato l'Italia da Nord a Sud, e la maggior parte delle persone che incontravo mi ripeteva sempre lo stesso concetto: vogliamo essere liberi di scegliere. Per questo, mi sono impegnato con tutto me stesso per far approvare una legge sul testamento biologico, che garantisca il diritto costituzionale per tutti i cittadini alla libertà di cura.
Tuttavia esiste il rischio che il Parlamento voti una legge che impone determinati trattamenti terapeutici, ignorando il diritto alla libertà di scelta. Perciò ti chiedo un ulteriore sforzo per questa importantissima causa: ti chiedo di diffondere il più possibile l'appello, invitando tutti i tuoi contatti a sottoscriverlo. Se riusciremo a raccogliere centinaia di migliaia di adesioni, il Parlamento dovrà ascoltare la nostra opinione, che credo coincida con quella della maggioranza degli italiani. Il paese reale ha le idee chiare sulle questioni della fine della vita: tutti i cittadini ritengono che la decisione debba essere personale, che vogliano utilizzare ogni risorsa della medicina o che intendano accettare la fine naturale della vita.
Ti ringrazio infinitamente e conto su di te per far circolare il più possibile l'appello,

Ignazio Marino

Per firmare la petizione si può andare qui

lunedì 22 dicembre 2008

Abiura di una cristiana laica

di Roberta de Monticelli

Questo è un addio. A molti cari amici - in quanto cattolici. Non in quanto amici, e del resto sarebbe un fatto privato. E' un addio a qualunque collaborazione che abbia una diretta o indiretta relazione alla chiesa cattolica italiana, un addio anche accorato a tutti i religiosi cui debbo gratitudine profonda per avermi fatto conoscere uno dei fondamenti della vita spirituale, e la bellezza. La bellezza delle loro anime e quella dei loro monasteri - la più bella, la più ricca, e oggi, purtroppo, la più deserta eredità del cattolicesimo italiano. O diciamo meglio del nostro cristianesimo. L'eredità di Benedetto, di Pier Damiani, di Francesco, dei sette nobili padri cortesi che fondarono la comunità dei Servi di Maria, di tanti altri uomini e donne che furono "contenti nei pensier contemplativi". E anche l'eredità di mistici di altre lingue e radici, l'eredità, tanto preziosa ai filosofi, di una Edith Stein, carmelitana che si scalzò sulle tracce della grande Teresa d'Avila.
Questo addio interessa a ben poche persone, e come tale non meriterebbe di esser detto in pubblico. Ma se oggi scrivo queste parole non è certo perché io creda che il gesto o la sua autrice abbiano la minima importanza reale o morale: bensì per un senso del dovere ormai doloroso e bruciante. Basta. La dichiarazione, riportata oggi su "Repubblica", di Mons. Betori, segretario uscente della Cei, e "con il pieno consenso del presidente Bagnasco", secondo la quale, per quanto riguarda la fine della propria vita, alla volontà del malato va prestata attenzione, ma "la decisione non deve spettare alla persona", è davvero di quelle che non possono più essere né ignorate né, purtroppo, intese diversamente da quello che nella loro cruda chiarezza dicono.
E allora ecco: questa dichiarazione è la più tremenda, la più diabolica negazione di esistenza della possibilità stessa di ogni morale: la coscienza, e la sua libertà. La sua libertà: di credere e di non credere (e che valore mai potrebbe avere una fede se uno non fosse libero di accoglierla o no?), di dare la propria vita, o non darla, di accettare lo strazio, l'umiliazione del non esser più che cosa in mano altrui, o di volerne essere risparmiato. Sì, anche di affermare con fierezza la propria dignità, anche per quando non si potrà più farlo. E' la possibilità di questa scelta che carica di valore la scelta contraria, quella dell'umiltà e dell'abbandono in altre mani. Ma siamo più chiari: quella che Betori nega è la libertà ultima di essere una persona, perché una persona, sant'Agostino ci insegna, è responsabile ultima della propria morte, come lo è della propria vita. Fallibile, e moralmente fallibile, è certo ogni uomo. Ma vogliamo negare che, anche con questo rischio, ultimo giudice in materia di coscienza morale sia la coscienza morale stessa? Attenzione: non stiamo parlando di diritto, stiamo parlando di morale. Il diritto infatti è fatto non per sostituirsi alla coscienza morale della persona, ma per permettergli di esercitarla nei limiti in cui questo esercizio non è lesivo di altri. Su questo si basano ad esempio i principi costituzionali che garantiscono la libertà religiosa, politica, di opinione e di espressione.
Oppure ci sono questioni morali che non sono "di competenza" della coscienza di ciascuna persona? Quale autorità ultima è dunque "più ultima" di quella della coscienza? Quella dei medici? Quella di mons. Betori? Quella del papa? E su cosa si fonda ogni autorità, se non sulla sua coscienza? Possiamo forse tornare indietro rispetto alla nostra maggiore età morale, cioè al principio che non riconosce a nessuna istituzione come tale un'autorità morale sopra la propria coscienza e i propri più vagliati sentimenti? C'è ancora qualcuno che ancora pretenda sia degna del nome di morale una scelta fondata sull'autorità e non nell'intimità della propria coscienza? "Non siamo per il principio di autodeterminazione", dichiara mons. Betori, e lo dichiara a nome della chiesa italiana. Ma si rende conto, Monsignore, di quello che dice? Amici, ve ne rendete conto? E' possibile essere complici di questo nichilismo? Questa complicità sarebbe ormai - lo dico con dolore - infamia.

da www.ilfoglio.it 4 ottobre 2008

venerdì 19 dicembre 2008

Piovono premi...

Mentre fuori è piovuto a catinelle, sul blog sono piovuti premi!
Ringrazio Chit, Flo, Giangidoe, Tisbe, Elena e Zefirina che mi hanno insignito del premio Dardos.
La motivazione dell'assegnazione del premio che viene assegnato ai ”blog che hanno dimostrato impegno nel trasmettere valori culturali, etici, letterari o personali“, non può non fare piacere.

Ringrazio davvero tutti, ma come è mio solito non continuo la catena, limitandomi a sottolineare che ritengo degnissimi di questo premio tutti quelli che sono nei miei link...

venerdì 12 dicembre 2008

La strage impunita

Milano, 12 dicembre ... cronaca di una strage annunciata
di Paola Ceretta

Un articolo del 2004 con ancora tutta la sua tragica attualità...

Arnoldi Giovanni
China Giulio
Corsini Eugenio
Dendena Pietro
Gaiani Carlo
Galatioto Calogero
Garavaglia Carlo
Gerli Paolo
Mocchi Vittorio
Meloni Luigi
Papetti Gerolamo
Pasi Mario
Perego Carlo
Sangalli Oreste
Scaglia Angelo
Silva Carlo
Vare Attilio

e Giuseppe Pinelli

è il macabro appello che si può fare ogni volta che si attraversa Piazza Fontana, in centro a Milano. Sono lì dal 1969. Io non ero ancora nata ma ogni anno, tra il 12 e 16 dicembre mi assalgono la voglia di sapere, di capire e … tanta rabbia: manca la memoria, mancano i colpevoli. O meglio, dei colpevoli si sa nome e cognome, ma continuano a condurre una vita tranquilla, da liberi cittadini. Più o meno tutti sanno cosa accadde in quei giorni, pochi vogliono ricordare. Perché si fa fatica, perché fa paura, perché è meglio pensare a comperare i regali di Natale e stare allegri, perché il passato è passato e viviamo in una nuova era dove le stragi ci arrivano per televisione, restando lontane. Ma chi ha provato e prova dolore, ricorda, oggi più di ieri.
Passiamo ai fatti: nel 1969 come nel 2004, il 12 dicembre, Milano è un gigantesco panettone scintillante e infiocchettato. Si respira aria di festa. Addobbi rosso e oro, vetrine tirate a lucido. Allora come oggi si sta attenti al portafogli ma un pacchetto sotto l’albero fa piacere a tutti. Nel 1969, il 12 dicembre cade di venerdì. Gli uffici chiudono un po’ prima, sabato non si lavora: quale migliore occasione per darsi allo shopping natalizio. Metà pomeriggio. Corso Vittorio Emanuele, Piazza Duomo e le vie adiacenti sono gremite di gente. Alla Statale c’è ancora lezione. Le banche sono già chiuse. In Piazza Fontana, la Banca Nazionale dell’agricoltura è ancora aperta. E’ la banca degli agricoltori e il venerdì c’è il mercato provinciale. Quasi tutti arrivano da fuori Milano. Sono tanti. Qualcuno si è portato il figlio, qualcun altro il nipotino. Più o meno a quell’ora il ferroviere Giuseppe Pinelli, di fede anarchica, ha finito il turno e si reca in un bar sui navigli dov’è di casa.
Sono le 16.25. Nel cuore sereno e spensierato di Milano si apre un buco nero che non si richiuderà mai più. Qualcuno ha "dimenticato" due valigette di pelle sotto il tavolo centrale della Banca Nazionale dell’agricoltura. Cinque minuti prima della chiusura, prevista per le 16.30, esplodono: 15 morti, 90 feriti di cui 3 gravissimi. Due moriranno dopo pochi giorni e un ragazzino perderà le gambe. In mezzo alle luci e ai colori del Natale, si consuma una scena raccapricciante: gli occhi sbarrati per la paura e l’orrore di chi si è salvato, i corpi straziati e il sangue di chi non ce l’ha fatta, macerie e cristalli in frantumi tutt’intorno. E un intenso odore di mandorle amare. Increduli si affacciano alcuni passanti. Chi era da quelle parti, chi ha visto la banca tremare, chi ha sentito un boato assordante. Un dipendente dell’Ente Nazionale Risi, che all’epoca aveva gli uffici in quel palazzo, apre la finestra che dà sulla cupola della banca per vedere cos’è tutto quel fracasso. Rimarrà sotto shock per un mese. Gli studenti della Statale si precipitano sul posto, vogliono sapere, vogliono capire. I primi soccorritori non hanno parole per descrivere quello che vedono. Anche le forze dell’ordine ammutoliscono. Le ambulanze arrivano all’ospedale Fatebenefratelli con le ruote sporche di sangue. Cos’è successo? Perché?
In quei momenti tanto drammatici quanto concitati, il ferroviere Giuseppe Pinelli, di fede anarchica, se ne sta tranquillo a giocare a carte al bar sui navigli dov’è di casa, ignaro di tutto.
Le prime indiscrezioni danno la colpa a una caldaia difettosa. Prima di sera si conosce già la verità: hanno messo una bomba.
Si susseguono giorni bui. Famiglie costrette al dolore e alla disperazione. La mattina dei funerali anche il cielo è scuro scuro. Milano piange i suoi morti. E saranno ancora tante le lacrime che dovrà versare e molti i cadaveri da seppellire. La scia di sangue, appena accennata, è ancora lunga da percorrere. Piazza Fontana, la madre di tutte le stragi. Una strage annunciata dalle bombe sui treni e alla fiera di Milano nell’aprile dello stesso anno. Più avanti nel tempo, in piazza, uno slogan la definirà una strage di Stato.
Cosa è successo? Chi è stato? Perché? Nessuno sa darsi una risposta, così, su due piedi. Ma qualcuno sa, è ovvio. In serata, in questura, hanno già una pista certa: sono stati gli anarchici. E si lavora per fabbricare il mostro da dare in pasto alla stampa e all’indignazione popolare: il ballerino Pietro Valpreda, naturalmente di fede anarchica. Al momento dell’attentato era a casa della nonna, a letto con l’influenza. Un testimone, Rolandi, che poco tempo dopo morirà in circostanze misteriose, giura di averlo accompagnato sul luogo del massacro, col suo taxi. Resterà in carcere fino al 1972. Sarà varata persino una legge che porta il suo nome. Assolto. L’unico che si è meritato tale verdetto perché realmente estraneo ai fatti.
Se passare degli anni in carcere sapendo di essere innocenti è un destino infame, per il ferroviere Giuseppe Pinelli è in agguato una tragedia ancora peggiore. Invitato dall’allora commissario della sezione politica Calabresi a seguirlo in Questura a bordo della propria bicicletta per una chiacchierata informale, non farà più ritorno a casa. Trattenuto per più di 24 ore senza notifica di un qualsiasi stato di fermo, senza nessun contatto con la famiglia tranne una breve telefonata alla moglie, accusato e minacciato più volte dalle forze dell’ordine di essere parte attiva nell’orrenda strage, cade "accidentalmente" dalla finestra del quarto piano della Questura di Milano, precipitando nel cortile sottostante. E’ la notte tra il 15 e il 16 dicembre. E’ scoccata da poco la mezzanotte. In fin di vita viene trasportato all’ospedale Fatebenefratelli. La moglie Licia viene a sapere dell’ "incidente" occorso al marito, per caso, da un giornalista che bussa alla sua porta. E’ l’una di notte. Si mette in contatto con il commissario Calabresi. Perché non è stata avvisata. Le viene risposto che in quegli uffici sono molto impegnati. Licia si precipita in ospedale con la suocera. Il marito, forse, respira ancora ma non le è concesso di vederlo. Spirerà nella notte.
Omicidio? Suicidio? Le ipotesi e le testimonianze sono confuse. Si è suicidato per il rimorso. Si sentiva soffocare, si è avvicinato alla finestra per respirare un po’ d’aria, si è sentito male ed è caduto di sotto. Gli agenti presenti (chi dice 4, pare fossero 5, Calabresi era in un’altra stanza) si sono prodigati per trattenerlo. Lo sforzo è stato tale che a uno gli è rimasta in mano una scarpa. Come mai, quando l’hanno raccolto dal selciato, le aveva entrambe ai piedi? Come mai, a Milano, in pieno inverno, di sera tardi, la finestra era aperta? Si apre un’inchiesta, si celebra un processo, da Milano a Catanzaro. Verdetto: morte accidentale per malore attivo. Nessun colpevole. In molti credono all’omicidio. Mi domando: se avesse visto qualcosa che non doveva vedere? Se avesse sentito qualcosa che non doveva sentire? Se avesse visto qualcuno che non doveva essere lì? Sarebbe stato un testimone troppo scomodo. Un testimone da eliminare. Anche il ferroviere Giuseppe Pinelli, di fede anarchica, ha una lapide commemorativa, in un’aiuola in Piazza Fontana, accanto a quella che riporta i nomi delle 17 vittime della strage alla Banca Nazionale dell’agricoltura.

12 dicembre 2004. Domenica. Milano è più luminosa che mai. Vestita a festa: l’altissimo albero di Natale in Piazza Duomo, le bancarelle con i dolci in Piazza Mercanti, lo stand con il presepe in Corso Vittorio Emanuele. Zampognari e Babbo Natale. Oggi come allora gli addobbi sono rossi e oro ma molti, molti di più anche se, oggi come allora, si sta attenti al portafogli. I negozi sono aperti. Le vetrine incantano: una più fastosa dell’altra. C’è gente dappertutto. Un gran vociare. I bambini con lo zucchero filato.
In Piazza Fontana si raduna una piccola folla commossa. Il silenzio è forte, compatto ma l’eco dell’orrore che quel giorno invase la città pesa sulla piazza, lo si respira distintamente. Negli stessi locali in cui avvenne l’esplosione, ora, ha sede la Banca Antonveneta ma l’insegna BANCA NAZIONALE DELL’AGRICOLTURA è ancora lì, a lettere cubitali, illuminate al neon, come una macabra decorazione natalizia, un monito, forse, per chi passa distratto da quelle parti. H.16.25. Un nugolo di persone, le autorità e alcuni parenti delle vittime, si raccolgono davanti alla lapide commemorativa. Le forze dell’ordine depongono corone di fiori alle pareti dell’edificio. La tromba della banda cittadina intona il Silenzio. I gonfaloni dei comuni intervenuti si alzano, insieme agli striscioni. Un minuto di puro semplice intenso silenzio mentre, tutt’intorno, Milano si muove convulsa ma sembra così lontana. L’emozione si scioglie in un applauso. L’attenzione si sposta verso il piccolo palco allestito per l’immancabile intervento delle autorità. A rompere il ghiaccio è il presidente dell’Associazione parenti delle vittime: con un filo di voce ripercorre i fatti, soffermandosi sull’incredibile iter giudiziario che ha portato a celebrare diversi processi in giro per l’Italia. Sconcertato e indignato ribadisce che dopo 35 anni nessuno ha ancora pagato e forse nessuno pagherà mai. Segue Aniasi, all’epoca sindaco di Milano. Il ricordo di quella visione agghiacciante, giunto sul posto poco dopo l’attentato, lo perseguita ancora oggi. Ancora la solita domanda: chi è il colpevole? Ancora la solita risposta: nessuno. Si susseguono altre autorità. Con retorica si parla di verità storica, di memoria, di mancanza di giustizia. Io lo definirei fallimento… Il presidente della provincia Penati si congratula per la presenza numerosa, soprattutto di facce giovani… Veramente siamo in pochi, i giovani, poi, si contano a fatica, forse perché è domenica, forse perché c’è il ponte di S.Ambrogio, forse perché ogni anno siamo sempre meno. Un papà, accanto a me, tiene in braccio un bimbo che non avrà più di tre anni. Gli racconta cosa è successo, come fosse una favola nera: lì dentro, indicando le vetrine della Banca Antonveneta, tanti anni fa c’erano tante persone che si sono fatte tanto male. Il bimbo, curioso, fa domande, vuole sapere... L’ultima voce è quella della figlia di una delle vittime. Anche lei sottolinea i 35 lunghi anni trascorsi senza risposte, gli estenuanti processi di cui non ha perso una seduta, inseguendoli per tutta Italia. Ha una parola per i morti, per i feriti e per coloro che non si sono risparmiati nel cercare il senso di quella carneficina, di cercare la verità. Conclude, arrabbiata, ricordando che molti orfani come lei si sono dovuti reinventare una vita consapevoli che il loro dolore non poteva restare privato.
Mi rimbombano in testa le parole di Aniasi: il ricordo che lo perseguita. Penso che la strage di Piazza Fontana e la morte di Pinelli debbano perseguitare tutti noi, dandoci la possibilità di fermarci a riflettere per riappropriarci di una memoria già nostra e troppo spesso assopita, per darle spessore in una città che per antonomasia va di fretta, accelerando sempre di più verso un futuro che tocca di striscio il presente e non ha tempo di pensare al passato. Piazza Fontana e la morte di Pinelli sono due ferite profonde che dobbiamo continuare a tenere aperte perché, per quanto mi riguarda, è lì che bisogna scavare per capire che senso ha una verità storica che dopo 35 anni fa nomi e cognomi ma se ci si domanda, chi sono i colpevoli?, non si può far altro che rispondere: nessuno.

giovedì 11 dicembre 2008

In piazza per i diritti

La paura e l'insicurezza non sono più in cima alle preoccupazioni dei cittadini. La ragione non è dovuta alla diminuzione dei reati (già il Sole 24 Ore segnalava in agosto il decremento cominciato nel giugno del 2007 prima del governo Berlusconi), ma perché la macchina goebbelsiana della propaganda televisiva, in particolare dei Tg Mediaset e Tg1 Rai si è fermata.
Parola di Ilvo Diamanti su Repubblica (23/11).


Finalmente si scopre che la cosiddetta «percezione di insicurezza» dei cittadini, il convitato di pietra della politica, è un'arma caricata a comando. Così come è avvenuto con la campagna mediatica di mistificazione contro l'indulto.
Nonostante questa novità il Senato sta preparando per Natale un regalo avvelenato, l'ennesimo pacchetto sicurezza. A leggere i 55 articoli del disegno di legge si rimane sconvolti per l'insieme caotico di misure che calpestano diritti umani, Costituzione, principi elementari di ragionevolezza con l'unico risultato di distruggere la già dissestata macchina della giustizia e di far esplodere le carceri già oltre il limite di sopportabilità.
Ma quel che lascia sgomenti è l'acquiescenza con cui si accetta da parte di intellettuali, mass media e movimenti che si faccia strage del diritto e della legalità. Le campagne securitarie hanno raggiunto un risultato davvero eccezionale: l'assuefazione a ripetuti e ossessivi interventi che costruiscono un nuovo sistema che è stato efficacemente definito come populismo penale.
Il catalogo degli orrori spazia dai problemi del «decoro» urbano alla mafia. Così si prevedono sanzioni non inferiori a 500 euro per chi insozzi le pubbliche vie e l'indurimento del regime penitenziario del 41 bis e la riapertura delle carceri speciali di Pianosa e dell'Asinara (mentre Obama chiuderà Guantanamo!). Si monetizza il rinnovo del permesso di soggiorno con una tassa di 200 euro. Si prevede la reclusione fino a tre anni per chi usa i minori per l'accattonaggio e la decadenza dall'esercizio della potestà genitoriale. L'ingresso e il soggiorno illegale nel territorio dello Stato viene sanzionato con l'arresto e l'ammenda sino a 10.000 euro e la permanenza nei centri di identificazione viene estesa fino a diciotto mesi. Infine si prevede l'istituzione un registro presso il ministero dell'Interno per le persone senza fissa dimora e di ronde private per attività di presidio del territorio.
Siamo di fronte alla «galera sociale»: così il senatore Vito Carofiglio nel corso della discussione a Palazzo Madama ha magistralmente definito questo coacervo di norme intrise di demagogia. Qualcuno/a penserà che queste misure non siano per lui o per lei: hanno di mira gli immigrati, i poveri, la criminalità organizzata, dunque non sono preoccupanti. In realtà, quando si stravolgono i principi fondamentali di uguaglianza, la deriva autoritaria e razzista è destinata a non fermarsi e a coinvolgere sempre più soggetti fino a colpire tutta la società. La madre delle emergenze è sempre incinta. Dalla droga al terrorismo, dagli zingari alle prostitute, dai matti ai writers c'è sempre una guerra da combattere. Alla fine arriva anche il tempo per chi in politica la pensa diversamente.
La banalità del regime è tutta qui, nell'incedere lento ma inesorabile con cui conquista le coscienze e il senso comune. Lo sciopero del 12 dicembre può essere l'occasione per rompere le catene, urlare per il rispetto dei diritti e conquistare una diversa egemonia. Chiediamo troppo?

Il Manifesto 30 novembre 2008

martedì 9 dicembre 2008

Sempre più avanti...

Pur di salvare la sacra famiglia, il Vaticano manda a morte gli omosessuali

di Romina Velchi - su "Liberazione" del 02/12/2008

Pur di salvare la sacra famiglia, il Vaticano manda a morte gli omosessuali. E non è un'esagerazione. Messi di fronte alla scelta, da Oltretevere non hanno dubbi: sull'altare (è il caso di dire) devono essere sacrificati i gay.
Riepiloghiamo. La Francia, a nome dei 27 paesi europei, si è fatta promotrice di una iniziativa (sottoscritta, per altro, anche dall'Italia) per chiedere all'Onu, in occasione dei sessant'anni della dichiarazione dei diritti umani (il prossimo 10 dicembre), la «depenalizzazione universale dell'omosessualità». Com'è noto, esistono ancora molti paesi (per la precisione 91) nei quali i rapporti omosessuali non solo sono reato (con annessi sanzioni, torture e carcere), ma sono puniti persino con la pena capitale. Cioè con la morte (una decina di stati islamici). Ebbene, il Vaticano che fa? Si schiera contro per paura che l'iniziativa europea sia l'anticamera (pure in Italia) del "matrimonio" tra persone dello stesso sesso. Proprio così. Parola di monsignor Celestino Migliore, nientemeno che rappresentante della Santa Sede alle Nazioni Unite a New York.
«Tutto ciò che va in favore del rispetto e della tutela delle persone fa parte del nostro patrimonio umano e spirituale - premette l'alto prelato in un'intervista all'agenzia francofona I.Media - Ma qui la questione è un'altra. Con una dichiarazione di valore politico, sottoscritta da un gruppo di paesi, si chiede agli stati ed ai meccanismi internazionali di attuazione e controllo dei diritti umani di aggiungere nuove categorie protette dalla discriminazione, senza tenere conto che, se adottate, esse creeranno nuove e implacabili discriminazioni». E sarebbe? «Per esempio - spiega il monsignore, che ha anche definito una «barbarie» la proposta di inserire l'aborto tra i diritti universali dell'uomo - gli stati che non riconoscono l'unione tra persone dello stesso sesso come "matrimonio" verranno messi alla gogna e fatti oggetto di pressioni».
«Dichiarazioni gravissime», stigmatizza il segretario del Prc, Paolo Ferrero. Anche perché, a ben vedere, qui l'unico che fa «pressioni» (ma sarebbe meglio dire lobbing) è proprio il Vaticano, che oltretutto non aderisce all'Onu, non avendo firmato la dichiarazione dei diritti umani. Così, nel tentativo di fermare l'iniziativa europea, il Vaticano sferra il suo attacco, senza nemmeno rendersi conto di finire, di fatto, dalla parte di quelli che l'omosessualità la criminalizzano. Un «condono per chi discrimina», come osservano i Radicali.
E' una «situazione grottesca», commenta tra i primi Franco Grillini, ex deputato Ds e presidente di Gaynet, «quella di uno stato teocratico e autoritario che in qualità di osservatore alle Nazioni Unite, lavora costantemente per negare quei diritti umani riconosciuti in tutto l'Occidente. E' bene che la Francia e l'Europa procedano ignorando le assurdità vaticane». Ma è da tutto il mondo gay che arrivano dure parole di condanna della incomprensibile posizione vaticana. Per Imma Battaglia «la barbarie e la gogna vengono dal Vaticano» mentre per l'Arcigay «la lobby clericale preme su tutti gli stati affinché non siano di volta in volta riconosciuti diritti civili e di libertà, alleandosi con i regimi dittatoriali, di ogni colore, compresi quelli islamici».
Si schiera anche il mondo politico. «Sono del tutto ingiustificati i timori avanzati» osserva per esempio Benedetto Della Vedova (Pdl), perché chiedere la depenalizzazione dell'omosessualità non equivale «ad esigere un riconoscimento delle "famiglie omosessuali", bensì a denunciare, a chiare lettere, la pratica barbara della discriminazione, della persecuzione». La posizione del Vaticano «confonde i piani della discussione» anche secondo Paola Concia (Pd), mentre l'europarlamentare del Prc, Vittorio Agnoletto, si aspetta che «l'Ue e l'Italia presentino proteste formali al Vaticano», visto che le affermazioni di monsignor Migliore sono «in netto contrasto con i principi più volte espressi dall'Europa». Agnoletto, inoltre, chiederà che la rappresentanza vaticana sia convocata dalla commissione sui diritti umani, come avviene periodicamente con i «rappresentanti degli stati con i quali l'Ue ha relazioni diplomatiche e nei quali non vengono rispettati quei diritti ritenuti fondamentali». Infine, secondo Margherita Boniver (Pdl, presidente del comitato Schengen) «allarma l'anacronistica posizione del Vaticano», anche in considerazione del fatto che «il progetto di dichiarazione che la Francia, a nome dell'intera Unione Europea, intende presentare all'Onu è stato oggetto di approvazione da parte di tutti i 27 governi europei». E dunque, appoggiarlo, osserva Barbara Pollastrini (Pd) «è un atto di coerenza».
Un mare di critiche, dalle quali, in serata, il Vaticano si è "difeso" confermando ogni virgola delle parole di monsignor Migliore. Secondo padre Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, infatti, «nessuno vuole difendere la pena di morte per gli omosessuali», ma la Santa Sede «non è sola» nel suo no alla proposta della Francia: «Meno di 50 membri delle Nazioni Unite hanno aderito». Perché l'iniziativa in questione non vuole solo depenalizzare l'omosessualità, ma rischia di porre «sullo stesso piano ogni orientamento sessuale». Appunto.

sabato 6 dicembre 2008

Per non dimenticare...

Fiocco nero contro le morti sul lavoro

Il 6 dicembre dello scorso anno le fiamme della fonderia Thyssen a Torino, bruciarono la vita di sei lavoratori, giovani lavoratori che persero il loro futuro, per sempre. Una così grande tragedia, la sofferenza dei familiari, dei compagni di lavoro, di tutti, fu un grido che non si poteva non ascoltare, ci disse che quando di lavoro si muore la società intera porta una ferita profonda, ci disse ciò che già sapevamo: ogni giorno vi sono morti, ogni giorno gli incidenti sono migliaia, di lavoro ci si ammala e l'amianto ha ucciso e uccide ancora. Sono lavoratori italiani, rumeni, curdi, slavi, indiani e di tante altre parti del mondo. Il popolo degli invisibili, del lavoro nero, le vittime ignote pagano il prezzo più alto. Nulla rende la vita più precaria della morte. Dicemmo allora: mai più morti sul lavoro, non si può restare indifferenti, rifiutiamo l'assuefazione. Lanciammo una campagna per il diritto alla dignità e alla vita sul lavoro. Ci mobilitammo.
Ricordate la catena umana in piazza del Duomo? Il nostro sentire comune?
Oggi diciamo che non abbiamo dimenticato e perciò proponiamo di far ancora sentire la nostra voce rivolta al mondo del lavoro, la voce di quanti ancora nutrono sentimenti di solidarietà, di appartenenza, capaci di indignarsi. Proponiamo che nella settimana che va dal 6 dicembre (anniversario della tragedia della Thyssen), al l2 dicembre (giornata di mobilitazione dei lavoratori e lavoratrici per lo sciopero generale, che auspichiamo sia anche di popolo), vengano assunte iniziative, anche simboliche, alle quali tutte e tutti possono partecipare e autorganizzare. Iniziative che segnino la nostra ribellione e la volontà di impedire che la strage continui, che ogni giorno si ripetano i drammi, che dicano a noi stessi e a tutti: ciascuno faccia la sua parte.
Mai più morti sul lavoro!

In particolare proponiamo che dal 6 al 12 dicembre (giorno dello sciopero generale):
  • ognuno porti un fiocco nero intorno al braccio, sulla giacca o sulla borsa, come segno di lutto e di indignazione contro le morti sul lavoro;
  • nelle sedi istituzionali vengano assunti impegni per il futuro e atti simbolici per sottolineare quanto sconvolgente sia il susseguirsi di morti e incidenti, e consiglieri e assessori portino un fiocco nero durante una seduta.
Questa settimana di impegno su questo terreno, organico a tutti gli obiettivi dello sciopero generale, sarà utile per valorizzare quanto già è stato fatto, in questo anno, per contrastare lo stillicidio di vite e in difesa della salute, a tutti i livelli: numerose infatti sono state le iniziative di sensibilizzazione nella società, nelle scuole e nelle istituzioni a tutti i livelli, dalle zone del decentramento al livello nazionale, con l'approvazione del Testo unico per la sicurezza sul lavoro, che va difeso dagli attacchi di governo e Confindustria, e la legge va finanziata e applicata. E in particolare sarà utile per non fermarci, molto resta da fare: va costruita una diffusa coscienza nella società, la base per poter dire un giorno: «il dramma delle morti sul lavoro appartiene al passato». Questa nostra «piccola» proposta ha il senso di sollecitare la visibilità di un sentire comune, di valorizzare la politica dei contenuti e dei valori di giustizia sociale che così gravemente sono aggrediti e scossi. È un'idea, se sarà da molti condivisa e praticata diventerà un fatto.

Per aderire: iodicobasta@gmail.com;
info: 0255231531.

*** F. Rame, D. Fo, F. Calamida, A. Pizzinato, N. Benuzzi, P.Cagna, C. Cremonesi, M. De Luca Cardillo, F. Francescaglia, G. Galardi, P. Granchelli, A. Lareno, P. Majorino, R. Mapelli, E. Martinelli, M. G. Meriggi, A. Monga, E. Molinari, M. Molteni, C. Monguzzi, A. Patta, B. Rizzo, T. Vai

Il Manifesto 03 dicembre 2008

giovedì 4 dicembre 2008

Oggi cazzeggio...

"Mi sono fatto tutto da solo" del gruppo La famiglia Rossi
Indovinate a chi è dedicata...

martedì 2 dicembre 2008

Consiglio comunale del 27 novembre 2008


Spettatori presenti: nessuno.


Le comunicazioni del Sindaco hanno riguardato essenzialmente il documento programmatico della Società “Agugliano Servizi S.r.l.” con il quale la società adempie all’art. 14, comma 3, lettera c) dello statuto societario e “informa” il Consiglio su quanto ha fatto e quanto intende fare.
Essendo questo l’unico momento in cui il Consiglio comunale ha notizie sull’operato della Società, abbiamo a suo tempo contestato il fatto che l’argomento venga inserito tra le comunicazioni del Sindaco e non sia invece un punto dell’ordine del giorno sottoposto a discussione.
Il risultato è che continua ad essere inserito come comunicazione del Sindaco...
Altre comunicazioni hanno riguardato l’organizzazione di una mostra di abiti da sposa per “rinfocolare la cultura del paese” (testuali parole del Sindaco) e la costituzione di un non meglio specificato Centro studi su Agugliano e Castel d’Emilio.
Un altro argomento delle comunicazioni è stato il nostro “notiziario” (passatemi il termine) “La Bocca della Verità”. Il Sindaco ha espresso il suo non gradimento sugli articoli pubblicati, lamentandosi in particolare dell’ordine del giorno su prezzi e tariffe. Cosa possiamo dire?
Siamo molto spiacenti che i nostri articoli non gli siamo piaciuti. Magari la prossima volta, prima di pubblicarli glieli facciamo leggere e gli chiediamo se vanno bene…
Il secondo e il terzo punto hanno riguardato rispettivamente l’approvazione dei verbali della seduta del 30 settembre e del 28 ottobre sui quali non ci sono state osservazioni.
Il punto successivo è stata l’approvazione dell’assestamento generale del bilancio di previsione per l’anno 2008 sul quale non siamo entrati nel merito, essendo un passaggio essenzialmente tecnico con il quale si sistemano i capitoli di entrata ed uscita in previsione della chiusura dell’anno.
Il quinto ed ultimo punto ha riguardato l’approvazione di un ordine del giorno suila tutela delle sorgenti di Gorgovivo sul quale abbiamo votato a favore chiedendo che il Comune di Agugliano si esprima con un prossimo ordine del giorno anche in favore del mantenimento pubblico del servizio idrico ritenendo questo un bene comune di primaria importanza.
Ricordando che è possibile leggere le deliberazioni di Giunta e di Consiglio sul sito del Comune (http://www.tecut2.it/agugliano/) alla sezione “Le Delibere”, come sempre il Gruppo consiliare “A Sinistra” è a disposizione, anche via e-mail (Franca Bassani), di chi volesse maggiori informazioni.