martedì 30 dicembre 2008

Benvenuti in Palestina!

Dal blog di Vittorio Arrigoni

Nell'aria acre odore di zolfo, nel cielo lampi intermezzano fragorosi boati. Ormai le mie orecchie sono sorde dalle esplosioni e i miei occhi aridi di lacrime dinnanzi ai cadaveri.
Mi trovo dinnanzi all'ospedale di Al Shifa, il principale di Gaza, ed è appena giunta la terribile minaccia che Israele avrebbe deciso di bombardare la nuova ala in costruzione. Non sarebbe una novità, ieri è stato bombardato l'ospedale Wea'm. Insieme ad un deposito di medicinali a Rafah, l'università islamica (distrutta), e diverse moschee sparse per tutta la striscia. Oltre a decine di installazioni CIVILI.
Pare che non trovando più obbiettivi "sensibili", l'aviazione e la marina militare si diletti nel bersagliare luoghi sacri, scuole e ospedali.
E' un 11 settembre ad ogni ora, ogni minuto, da queste parti, e il domani è sempre una nuovo giorno di lutto, sempre uguale.
Si avvertono gli elicotteri e gli aerei costantemente in volo, quando vedi il lampo, sei già spacciato, è troppo tardi per mettersi in salvo. Non ci sono bunker antibombe in tutta la Striscia, nessun posto è al sicuro.
Non riesco a contattare più amici a Rafah, neanche quelli che abitano a Nord di Gaza city, spero perchè le linee sono intasate. Ci spero.
Sono 60 ore che non chiudo occhio, come me, tutti i gazawi.
Ieri io e altri 3 compagni dell'ISM abbiamo trascorso tutta la nottata all'ospedale di al Awda del campo profughi di Jabalia. Ci siamo andati perchè temevamo la tanto paventata incursione di terra che poi non si è verificata.
Ma i carri armati israeliani stazionano pronti lungo il confine tutto il confine della Striscia, i loro cingoli affamati di corpi pare si metteranno in funerea marcia questa di notte.
Verso le 23:30 una bomba è precipitata a circa 800 metri dall'ospedale, l'onda d'urto a mandato in frammenti diversi vetri delle finestre, ferendo i feriti.
Un' ambulanza si è recata sul posto, hanno tirato giù una moschea, fortunatamente vuota a quell'ora. Sfortunatamente, anche se non di sfortuna ma di volontà criminale e terroristica di compiere stragi di civili, la bomba israeliana ha distrutto anche l'edificio adiacente alla moschea, distruggendolo.Abbiamo visto tirare fuori dalle macerie i corpicini di sei sorelline. 5 sono morte, una è gravissima. Hanno adagiato le bambine sull'asfalto cabonizzato, e sembravano bamboline rotte, buttate via perchè inservibili. Non è un errore, è volontario cinico orrore.
Siamo a quota 320 morti, più di un migliaio i feriti, secondo un dottore di Shifa il 60% è destinato a morire nelle prossime ore, nei prossimi giorni di una lunga agonia.
Decine sono i dispersi, negli ospedali donne disperate cercano i mariti, i figli, da due giorni, spesso invano.
Un infermiere mi ha detto che una donna palestinese dopo ore di ricerca fra i pezzi di cadaveri all'obitorio, ha riconosciuto suo marito da una mano amputata. Tutto quello che di suo marito è rimasto, e la fede ancora al dito dell'amore eterno che si erano ripromessi.
Di una casa abitata da due famiglie, è rimasto ben poco dei corpi umani. Ai parenti hanno mostrato un mezzo busto, e tre gambe.
Proprio in questo momento una delle nostre barche del Free Gaza Movement sta lasciando il porto di Larnaca in Cipro. Ho parlato coi miei amici a bordo. Eroici, hanno ammassato medicinali un pò in ogni dove sull'imbarcazione.
Dovrebbe approdare al porto di Gaza domani verso le 0800 am. Sempre che il porto esista ancora dopo quest'altra notte di costanti bombardamenti. Starò in contatto con loro tutto questo tempo.
Qualcuno fermi questo incubo. Rimanere in silenzio significa supportare il genocidio in corso. Urlate la vostra indignazione, in ogni capitale del mondo "civile", in ogni città, in ogni piazza, sovrastate le nostre urla di dolore e terrore. C'è una parte di umanità che sta morendo in pietoso ascolto.

Aggiornamento:
La marina israeliana sta ora impedendo alla Dignity di approdare a Gaza e pretende che l’imbarcazione torni a Cipro (anche se il carburante a bordo è insufficiente). Stanno sparando… non solo i medicinali, ma anche i 15 civili internazionali a bordo sono in serio pericolo.

domenica 28 dicembre 2008

Gaza: fermiamo la guerra. Subito

27 dicembre 2008 da Ramallah

di Paolo Ferrero e Fabio Amato

La notizia dell’inizio dell’attacco israeliano a Gaza ci arriva mentre salutiamo Mustafà Barghouti, l’ultimo in ordine di tempo di una serie di incontri con i leaders di tutte le forze della sinistra palestinese. Ci aveva appena raccontato della drammatica situazione che aveva visto poche settimane prima, quando era riuscito ad aggirare il blocco della striscia, arrivando via mare, da Larnaca, a Gaza.
Una situazione disumana, con condizioni di vita sempre più misere. Più di un milione di persone senza cibo, medicinali, elettricità, acqua. Questa è la Gaza che viene bombardata indiscriminatamente dall’ esercito israeliano. Questa è la Gaza che subisce una rappresaglia di violenza inaudita, sproporzionata e completamente ingiustificata, per la rottura del cessate il fuoco e l’irresponsabile lancio di missili qassam da parte di Hamas. Mesi di privazioni iniziate con la vittoria del movimento islamico nelle elezioni parlamentari del 2006 e che hanno visto solo peggiorare giorno dopo giorno la situazione. Due anni di blocco e assedio.
Le tv arabe rimandano in tutti i territori e in tutto il mondo le immagini di quella che è stata annunciata dall’esercito israeliano e accreditata dai suoi più accondiscendenti alleati - a partire dagli USA e dal governo italiano - come un operazione chirurgica. Al contrario, un massacro. Centinaia di corpi, di donne e uomini, di bambini, ricoperti di sangue, trasportati negli ospedali in cui manca di tutto. Sono queste immagini a scatenare la rabbia dei ragazzi di Qalandia, Ramallah, di Hebron, come di Jenin, che subito riempiono le strade o sfidano i soldati israeliani con il lancio di pietre e fionde. Li abbiamo visti al Check point di Qalandia, accucciati dietro ad un terrapieni a tirare pietre mentre i soldati israeliani semplicemente sparavano con il fucile. E non sparavano lacrimogeni. Nessuno si aspettava un attacco cosi repentino. Si stava ancora cercando di far ripartire canali politico negoziali quando il giorno di Natale abbiamo incontrato Abu Mazen ci aveva preannunciato la sua visita odierna in Arabia Saudita per tentare la ripresa di un canale diplomatico, sia con Israele che con Hamas. L’attacco degli aerei israeliani è stato sferrato mentre Abu Mazen era in volo, a segnare ancora di più quell’impotenza dell’autorità nazionale palestinese che uscirà da questa vicenda ancora più indebolita.
Perché in realtà la situazione è paradossalmente ancora più grave di quella che si possa immaginare guardando le immagine delle centinaia di morti di Gaza. Il problema vero è che oggi in Palestina non ci troviamo di fronte ad un processo di pace interrotto o che procede a rilento. Ci troviamo di fronte alla costruzione concreta di un regime di apartheid, che strutturalmente rende impossibile la realizzazione di quanto stabilito dagli accordi e cioè la costruzione di due stati per due popoli. La costruzione dell’apartheid non è dichiarata ma praticata e la costruzione del muro – meglio sarebbe dire dei muri – costituisce la sua affermazione concreta. Oggi in medio oriente non abbiamo un territorio palestinese e uno israeliano ma bensì un territorio israeliano che si espande progressivamente con nuovi insediamenti di “coloni” che vengono difesi dalla polizia e dall’esercito israeliano e uniti da strade che sono utilizzabili solo da auto con targa israeliana. Parallelamente i chek point rendono gli spostamenti dei palestinesi dei calvari interminabili, senza contare che i varchi nel muro, possono essere chiusi in ogni momento. I diritti dei palestinesi semplicemente non esistono perché possono essere sospesi in ogni momento, in ogni luogo, per qualsiasi motivo, dalle forze dell’ordine.
Come ci ha detto un pastore luterano incontrato a Betlemme, la Palestina sembra ad una fetta di gruviera, dove Israele ha il formaggio e i palestinesi i buchi. Questa condizione che caratterizza la situazione degli ultimi anni è oggi aggravata da due elementi.
Da un lato la campagna elettorale israeliana. Per paura che le forze della destra aumentino i consensi, le forze di governo hanno nei fatti cominciato la campagna elettorale attaccando Gaza. Mettere i palestinesi in una condizione ancora peggiore è il vero motivo su cui si giocheranno – in nome della sicurezza – due mesi di campagna elettorale.
In secondo luogo il cambio della leadership statunitense, con i fratelli mussulmani di cui fa parte Hamas – e con l’appoggio dell’Iran - che hanno tutta l’intenzione di accreditarsi come vero interlocutore con cui dover scendere a patti da parte degli USA.
E’ quindi tutto il processo di pace e la possibilità di costruire due stati per due popoli che viene bombardato a Gaza.
Per questo è necessario che un aiuto immediato venga dall’esterno. Occorre lavorare da subito e mobilitarsi per richiedere la fine dell’aggressione a Gaza e la fine dell’operazione militare che negli annunci dell’esercito israeliano dovrebbe durare vari giorni ed estendersi ulteriormente. Dobbiamo chiedere che il governo italiano e l’Europa chiedano con nettezza la fine incondizionata dell’aggressione da parte israeliana. Si riunisca d urgenza il consiglio generale delle Nazioni Unite. Occorre chiedere che queste non si accodino, come da troppo tempo succede, a quanto sosterranno gli Stati Uniti, o - peggio ancora, - si producano in vuote dichiarazioni di buon senso a cui non seguirà nulla.
Il silenzio sul boicottaggio continuo, quotidiano degli accordi di pace, diventa complicità e questa complicità deve essere d enunciata per poter essere fermata.
I ragazzi palestinesi sono scesi in piazza oggi spontaneamente rischiando la vita. Domani (oggi per chi legge) è stato proclamato uno sciopero generale dei territori. Facciamo sentire la nostra voce anche noi, che non rischiamo nulla, per denunciare l’aggressione e per chiedere la fine immediata di ogni azione militare. Perché è con la politica e non con i missili che si può costruire la pace in medio oriente.

sabato 27 dicembre 2008

Testamento biologico: io ho detto si

Alcuni giorni fa ho trovato sul blog di Barone Birra la possibilità di firmare un appello per il diritto alla libertà di cura.
Ovviamente, l'ho fatto immediatamente perchè credo che in materie come questa ognuno debba avere il diritto di poter scegliere secondo la propria coscienza.
In seguito ho ricevuto l'e-mail che segue:

"Carissima/o,
grazie per la tua adesione all'appello per il diritto alla libertà di cura sul sito www.appellotestamentobiologico.it, e grazie perché, anche con il tuo contributo, abbiamo già raggiunto oltre 27.000 firme!
Ho voluto promuovere questa iniziativa perché sono convinto che il paese su molte questioni sia più avanti del Parlamento. In questi anni ho girato l'Italia da Nord a Sud, e la maggior parte delle persone che incontravo mi ripeteva sempre lo stesso concetto: vogliamo essere liberi di scegliere. Per questo, mi sono impegnato con tutto me stesso per far approvare una legge sul testamento biologico, che garantisca il diritto costituzionale per tutti i cittadini alla libertà di cura.
Tuttavia esiste il rischio che il Parlamento voti una legge che impone determinati trattamenti terapeutici, ignorando il diritto alla libertà di scelta. Perciò ti chiedo un ulteriore sforzo per questa importantissima causa: ti chiedo di diffondere il più possibile l'appello, invitando tutti i tuoi contatti a sottoscriverlo. Se riusciremo a raccogliere centinaia di migliaia di adesioni, il Parlamento dovrà ascoltare la nostra opinione, che credo coincida con quella della maggioranza degli italiani. Il paese reale ha le idee chiare sulle questioni della fine della vita: tutti i cittadini ritengono che la decisione debba essere personale, che vogliano utilizzare ogni risorsa della medicina o che intendano accettare la fine naturale della vita.
Ti ringrazio infinitamente e conto su di te per far circolare il più possibile l'appello,

Ignazio Marino

Per firmare la petizione si può andare qui

lunedì 22 dicembre 2008

Abiura di una cristiana laica

di Roberta de Monticelli

Questo è un addio. A molti cari amici - in quanto cattolici. Non in quanto amici, e del resto sarebbe un fatto privato. E' un addio a qualunque collaborazione che abbia una diretta o indiretta relazione alla chiesa cattolica italiana, un addio anche accorato a tutti i religiosi cui debbo gratitudine profonda per avermi fatto conoscere uno dei fondamenti della vita spirituale, e la bellezza. La bellezza delle loro anime e quella dei loro monasteri - la più bella, la più ricca, e oggi, purtroppo, la più deserta eredità del cattolicesimo italiano. O diciamo meglio del nostro cristianesimo. L'eredità di Benedetto, di Pier Damiani, di Francesco, dei sette nobili padri cortesi che fondarono la comunità dei Servi di Maria, di tanti altri uomini e donne che furono "contenti nei pensier contemplativi". E anche l'eredità di mistici di altre lingue e radici, l'eredità, tanto preziosa ai filosofi, di una Edith Stein, carmelitana che si scalzò sulle tracce della grande Teresa d'Avila.
Questo addio interessa a ben poche persone, e come tale non meriterebbe di esser detto in pubblico. Ma se oggi scrivo queste parole non è certo perché io creda che il gesto o la sua autrice abbiano la minima importanza reale o morale: bensì per un senso del dovere ormai doloroso e bruciante. Basta. La dichiarazione, riportata oggi su "Repubblica", di Mons. Betori, segretario uscente della Cei, e "con il pieno consenso del presidente Bagnasco", secondo la quale, per quanto riguarda la fine della propria vita, alla volontà del malato va prestata attenzione, ma "la decisione non deve spettare alla persona", è davvero di quelle che non possono più essere né ignorate né, purtroppo, intese diversamente da quello che nella loro cruda chiarezza dicono.
E allora ecco: questa dichiarazione è la più tremenda, la più diabolica negazione di esistenza della possibilità stessa di ogni morale: la coscienza, e la sua libertà. La sua libertà: di credere e di non credere (e che valore mai potrebbe avere una fede se uno non fosse libero di accoglierla o no?), di dare la propria vita, o non darla, di accettare lo strazio, l'umiliazione del non esser più che cosa in mano altrui, o di volerne essere risparmiato. Sì, anche di affermare con fierezza la propria dignità, anche per quando non si potrà più farlo. E' la possibilità di questa scelta che carica di valore la scelta contraria, quella dell'umiltà e dell'abbandono in altre mani. Ma siamo più chiari: quella che Betori nega è la libertà ultima di essere una persona, perché una persona, sant'Agostino ci insegna, è responsabile ultima della propria morte, come lo è della propria vita. Fallibile, e moralmente fallibile, è certo ogni uomo. Ma vogliamo negare che, anche con questo rischio, ultimo giudice in materia di coscienza morale sia la coscienza morale stessa? Attenzione: non stiamo parlando di diritto, stiamo parlando di morale. Il diritto infatti è fatto non per sostituirsi alla coscienza morale della persona, ma per permettergli di esercitarla nei limiti in cui questo esercizio non è lesivo di altri. Su questo si basano ad esempio i principi costituzionali che garantiscono la libertà religiosa, politica, di opinione e di espressione.
Oppure ci sono questioni morali che non sono "di competenza" della coscienza di ciascuna persona? Quale autorità ultima è dunque "più ultima" di quella della coscienza? Quella dei medici? Quella di mons. Betori? Quella del papa? E su cosa si fonda ogni autorità, se non sulla sua coscienza? Possiamo forse tornare indietro rispetto alla nostra maggiore età morale, cioè al principio che non riconosce a nessuna istituzione come tale un'autorità morale sopra la propria coscienza e i propri più vagliati sentimenti? C'è ancora qualcuno che ancora pretenda sia degna del nome di morale una scelta fondata sull'autorità e non nell'intimità della propria coscienza? "Non siamo per il principio di autodeterminazione", dichiara mons. Betori, e lo dichiara a nome della chiesa italiana. Ma si rende conto, Monsignore, di quello che dice? Amici, ve ne rendete conto? E' possibile essere complici di questo nichilismo? Questa complicità sarebbe ormai - lo dico con dolore - infamia.

da www.ilfoglio.it 4 ottobre 2008

venerdì 19 dicembre 2008

Piovono premi...

Mentre fuori è piovuto a catinelle, sul blog sono piovuti premi!
Ringrazio Chit, Flo, Giangidoe, Tisbe, Elena e Zefirina che mi hanno insignito del premio Dardos.
La motivazione dell'assegnazione del premio che viene assegnato ai ”blog che hanno dimostrato impegno nel trasmettere valori culturali, etici, letterari o personali“, non può non fare piacere.

Ringrazio davvero tutti, ma come è mio solito non continuo la catena, limitandomi a sottolineare che ritengo degnissimi di questo premio tutti quelli che sono nei miei link...

venerdì 12 dicembre 2008

La strage impunita

Milano, 12 dicembre ... cronaca di una strage annunciata
di Paola Ceretta

Un articolo del 2004 con ancora tutta la sua tragica attualità...

Arnoldi Giovanni
China Giulio
Corsini Eugenio
Dendena Pietro
Gaiani Carlo
Galatioto Calogero
Garavaglia Carlo
Gerli Paolo
Mocchi Vittorio
Meloni Luigi
Papetti Gerolamo
Pasi Mario
Perego Carlo
Sangalli Oreste
Scaglia Angelo
Silva Carlo
Vare Attilio

e Giuseppe Pinelli

è il macabro appello che si può fare ogni volta che si attraversa Piazza Fontana, in centro a Milano. Sono lì dal 1969. Io non ero ancora nata ma ogni anno, tra il 12 e 16 dicembre mi assalgono la voglia di sapere, di capire e … tanta rabbia: manca la memoria, mancano i colpevoli. O meglio, dei colpevoli si sa nome e cognome, ma continuano a condurre una vita tranquilla, da liberi cittadini. Più o meno tutti sanno cosa accadde in quei giorni, pochi vogliono ricordare. Perché si fa fatica, perché fa paura, perché è meglio pensare a comperare i regali di Natale e stare allegri, perché il passato è passato e viviamo in una nuova era dove le stragi ci arrivano per televisione, restando lontane. Ma chi ha provato e prova dolore, ricorda, oggi più di ieri.
Passiamo ai fatti: nel 1969 come nel 2004, il 12 dicembre, Milano è un gigantesco panettone scintillante e infiocchettato. Si respira aria di festa. Addobbi rosso e oro, vetrine tirate a lucido. Allora come oggi si sta attenti al portafogli ma un pacchetto sotto l’albero fa piacere a tutti. Nel 1969, il 12 dicembre cade di venerdì. Gli uffici chiudono un po’ prima, sabato non si lavora: quale migliore occasione per darsi allo shopping natalizio. Metà pomeriggio. Corso Vittorio Emanuele, Piazza Duomo e le vie adiacenti sono gremite di gente. Alla Statale c’è ancora lezione. Le banche sono già chiuse. In Piazza Fontana, la Banca Nazionale dell’agricoltura è ancora aperta. E’ la banca degli agricoltori e il venerdì c’è il mercato provinciale. Quasi tutti arrivano da fuori Milano. Sono tanti. Qualcuno si è portato il figlio, qualcun altro il nipotino. Più o meno a quell’ora il ferroviere Giuseppe Pinelli, di fede anarchica, ha finito il turno e si reca in un bar sui navigli dov’è di casa.
Sono le 16.25. Nel cuore sereno e spensierato di Milano si apre un buco nero che non si richiuderà mai più. Qualcuno ha "dimenticato" due valigette di pelle sotto il tavolo centrale della Banca Nazionale dell’agricoltura. Cinque minuti prima della chiusura, prevista per le 16.30, esplodono: 15 morti, 90 feriti di cui 3 gravissimi. Due moriranno dopo pochi giorni e un ragazzino perderà le gambe. In mezzo alle luci e ai colori del Natale, si consuma una scena raccapricciante: gli occhi sbarrati per la paura e l’orrore di chi si è salvato, i corpi straziati e il sangue di chi non ce l’ha fatta, macerie e cristalli in frantumi tutt’intorno. E un intenso odore di mandorle amare. Increduli si affacciano alcuni passanti. Chi era da quelle parti, chi ha visto la banca tremare, chi ha sentito un boato assordante. Un dipendente dell’Ente Nazionale Risi, che all’epoca aveva gli uffici in quel palazzo, apre la finestra che dà sulla cupola della banca per vedere cos’è tutto quel fracasso. Rimarrà sotto shock per un mese. Gli studenti della Statale si precipitano sul posto, vogliono sapere, vogliono capire. I primi soccorritori non hanno parole per descrivere quello che vedono. Anche le forze dell’ordine ammutoliscono. Le ambulanze arrivano all’ospedale Fatebenefratelli con le ruote sporche di sangue. Cos’è successo? Perché?
In quei momenti tanto drammatici quanto concitati, il ferroviere Giuseppe Pinelli, di fede anarchica, se ne sta tranquillo a giocare a carte al bar sui navigli dov’è di casa, ignaro di tutto.
Le prime indiscrezioni danno la colpa a una caldaia difettosa. Prima di sera si conosce già la verità: hanno messo una bomba.
Si susseguono giorni bui. Famiglie costrette al dolore e alla disperazione. La mattina dei funerali anche il cielo è scuro scuro. Milano piange i suoi morti. E saranno ancora tante le lacrime che dovrà versare e molti i cadaveri da seppellire. La scia di sangue, appena accennata, è ancora lunga da percorrere. Piazza Fontana, la madre di tutte le stragi. Una strage annunciata dalle bombe sui treni e alla fiera di Milano nell’aprile dello stesso anno. Più avanti nel tempo, in piazza, uno slogan la definirà una strage di Stato.
Cosa è successo? Chi è stato? Perché? Nessuno sa darsi una risposta, così, su due piedi. Ma qualcuno sa, è ovvio. In serata, in questura, hanno già una pista certa: sono stati gli anarchici. E si lavora per fabbricare il mostro da dare in pasto alla stampa e all’indignazione popolare: il ballerino Pietro Valpreda, naturalmente di fede anarchica. Al momento dell’attentato era a casa della nonna, a letto con l’influenza. Un testimone, Rolandi, che poco tempo dopo morirà in circostanze misteriose, giura di averlo accompagnato sul luogo del massacro, col suo taxi. Resterà in carcere fino al 1972. Sarà varata persino una legge che porta il suo nome. Assolto. L’unico che si è meritato tale verdetto perché realmente estraneo ai fatti.
Se passare degli anni in carcere sapendo di essere innocenti è un destino infame, per il ferroviere Giuseppe Pinelli è in agguato una tragedia ancora peggiore. Invitato dall’allora commissario della sezione politica Calabresi a seguirlo in Questura a bordo della propria bicicletta per una chiacchierata informale, non farà più ritorno a casa. Trattenuto per più di 24 ore senza notifica di un qualsiasi stato di fermo, senza nessun contatto con la famiglia tranne una breve telefonata alla moglie, accusato e minacciato più volte dalle forze dell’ordine di essere parte attiva nell’orrenda strage, cade "accidentalmente" dalla finestra del quarto piano della Questura di Milano, precipitando nel cortile sottostante. E’ la notte tra il 15 e il 16 dicembre. E’ scoccata da poco la mezzanotte. In fin di vita viene trasportato all’ospedale Fatebenefratelli. La moglie Licia viene a sapere dell’ "incidente" occorso al marito, per caso, da un giornalista che bussa alla sua porta. E’ l’una di notte. Si mette in contatto con il commissario Calabresi. Perché non è stata avvisata. Le viene risposto che in quegli uffici sono molto impegnati. Licia si precipita in ospedale con la suocera. Il marito, forse, respira ancora ma non le è concesso di vederlo. Spirerà nella notte.
Omicidio? Suicidio? Le ipotesi e le testimonianze sono confuse. Si è suicidato per il rimorso. Si sentiva soffocare, si è avvicinato alla finestra per respirare un po’ d’aria, si è sentito male ed è caduto di sotto. Gli agenti presenti (chi dice 4, pare fossero 5, Calabresi era in un’altra stanza) si sono prodigati per trattenerlo. Lo sforzo è stato tale che a uno gli è rimasta in mano una scarpa. Come mai, quando l’hanno raccolto dal selciato, le aveva entrambe ai piedi? Come mai, a Milano, in pieno inverno, di sera tardi, la finestra era aperta? Si apre un’inchiesta, si celebra un processo, da Milano a Catanzaro. Verdetto: morte accidentale per malore attivo. Nessun colpevole. In molti credono all’omicidio. Mi domando: se avesse visto qualcosa che non doveva vedere? Se avesse sentito qualcosa che non doveva sentire? Se avesse visto qualcuno che non doveva essere lì? Sarebbe stato un testimone troppo scomodo. Un testimone da eliminare. Anche il ferroviere Giuseppe Pinelli, di fede anarchica, ha una lapide commemorativa, in un’aiuola in Piazza Fontana, accanto a quella che riporta i nomi delle 17 vittime della strage alla Banca Nazionale dell’agricoltura.

12 dicembre 2004. Domenica. Milano è più luminosa che mai. Vestita a festa: l’altissimo albero di Natale in Piazza Duomo, le bancarelle con i dolci in Piazza Mercanti, lo stand con il presepe in Corso Vittorio Emanuele. Zampognari e Babbo Natale. Oggi come allora gli addobbi sono rossi e oro ma molti, molti di più anche se, oggi come allora, si sta attenti al portafogli. I negozi sono aperti. Le vetrine incantano: una più fastosa dell’altra. C’è gente dappertutto. Un gran vociare. I bambini con lo zucchero filato.
In Piazza Fontana si raduna una piccola folla commossa. Il silenzio è forte, compatto ma l’eco dell’orrore che quel giorno invase la città pesa sulla piazza, lo si respira distintamente. Negli stessi locali in cui avvenne l’esplosione, ora, ha sede la Banca Antonveneta ma l’insegna BANCA NAZIONALE DELL’AGRICOLTURA è ancora lì, a lettere cubitali, illuminate al neon, come una macabra decorazione natalizia, un monito, forse, per chi passa distratto da quelle parti. H.16.25. Un nugolo di persone, le autorità e alcuni parenti delle vittime, si raccolgono davanti alla lapide commemorativa. Le forze dell’ordine depongono corone di fiori alle pareti dell’edificio. La tromba della banda cittadina intona il Silenzio. I gonfaloni dei comuni intervenuti si alzano, insieme agli striscioni. Un minuto di puro semplice intenso silenzio mentre, tutt’intorno, Milano si muove convulsa ma sembra così lontana. L’emozione si scioglie in un applauso. L’attenzione si sposta verso il piccolo palco allestito per l’immancabile intervento delle autorità. A rompere il ghiaccio è il presidente dell’Associazione parenti delle vittime: con un filo di voce ripercorre i fatti, soffermandosi sull’incredibile iter giudiziario che ha portato a celebrare diversi processi in giro per l’Italia. Sconcertato e indignato ribadisce che dopo 35 anni nessuno ha ancora pagato e forse nessuno pagherà mai. Segue Aniasi, all’epoca sindaco di Milano. Il ricordo di quella visione agghiacciante, giunto sul posto poco dopo l’attentato, lo perseguita ancora oggi. Ancora la solita domanda: chi è il colpevole? Ancora la solita risposta: nessuno. Si susseguono altre autorità. Con retorica si parla di verità storica, di memoria, di mancanza di giustizia. Io lo definirei fallimento… Il presidente della provincia Penati si congratula per la presenza numerosa, soprattutto di facce giovani… Veramente siamo in pochi, i giovani, poi, si contano a fatica, forse perché è domenica, forse perché c’è il ponte di S.Ambrogio, forse perché ogni anno siamo sempre meno. Un papà, accanto a me, tiene in braccio un bimbo che non avrà più di tre anni. Gli racconta cosa è successo, come fosse una favola nera: lì dentro, indicando le vetrine della Banca Antonveneta, tanti anni fa c’erano tante persone che si sono fatte tanto male. Il bimbo, curioso, fa domande, vuole sapere... L’ultima voce è quella della figlia di una delle vittime. Anche lei sottolinea i 35 lunghi anni trascorsi senza risposte, gli estenuanti processi di cui non ha perso una seduta, inseguendoli per tutta Italia. Ha una parola per i morti, per i feriti e per coloro che non si sono risparmiati nel cercare il senso di quella carneficina, di cercare la verità. Conclude, arrabbiata, ricordando che molti orfani come lei si sono dovuti reinventare una vita consapevoli che il loro dolore non poteva restare privato.
Mi rimbombano in testa le parole di Aniasi: il ricordo che lo perseguita. Penso che la strage di Piazza Fontana e la morte di Pinelli debbano perseguitare tutti noi, dandoci la possibilità di fermarci a riflettere per riappropriarci di una memoria già nostra e troppo spesso assopita, per darle spessore in una città che per antonomasia va di fretta, accelerando sempre di più verso un futuro che tocca di striscio il presente e non ha tempo di pensare al passato. Piazza Fontana e la morte di Pinelli sono due ferite profonde che dobbiamo continuare a tenere aperte perché, per quanto mi riguarda, è lì che bisogna scavare per capire che senso ha una verità storica che dopo 35 anni fa nomi e cognomi ma se ci si domanda, chi sono i colpevoli?, non si può far altro che rispondere: nessuno.

giovedì 11 dicembre 2008

In piazza per i diritti

La paura e l'insicurezza non sono più in cima alle preoccupazioni dei cittadini. La ragione non è dovuta alla diminuzione dei reati (già il Sole 24 Ore segnalava in agosto il decremento cominciato nel giugno del 2007 prima del governo Berlusconi), ma perché la macchina goebbelsiana della propaganda televisiva, in particolare dei Tg Mediaset e Tg1 Rai si è fermata.
Parola di Ilvo Diamanti su Repubblica (23/11).


Finalmente si scopre che la cosiddetta «percezione di insicurezza» dei cittadini, il convitato di pietra della politica, è un'arma caricata a comando. Così come è avvenuto con la campagna mediatica di mistificazione contro l'indulto.
Nonostante questa novità il Senato sta preparando per Natale un regalo avvelenato, l'ennesimo pacchetto sicurezza. A leggere i 55 articoli del disegno di legge si rimane sconvolti per l'insieme caotico di misure che calpestano diritti umani, Costituzione, principi elementari di ragionevolezza con l'unico risultato di distruggere la già dissestata macchina della giustizia e di far esplodere le carceri già oltre il limite di sopportabilità.
Ma quel che lascia sgomenti è l'acquiescenza con cui si accetta da parte di intellettuali, mass media e movimenti che si faccia strage del diritto e della legalità. Le campagne securitarie hanno raggiunto un risultato davvero eccezionale: l'assuefazione a ripetuti e ossessivi interventi che costruiscono un nuovo sistema che è stato efficacemente definito come populismo penale.
Il catalogo degli orrori spazia dai problemi del «decoro» urbano alla mafia. Così si prevedono sanzioni non inferiori a 500 euro per chi insozzi le pubbliche vie e l'indurimento del regime penitenziario del 41 bis e la riapertura delle carceri speciali di Pianosa e dell'Asinara (mentre Obama chiuderà Guantanamo!). Si monetizza il rinnovo del permesso di soggiorno con una tassa di 200 euro. Si prevede la reclusione fino a tre anni per chi usa i minori per l'accattonaggio e la decadenza dall'esercizio della potestà genitoriale. L'ingresso e il soggiorno illegale nel territorio dello Stato viene sanzionato con l'arresto e l'ammenda sino a 10.000 euro e la permanenza nei centri di identificazione viene estesa fino a diciotto mesi. Infine si prevede l'istituzione un registro presso il ministero dell'Interno per le persone senza fissa dimora e di ronde private per attività di presidio del territorio.
Siamo di fronte alla «galera sociale»: così il senatore Vito Carofiglio nel corso della discussione a Palazzo Madama ha magistralmente definito questo coacervo di norme intrise di demagogia. Qualcuno/a penserà che queste misure non siano per lui o per lei: hanno di mira gli immigrati, i poveri, la criminalità organizzata, dunque non sono preoccupanti. In realtà, quando si stravolgono i principi fondamentali di uguaglianza, la deriva autoritaria e razzista è destinata a non fermarsi e a coinvolgere sempre più soggetti fino a colpire tutta la società. La madre delle emergenze è sempre incinta. Dalla droga al terrorismo, dagli zingari alle prostitute, dai matti ai writers c'è sempre una guerra da combattere. Alla fine arriva anche il tempo per chi in politica la pensa diversamente.
La banalità del regime è tutta qui, nell'incedere lento ma inesorabile con cui conquista le coscienze e il senso comune. Lo sciopero del 12 dicembre può essere l'occasione per rompere le catene, urlare per il rispetto dei diritti e conquistare una diversa egemonia. Chiediamo troppo?

Il Manifesto 30 novembre 2008

martedì 9 dicembre 2008

Sempre più avanti...

Pur di salvare la sacra famiglia, il Vaticano manda a morte gli omosessuali

di Romina Velchi - su "Liberazione" del 02/12/2008

Pur di salvare la sacra famiglia, il Vaticano manda a morte gli omosessuali. E non è un'esagerazione. Messi di fronte alla scelta, da Oltretevere non hanno dubbi: sull'altare (è il caso di dire) devono essere sacrificati i gay.
Riepiloghiamo. La Francia, a nome dei 27 paesi europei, si è fatta promotrice di una iniziativa (sottoscritta, per altro, anche dall'Italia) per chiedere all'Onu, in occasione dei sessant'anni della dichiarazione dei diritti umani (il prossimo 10 dicembre), la «depenalizzazione universale dell'omosessualità». Com'è noto, esistono ancora molti paesi (per la precisione 91) nei quali i rapporti omosessuali non solo sono reato (con annessi sanzioni, torture e carcere), ma sono puniti persino con la pena capitale. Cioè con la morte (una decina di stati islamici). Ebbene, il Vaticano che fa? Si schiera contro per paura che l'iniziativa europea sia l'anticamera (pure in Italia) del "matrimonio" tra persone dello stesso sesso. Proprio così. Parola di monsignor Celestino Migliore, nientemeno che rappresentante della Santa Sede alle Nazioni Unite a New York.
«Tutto ciò che va in favore del rispetto e della tutela delle persone fa parte del nostro patrimonio umano e spirituale - premette l'alto prelato in un'intervista all'agenzia francofona I.Media - Ma qui la questione è un'altra. Con una dichiarazione di valore politico, sottoscritta da un gruppo di paesi, si chiede agli stati ed ai meccanismi internazionali di attuazione e controllo dei diritti umani di aggiungere nuove categorie protette dalla discriminazione, senza tenere conto che, se adottate, esse creeranno nuove e implacabili discriminazioni». E sarebbe? «Per esempio - spiega il monsignore, che ha anche definito una «barbarie» la proposta di inserire l'aborto tra i diritti universali dell'uomo - gli stati che non riconoscono l'unione tra persone dello stesso sesso come "matrimonio" verranno messi alla gogna e fatti oggetto di pressioni».
«Dichiarazioni gravissime», stigmatizza il segretario del Prc, Paolo Ferrero. Anche perché, a ben vedere, qui l'unico che fa «pressioni» (ma sarebbe meglio dire lobbing) è proprio il Vaticano, che oltretutto non aderisce all'Onu, non avendo firmato la dichiarazione dei diritti umani. Così, nel tentativo di fermare l'iniziativa europea, il Vaticano sferra il suo attacco, senza nemmeno rendersi conto di finire, di fatto, dalla parte di quelli che l'omosessualità la criminalizzano. Un «condono per chi discrimina», come osservano i Radicali.
E' una «situazione grottesca», commenta tra i primi Franco Grillini, ex deputato Ds e presidente di Gaynet, «quella di uno stato teocratico e autoritario che in qualità di osservatore alle Nazioni Unite, lavora costantemente per negare quei diritti umani riconosciuti in tutto l'Occidente. E' bene che la Francia e l'Europa procedano ignorando le assurdità vaticane». Ma è da tutto il mondo gay che arrivano dure parole di condanna della incomprensibile posizione vaticana. Per Imma Battaglia «la barbarie e la gogna vengono dal Vaticano» mentre per l'Arcigay «la lobby clericale preme su tutti gli stati affinché non siano di volta in volta riconosciuti diritti civili e di libertà, alleandosi con i regimi dittatoriali, di ogni colore, compresi quelli islamici».
Si schiera anche il mondo politico. «Sono del tutto ingiustificati i timori avanzati» osserva per esempio Benedetto Della Vedova (Pdl), perché chiedere la depenalizzazione dell'omosessualità non equivale «ad esigere un riconoscimento delle "famiglie omosessuali", bensì a denunciare, a chiare lettere, la pratica barbara della discriminazione, della persecuzione». La posizione del Vaticano «confonde i piani della discussione» anche secondo Paola Concia (Pd), mentre l'europarlamentare del Prc, Vittorio Agnoletto, si aspetta che «l'Ue e l'Italia presentino proteste formali al Vaticano», visto che le affermazioni di monsignor Migliore sono «in netto contrasto con i principi più volte espressi dall'Europa». Agnoletto, inoltre, chiederà che la rappresentanza vaticana sia convocata dalla commissione sui diritti umani, come avviene periodicamente con i «rappresentanti degli stati con i quali l'Ue ha relazioni diplomatiche e nei quali non vengono rispettati quei diritti ritenuti fondamentali». Infine, secondo Margherita Boniver (Pdl, presidente del comitato Schengen) «allarma l'anacronistica posizione del Vaticano», anche in considerazione del fatto che «il progetto di dichiarazione che la Francia, a nome dell'intera Unione Europea, intende presentare all'Onu è stato oggetto di approvazione da parte di tutti i 27 governi europei». E dunque, appoggiarlo, osserva Barbara Pollastrini (Pd) «è un atto di coerenza».
Un mare di critiche, dalle quali, in serata, il Vaticano si è "difeso" confermando ogni virgola delle parole di monsignor Migliore. Secondo padre Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, infatti, «nessuno vuole difendere la pena di morte per gli omosessuali», ma la Santa Sede «non è sola» nel suo no alla proposta della Francia: «Meno di 50 membri delle Nazioni Unite hanno aderito». Perché l'iniziativa in questione non vuole solo depenalizzare l'omosessualità, ma rischia di porre «sullo stesso piano ogni orientamento sessuale». Appunto.

sabato 6 dicembre 2008

Per non dimenticare...

Fiocco nero contro le morti sul lavoro

Il 6 dicembre dello scorso anno le fiamme della fonderia Thyssen a Torino, bruciarono la vita di sei lavoratori, giovani lavoratori che persero il loro futuro, per sempre. Una così grande tragedia, la sofferenza dei familiari, dei compagni di lavoro, di tutti, fu un grido che non si poteva non ascoltare, ci disse che quando di lavoro si muore la società intera porta una ferita profonda, ci disse ciò che già sapevamo: ogni giorno vi sono morti, ogni giorno gli incidenti sono migliaia, di lavoro ci si ammala e l'amianto ha ucciso e uccide ancora. Sono lavoratori italiani, rumeni, curdi, slavi, indiani e di tante altre parti del mondo. Il popolo degli invisibili, del lavoro nero, le vittime ignote pagano il prezzo più alto. Nulla rende la vita più precaria della morte. Dicemmo allora: mai più morti sul lavoro, non si può restare indifferenti, rifiutiamo l'assuefazione. Lanciammo una campagna per il diritto alla dignità e alla vita sul lavoro. Ci mobilitammo.
Ricordate la catena umana in piazza del Duomo? Il nostro sentire comune?
Oggi diciamo che non abbiamo dimenticato e perciò proponiamo di far ancora sentire la nostra voce rivolta al mondo del lavoro, la voce di quanti ancora nutrono sentimenti di solidarietà, di appartenenza, capaci di indignarsi. Proponiamo che nella settimana che va dal 6 dicembre (anniversario della tragedia della Thyssen), al l2 dicembre (giornata di mobilitazione dei lavoratori e lavoratrici per lo sciopero generale, che auspichiamo sia anche di popolo), vengano assunte iniziative, anche simboliche, alle quali tutte e tutti possono partecipare e autorganizzare. Iniziative che segnino la nostra ribellione e la volontà di impedire che la strage continui, che ogni giorno si ripetano i drammi, che dicano a noi stessi e a tutti: ciascuno faccia la sua parte.
Mai più morti sul lavoro!

In particolare proponiamo che dal 6 al 12 dicembre (giorno dello sciopero generale):
  • ognuno porti un fiocco nero intorno al braccio, sulla giacca o sulla borsa, come segno di lutto e di indignazione contro le morti sul lavoro;
  • nelle sedi istituzionali vengano assunti impegni per il futuro e atti simbolici per sottolineare quanto sconvolgente sia il susseguirsi di morti e incidenti, e consiglieri e assessori portino un fiocco nero durante una seduta.
Questa settimana di impegno su questo terreno, organico a tutti gli obiettivi dello sciopero generale, sarà utile per valorizzare quanto già è stato fatto, in questo anno, per contrastare lo stillicidio di vite e in difesa della salute, a tutti i livelli: numerose infatti sono state le iniziative di sensibilizzazione nella società, nelle scuole e nelle istituzioni a tutti i livelli, dalle zone del decentramento al livello nazionale, con l'approvazione del Testo unico per la sicurezza sul lavoro, che va difeso dagli attacchi di governo e Confindustria, e la legge va finanziata e applicata. E in particolare sarà utile per non fermarci, molto resta da fare: va costruita una diffusa coscienza nella società, la base per poter dire un giorno: «il dramma delle morti sul lavoro appartiene al passato». Questa nostra «piccola» proposta ha il senso di sollecitare la visibilità di un sentire comune, di valorizzare la politica dei contenuti e dei valori di giustizia sociale che così gravemente sono aggrediti e scossi. È un'idea, se sarà da molti condivisa e praticata diventerà un fatto.

Per aderire: iodicobasta@gmail.com;
info: 0255231531.

*** F. Rame, D. Fo, F. Calamida, A. Pizzinato, N. Benuzzi, P.Cagna, C. Cremonesi, M. De Luca Cardillo, F. Francescaglia, G. Galardi, P. Granchelli, A. Lareno, P. Majorino, R. Mapelli, E. Martinelli, M. G. Meriggi, A. Monga, E. Molinari, M. Molteni, C. Monguzzi, A. Patta, B. Rizzo, T. Vai

Il Manifesto 03 dicembre 2008

giovedì 4 dicembre 2008

Oggi cazzeggio...

"Mi sono fatto tutto da solo" del gruppo La famiglia Rossi
Indovinate a chi è dedicata...

martedì 2 dicembre 2008

Consiglio comunale del 27 novembre 2008


Spettatori presenti: nessuno.


Le comunicazioni del Sindaco hanno riguardato essenzialmente il documento programmatico della Società “Agugliano Servizi S.r.l.” con il quale la società adempie all’art. 14, comma 3, lettera c) dello statuto societario e “informa” il Consiglio su quanto ha fatto e quanto intende fare.
Essendo questo l’unico momento in cui il Consiglio comunale ha notizie sull’operato della Società, abbiamo a suo tempo contestato il fatto che l’argomento venga inserito tra le comunicazioni del Sindaco e non sia invece un punto dell’ordine del giorno sottoposto a discussione.
Il risultato è che continua ad essere inserito come comunicazione del Sindaco...
Altre comunicazioni hanno riguardato l’organizzazione di una mostra di abiti da sposa per “rinfocolare la cultura del paese” (testuali parole del Sindaco) e la costituzione di un non meglio specificato Centro studi su Agugliano e Castel d’Emilio.
Un altro argomento delle comunicazioni è stato il nostro “notiziario” (passatemi il termine) “La Bocca della Verità”. Il Sindaco ha espresso il suo non gradimento sugli articoli pubblicati, lamentandosi in particolare dell’ordine del giorno su prezzi e tariffe. Cosa possiamo dire?
Siamo molto spiacenti che i nostri articoli non gli siamo piaciuti. Magari la prossima volta, prima di pubblicarli glieli facciamo leggere e gli chiediamo se vanno bene…
Il secondo e il terzo punto hanno riguardato rispettivamente l’approvazione dei verbali della seduta del 30 settembre e del 28 ottobre sui quali non ci sono state osservazioni.
Il punto successivo è stata l’approvazione dell’assestamento generale del bilancio di previsione per l’anno 2008 sul quale non siamo entrati nel merito, essendo un passaggio essenzialmente tecnico con il quale si sistemano i capitoli di entrata ed uscita in previsione della chiusura dell’anno.
Il quinto ed ultimo punto ha riguardato l’approvazione di un ordine del giorno suila tutela delle sorgenti di Gorgovivo sul quale abbiamo votato a favore chiedendo che il Comune di Agugliano si esprima con un prossimo ordine del giorno anche in favore del mantenimento pubblico del servizio idrico ritenendo questo un bene comune di primaria importanza.
Ricordando che è possibile leggere le deliberazioni di Giunta e di Consiglio sul sito del Comune (http://www.tecut2.it/agugliano/) alla sezione “Le Delibere”, come sempre il Gruppo consiliare “A Sinistra” è a disposizione, anche via e-mail (Franca Bassani), di chi volesse maggiori informazioni.

sabato 29 novembre 2008

Ci scriviamo lunedì...

<<... La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso.
La storia siamo noi... Siamo noi queste onde nel mare, questo rumore che rompe il silenzio, questo silenzio così duro da raccontare.
E poi ti dicono: tutti sono sono uguali, tutti rubano nella stessa maniera, ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa quando viene la sera.
Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone, la storia entra dentro le stanze e le brucia. La storia da torto o da ragione.
La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere, siamo noi che abbiamo tutto da vincere o tutto da perdere...>>

Da: "La storia" di Francesco De Gregori

E io chiusa in casa la sera non ci sto perchè sono convinta che non tutti siano uguali e che ancora esista anche chi non ruba.

Per questo oggi e domani parteciperò come delegato al Congresso regionale di Rifondazione Comunista.

Se la storia siamo noi, io voglio contribuire a farla...

Ciao a tutti.
Ci scriviamo lunedì...



domenica 23 novembre 2008

Il frutto della guerra

Due albicocche e la tragedia di una mattina che voleva essere di festa.

E' arrivato alle due del pomeriggio del 22 luglio su una macchina guidata dallo zio. Era adagiato sopra un materasso sottile, avvolto in un telo di plastica e stracci ricoperti di sangue che tamponavano le ferite.
Quadratullah, 6 anni, viene trasferito su una barella dagli infermieri del Pronto Soccorso.
Non parla e guarda tutte quelle persone che si stanno muovendo freneticamente attorno a lui con occhi spaventati, pieni di lacrime che non riescono a scendere.
Rimuoviamo gli stracci dalle ferite.
E' un'immagine devastante quella che ci si presenta: la gamba sinistra finisce sotto il ginocchio con due spuntoni d'osso che escono dalla carne viva, quella destra c'è ancora, lacerata dalle ferite. La mano sinistra è devastata, la destra è ferita; la schiena e la zona pelvica riportano ferite profonde da scheggia.
Dovremmo essere abituati a queste scene, ma l'orrore non ammette assuefazione.
Le condizioni di Quadratullah vengono stabilizzate e il bambino viene inviato subito in sala operatoria.
Con lui è arrivato anche il padre, Ajimir Aziz, ferito ad un braccio.
Quando gli chiediamo che cosa è successo, estrae dalla tasca due albicocche scoppiando a piangere.
Questa mattina era andato insieme a Quadratullah a raccogliere le albicocche in un piccolo frutteto vicino alla loro casa, in un villaggio che dista un paio d'ore di macchina da Kabul.
Quadratullah era contento perchè il padre gli stava dedicando la giornata: era il loro gioco, il loro momento per stare insieme.
Poi il bambino ha visto delle albicocche mature a terra e si è allontanato per raccoglierle pensando di portarle alla madre e ai fratelli. Si è chinato a raccogliere i frutti, poi uno scoppio.
E' stato un attimo, come sempre.
Ajimir allunga le due albicocche verso di me che lo guardo interdetta. Gli infermieri mi dicono di prenderle, me le sta donando.
Le prendo in mano, le guardo, le metto in tasca.
Due albicocche e la vita a metà di quadratullah.

Marina Castellano

Da: Emergency n. 48 - Settembre 2008

Questi sono gli effetti collaterali delle nostre missioni di "pace"...

venerdì 21 novembre 2008

Razzismo e criminalità

Ricevo da Roberto Malini del Gruppo EveryOne

Razzismo e xenofobia sono i più grandi alleati del crimine organizzato

E' risaputo in tutto il mondo che, purtroppo, l'Italia è uno dei massimi esportatori mondiali di criminalità. Si può anzi tranquillamente affermare che l'Italia, che ha inventato il crimine organizzato, detiene ancora il primato, in un campo tanto disdicevole.
I boss, i mercanti di droga, gli sfruttatori di prostituzione, i produttori di pedopornografia, i truffatori, i ladri, gli assassini italiani danno vita a una multinazionale dell'illecito e della morte che "produce" 130 miliardi di euro annui sul territorio italiano e almeno il triplo nel resto del mondo. Nonostante ciò, a causa della propaganda politico-mediatica, il popolo italiano si è convinto di essere vittima e non artefice del crimine, di essere minacciato dalla malavita e non di costituire una minaccia malavitosa. Finché persisterà nella coscienza degli italiani questo capovolgimento della verità, si potrà fare ben poco per contrastare la criminalità organizzata e per riportare nel nostro Paese una cultura della vera legalità, base della democrazia e della civiltà. E' davvero incredibile come gli italiani siano persuasi che illegalità, violenza e insicurezza derivino da comportamenti isolati degli "stranieri", quando il controllo del crimine - di tutto il crimine - è saldamente in mano alle cosche italiane, che si avvalgono sia di manovalanze nostrane che provenienti da altri Paesi. I partiti xenofobi contribuiscono da molti anni al diffondersi della disinformazione, che è la più fedele alleata dalle società malavitose, perché l'odio razziale è il miglior "concime" per le attività criminali. Oggi Umberto Bossi, rispondendo polemicamente agli appelli del Vaticano e del presidente Napolitano, ha ribadito il suo pensiero: "Gli immigrati sono una risorsa negativa per il nostro Paese".
Mafia S.p.A. ringrazia.

Roberto Malini
roberto.malini@annesdoor.com
www.annesdoor.com

lunedì 17 novembre 2008

Forza compagni!

Pubblico una lettera indirizzata a tutti gli iscritti dal nostro Segretario regionale e da tutti i Segretari delle Federazioni provinciali.

Car* compagn*,

la difficile, a volte drammatica, situazione economica e sociale e la complessa, e per altri versi anch’essa drammatica, fase politica che stanno interessando l’Italia vedono il Partito impegnato in uno sforzo di mobilitazione che, per diffusione territoriale e capillarità di interventi, ha forse pochi precedenti. Un Partito che prova a coniugare l’impegno tradizionale nella azione politica (vedi la raccolta di firme per il referendum sul cosiddetto lodo Alfano) alla partecipazione alle tante forme in cui si sta ri-organizzando l’opposizione sociale alle politiche del governo delle destre (dall’Onda studentesca al pubblico impiego, dalla TAV alla difesa dei diritti dei migranti, fino alle mille vertenze e mobilitazioni che nascono nei territori) e alla sperimentazione di nuove ed innovative modalità d’azione che tentano di incontrare i bisogni reali e sempre più pressanti della gente comune, quali quella della vendita del pane a prezzo politico.

Un Partito quindi che agisce pienamente nello spirito con cui Rifondazione Comunista è sorta nel 1991: ricercare forme e contenuti nuovi ed innovati per la rifondazione di un progetto di società diversa, più libera e giusta e misurarli e misurarsi con le attese e le richieste di chi vogliamo provare a rappresentare.

E’ evidente che questo sforzo necessita dell’impegno e della partecipazione di tutte e di tutti e necessiterebbe che la pluralità che ci ha sempre caratterizzato, la franca dialettica che ha reso vivo ed insieme fraterno il nostro dibattito e che ha permesso, perciò alla “rifondazione comunista” di assumere quel profilo nuovo ed originale capace di consentirci un dialogo largo e fecondo con tutti i movimenti sociali ed insieme una efficace e proficua azione istituzionale, continuasse ad essere quel minimo comun denominatore che ha trasformato tante storie diverse di impegno sociale e di militanza comunista in un progetto politico ed in una speranza concreta. Invece pare, per alcune compagne ed alcuni compagni, che la critica alle scelte, certo difficili, fatte dalla maggioranza di noi sia la sola cosa utile da farsi, che le esperienze maturate, le costruzioni di senso e società che abbiamo prodotto, le lotte che abbiamo organizzate debbano essere superate, e quindi cancellate, per approdare sul bagnasciuga molle di una indistinta soggettività di sinistra, oggetto più virtuale che reale - come le elezioni di Aprile purtroppo ci hanno già dimostrato - affollato di reduci delle tante mutazioni genetiche della post-Bolognina e privo delle energie di lotta che solo il conflitto sociale esprime, luna opaca del sole pallido di un Partito Democratico oramai sempre più indistinto “rassemblement” moderato e non più formazione della sinistra. Tutto ciò fa echeggiare quasi ogni giorno ed in tante interviste la drammatica parola della scissione, disinvoltamente usata o minacciata dimenticando quanto essa rappresenti, nella carne viva dei compagni che giorno dopo giorno “fanno” questa comunità, dolore e sofferenza.

Noi vogliamo rassicurarti che se anche questo inciampo dovesse essere messo sul nostro cammino, Rifondazione Comunista continuerà ad esserci, perché la sua storia e le sue esperienze sono l’unica concreta realtà esistente. Continuerà a tentare ostinatamente e con determinazione a lavorare per la ricerca e la costruzione dell’altro mondo possibile, per una società più libera, giusta ed uguale, sarà e continuerà ad essere quella comunità dove tutti possono sentirsi liberamente comunisti e liberamente esprimere la propria soggettività ed anche il proprio dissenso.

Speriamo, anzi siamo certi, che tu voglia essere con noi per continuare questa mai vinta, spesso fonte di amarezze e delusioni, ma comunque appassionante sfida che ci ha visto nascere nel 1991, contro tutto e contro tutti, e che ci vedrà esistere e resistere, ancora se necessario contro tutto e tutti, per l’oggi e per il domani perchè di te, di noi, delle nostre idee e dei nostri sogni c’è ancora e sempre più bisogno.

Viva Rifondazione Comunista.

giovedì 13 novembre 2008

Gli manca solo la pistola...

A proposito di sindaci sceriffi: ecco l'ultima trovata di Cofferati...

Sergio Cofferati chiude dalle 22 di notte 5 locali troppo rumorosi e provoca un terremoto politico nella sua Giunta. Protesta, infatti, la vicesindaco Adriana Scaramuzzino, non informata della decisione, che senza mezzi termini dice di non tollerare più «questo metodo di lavoro insopportabile». Non bastasse protestano anche gli stessi commercianti colpiti dal provvedimento che bloccano il Consiglio comunale: «Così falliamo, è un atto fascista». La nuova bufera sotto le due torri è scoppiata venerdì sera, quando Cofferati ha firmato le ordinanze di chiusura per cinque locali del "Pratello", zona storica della notte bolognese, colpevoli di schiamazzi e sforamenti negli orari. Increduli sia i comitati antirumore dei residenti che, spiegano, «ormai non ci speravamo più», sia i gestori dei locali. La vicesindaco ha alzato la voce perché da un anno e mezzo sta portando avanti proprio un progetto di confronto tra commercianti e residenti del "Pratello". Ma Cofferati non si è scomposto: «Mi preoccupa che un magistrato (la professione della Scaramuzzino prima del'ingresso in Giunta, ndr) non tenga conto delle ripetute violazioni di questi locali». Quasi una dichiarazione di sfiducia, tanto che, secondo il sindaco, «deve decidere lei se il suo punto di vista è compatibile con quello della giunta».

Da "Liberazione" dell'11 novembre 2008

martedì 11 novembre 2008

La bocca della Verità

In questi giorni cominceremo la distribuzione del nuovo "giornale" (passatemi questo termine) curato dai Gruppi consiliari di opposizione. Chi volesse può chiedere di riceverlo mandando una e-mail a questo indirizzo: laboccadellaverita_agugliano@yahoo.it



Chi invece avesse semplicemente voglia di leggerlo, può cliccare qui.

venerdì 7 novembre 2008

"La porta" di Magda Szabo

Per i libri ho un amore e un rispetto che potrei definire "religioso" se questo termine facesse parte della mia cultura.
Quando li leggo non li apro mai del tutto per non rigarne la costola. Figurarsi sottolinearli...
Stavolta l'ho fatto (anche se usando il righello, in modo tale che linea risultasse perfetta) con queste frasi:

"...ogni legame sentimentale rappresenta una potenziale aggressione, da quante più persone ci lasciamo avvicinare tanto più numerosi sono i canali attraverso cui il pericolo può colpirci...

"...Solo chi mi è vicino può farmi male davvero..."

Credo di sapere perchè l'ho fatto...

martedì 4 novembre 2008

Per la diciasettesima volta...

Il 29 ottobre 2007, per la diciassettesima volta consecutiva, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato una mozione presentata da Cuba contro il blocco economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti contro il popolo cubano da quasi cinquant’anni.
La votazione ha avuto il seguente risultato:
185 voti a favore della mozione cubana, 2 astenuti, 3 voti contrari, 2 paesi assenti alla votazione.

I voti contrari sono stati espressi da Stati Uniti, Israele, Palau. Gli astenuti sono stati le Isole Marshall e la Micronesia. Cuba ha ottenuto un voto in più rispetto all’anno scorso.
Vi invitiamo a leggere questo articolo sul blocco che colpisce Cuba.
A fine agosto l’isola è stata colpita da due violentissimi uragani, che hanno causato danni per milioni di dollari. Solo l’intervento del governo e della protezione civile cubana hanno permesso l’incolumità fisica della popolazione civile, con un piano di evacuazione che ha coinvolto un quarto della popolazione.
A tutto questo si aggiungono i danni causati in tutti questi decenni dal Blocco economico Usa che, oltre a colpire Cuba, impone pesantissime restrizioni a tutti i Paesi che con Cuba hanno rapporti economici e finanziari e che, in alcuni casi è arrivato ad impedire l’arrivo sull’isola di donazioni di generi di prima necessità ed ospedalieri.
Questo Blocco è stato condannato di recente da oltre settemila artisti ed intellettuali che ne chiedono la fine immediata. Questa la notizia riportata da Prensa Latina: Chiesta nel mondo la fine del blocco contro CubaQuesto Blocco è fuori dal Diritto Internazionale e si configura come atto di guerra e genocidio nei confronti del popolo cubano e del governo rivoluzionario dell’isola.
Dal 1992, per ben sedici volte consecutive, le Nazioni Unite hanno condannato questa pratica illegale che, calcolando per difetto fino a dicembre 2007, ha causato perdite economiche per Cuba per un valore superiore ai 93 miliardi di dollari.
L’Italia, fin dal 1995, ha sempre votato a favore della risoluzione cubana (prima si asteneva) che vede, puntualmente, il voto contrario di Usa ed Israele.

Da “L'Ernesto” - Newsletter - n. 75 30 Ottobre 2008

sabato 1 novembre 2008

W l'Italia, il paese dove il razzismo non c'è!



Ho ricevuto questa e-mail dal Gruppo EveryOne.
La pubblico perchè vale la pena rifletterci su.



Dal 17 al 20 ottobre 2008 l'europarlamentare Viktoria Mohacsi - ungherese di etnia Rom - ha ispezionato alcuni insediamenti Rom in Italia, accompagnata da una delegazione di specialisti nell'indagine di eventi di intolleranza contro i Rom e da una troupe ungherese di riprese documentarie, incaricata di filmare le realtà degli insediamenti e le testimonianze delle vittime di episodi di odio e violenza razziale. Roberto Malini, Dario Picciau, Matteo Pegoraro e Nico Grancea del Gruppo EveryOne hanno lavorato fianco a fianco con Viktoria Mohacsi per consentirle di scavare nel fenomeno del razzismo in Italia, entrando nei luoghi abbandonati, inospitali e degradati in cui le famiglie Rom, oggetto di una feroce discriminazione e quotidianamente braccate dalle autorità, sono state costrette a rifugiarsi. La delegazione ha potuto verificare quanto già denunciato dal Gruppo EveryOne, pubblicato dal quotidiano El Pais e pubblicamente riconosciuto dal ministro dell'Interno: i Rom che si erano rifugiati in Italia, in cerca di un'opportunità di sopravvivenza, sono stati di fatto scacciati attraverso una politica persecutoria messa in atto dalle Istituzioni centrali italiane e attuata capillarmente su tutto il territorio nazionale dalle autorità locali. Sgomberi, sottrazione di bambini "per mancanza di residenza e mezzi di sostentamento", minacce, violenze, istigazione all'odio razziale, propaganda mediatica, tacito sostegno alle squadre di razzisti, abusi polizieschi e giudiziari, messinscene per criminalizzare persone di etnia Rom: con questi strumenti è stata realizzata una tragica purga etnica sotto gli occhi dell'Unione europea, che ha reagito timidamente attraverso Risoluzioni (documenti inutili, poiché si tratta di "orientamenti" e non di obblighi rivolti agli Stati che violano le norme Ue), ammonimenti, blande dichiarazioni antirazziste. Se nella primavera del 2007 vi erano in Italia da 40 a 45 mila Rom provenienti dalla Romania, alla fine di luglio 2008 ne restavano cinquemila, mentre oggi ne possiamo contare poco più di tremila: famiglie in uno stato di salute e povertà così disperato da impedire loro perfino il ritorno in patria o la fuga verso la Spagna, la Francia e gli altri Paesi che, almeno parzialmente, si attengono alla normativa Ue sulla libera circolazione dei cittadini dell'Unione e sulla desegregazione. Viktoria Mohacsi e i suoi collaboratori hanno ispezionato i luoghi in cui vivono gli ultimi Rom romeni rimasti in Italia, alcune comunità di Rom e Sinti italiani, insediamenti di famiglie Rom originarie dei Paesi della ex Jugoslavia.
Da Padova a Bologna, da Pesaro a Firenze, da Sesto San Giovanni a Milano, la delegazione ha raccolto documentazione riguardo alla condizione dei "nomadi" in Italia, intervistando decine di testimoni della persecuzione e filmando i luoghi in cui i Rom convivono con topi, parassiti e disperazione. Stiamo preparando un dossier illustrato da fotografie, per raccontare all'Ue le fasi del drammatico viaggio in Italia compiuto da una coraggiosa parlamentare europea che si batte da quindici anni contro la tragedia del razzismo che sta annientando il suo popolo. Sono tappe di un itinerario di civiltà, un itinerario difficile, irto di insidie, che accomuna poche persone: un manipolo di "giusti" che, per fortuna, cresce ogni giorno e che ogni giorno - correndo gravi rischi - ricorda all'Europa che "unione" significa fratellanza e che dalla cultura dell'odio razziale possono nascere solo orrori e divisioni senza fine: spettro ormai concreto del fallimento morale, civile e reale dell'Unione europea.
Queste le parole dell’euro parlamentare, dopo aver visitato microinsediamenti e campi, a Roma e in altre città italiane:
"Ho viaggiato per tutta l'Europa e ho osservato le comunità Rom di tutti i Paesi dell'Unione europea, ma in nessun luogo ho visto con i miei occhi una situazione così grave di emarginazione e persecuzione della mia gente. Spero che l'esempio italiano, che si può paragonare solo alle persecuzioni razziali avvenute nel Terzo Reich, non si diffonda mai nei Paesi dell'Unione europea".

Aggiornamenti:

Milano, 29 ottobre 2008.
Vagano per i luoghi più inospitali e nascosti di Sesto San Giovanni e di Milano, alla ricerca disperata di un riparo per la notte. Qualcuno si è già accampato sotto un ponte o dietro i cespugli di un parco. Altri hanno affrontato un difficile viaggio di ritorno verso la Romania e le città da cui si sono allontanati negli anni scorsi, per sfuggire la miseria, la fame, l'emarginazione.
Il nuovo sgombero è avvenuto secondo la solita procedura, spietata e repentina. Poliziotti, carabinieri e agenti di polizia municipale hanno costretto le famiglie a uscire dai loro rifugi e a incamminarsi verso il nulla: bambini, donne e uomini. Malati e portatori di gravi handicap, fra cui diversi mutilati. La famiglia di Ciprian, in lutto, è stata costretta ad abbandonare l'edificio in cui ha perso la vita il loro giovane congiunto. Alcuni genitori hanno chiesto alle autorità di poter trascorrere almeno qualche notte presso un dormitorio o un ricovero. Alcune donne incinte e malati febbricitanti hanno chiesto qualche ora, prima di abbandonare le baracche. Ma gli ordini erano chiari: nessun "privilegio". I Rom della ex Falck se ne dovevano andare.
"Non abbiamo neanche protestato", ha detto una giovane madre, "perché quando lo facciamo, arrivano le assistenti sociali e ci rubano i bambini".

Ma noi continuiamo pure a dormire i nostri sonni tranquilli.
W l'Italia, il paese dove il razzismo non c'è...

mercoledì 29 ottobre 2008

Consiglio comunale del 28 ottobre 2008


Spettatori presenti: uno
(e poi ci lamentiamo di come siamo governati!)

Le comunicazioni del Sindaco hanno riguardato le celebrazioni per il IV novembre.
Il secondo punto ha riguardato l’approvazione definitiva alla lottizzazione dell’ IP 19 (Borrea – Castel d’Emilio) sul quale abbiamo presentato un emendamento per allargare da uno dei due marciapiedi previsti portandolo da m. 1,00 a m. 1,20 in modo tale da rispettare le norme per l’abbattimento delle barriere architettoniche.
Un secondo emendamento è stato presentato direttamente dal Sindaco e ha riguardato la rinuncia ad un’area di verde pubblico in cambio della realizzazione di un tratto di un percorso pedonale. Abbiamo ritenuto di poter condividere l’emendamento in quanto l’area verde sarebbe stata poco fruibile essendo in forte pendenza, ma abbiamo chiesto che venisse garantito il rispetto degli standard di legge e che il valore dell’area venisse messo a confronto con il computo metrico dei lavori di realizzazione del percorso pedonale.
Sull’assetto generale della lottizzazione ci siamo astenuti non condividendolo appieno.
Il terzo ed ultimo punto ha trattato ladozione della 2^ variante al piano di lottizzazione della scheda d’ambito IP 13 (Sud Via De Gasperi – Largo I° Maggio).
Anche su questo punto ci siamo astenuti, perché la soluzione proposta non ci convince del tutto.

Quello che ci stupisce (o forse no) è la fretta con cui vengono approvati questi piani di lottizzazione e le relative varianti.
Stavolta un Consiglio comunale è stato addirittura convocato appositamente, ma in pratica non c’è Consiglio che non contempli deliberazioni in tema di urbanistica.
Sarebbe interessante fare una statica per vedere quanti punti all’ordine del giorno in quattro anni e mezzo hanno riguardato questa materia.
Azzardo... Almeno il 50%!!!

domenica 26 ottobre 2008

Democrazia apparente


Io credo che tutti noi (o almeno la maggioranza) abbiamo sempre pensato di vivere in un Paese democratico.
Ma se un Senatore della Repubblica italiana rilascia le dichiarazioni riportare sotto, evidentemente ci siamo sbagliati.


Andrea Cangini per il "Quotidiano Nazionale"

Presidente Cossiga, pensa che minacciando l’uso della forza pubblica contro gli studenti Berlusconi abbia esagerato?

«Dipende, se ritiene d’essere il presidente del Consiglio di uno Stato forte, no, ha fatto benissimo. Ma poiché è l’Italia è uno Stato debole, e all’opposizione non c’è il granitito Pci ma l’evanescente Pd, temo che alle parole non seguiranno i fatti e che quindi Berlusconi farà quantomeno una figuraccia».
Quali fatti dovrebbero seguire?
«A questo punto, Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interno».
Ossia?
«In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino di dodici anni rimanesse ucciso o gravemente ferito…».
Gli universitari, invece?
«Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città».
Dopo di che?
«Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri».
Nel senso che…
«Nel senso che le forze dell’ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli a sangue e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano».
Anche i docenti?
«Soprattutto i docenti. Non quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che indottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!».
E lei si rende conto di quel che direbbero in Europa dopo una cura del genere? «In Italia torna il fascismo», direbbero.
«Balle, questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l’incendio».
Quale incendio?
«Non esagero, credo davvero che il terrorismo tornerà ad insanguinare le strade di questo Paese. E non vorrei che ci si dimenticasse che le Brigate Rosse non sono nate nelle fabbriche ma nelle università. E che gli slogan che usavano li avevano usati prima di loro il Movimento studentesco e la sinistra sindacale».
E’ dunque possibile che la storia si ripeta?
«Non è possibile, è probabile. Per questo dico: non dimentichiamo che le Br nacquero perché il fuoco non fu spento per tempo».
Il Pd di Veltroni è dalla parte dei manifestanti.
«Mah, guardi, francamente io Veltroni che va in piazza col rischio di prendersi le botte non ce lo vedo. Lo vedo meglio in un club esclusivo di Chicago ad applaudire Obama…».
Non andrà in piazza con un bastone, certo, ma politicamente…
«Politicamente, sta facendo lo stesso errore che fece il Pci all’inizio della contestazione: fece da sponda al movimento illudendosi di controllarlo, ma quando, com’era logico, nel mirino finirono anche loro cambiarono radicalmente registro. La cosiddetta linea della fermezza applicata da Andreotti, da Zaccagnini e da me, era stato Berlinguer a volerla… Ma oggi c’è il Pd, un ectoplasma guidato da un ectoplasma. Ed è anche per questo che Berlusconi farebbe bene ad essere più prudente».

fonte: http://www.senato.it/notizie/RassUffStampa/081023/jmsra.tif

giovedì 23 ottobre 2008

Un'idea di pace


Emergency ha lanciato l'ennesima iniziativa:
"La nostra idea di pace"


Fino al 22 ottobre con un SMS inviato al 48587 si poteva dare un contributo alla costruzione del Centro pediatrico che Emergency realizzerà a Nyala, in Darfur.
Nyala è abitata da oltre un milione e mezzo di persone, in larga parte profughi in fuga dalla guerra accampati nei 7 campi sorti nei sobborghi della città.
Con questo progetto Emergency assicurerà assistenza sanitaria qualificata e gratuita alla popolazione di un'area vastissima, dando attuazione a un diritto umano fondamentale: il diritto alla salute.
Il Centro pediatrico di Emergency offrirà assistenza sanitaria qualificata e gratuita 24 ore su 24 ai bambini fino ai 14 anni di età per patologie quali malnutrizione, infezioni alle vie respiratorie, malaria, infezioni gastrointestinali ed effettuerà programmi di immunizzazione e attività di educazione igienicosanitaria.
Presso il Centro sarà attivo un ambulatorio per lo screening dei pazienti cardiopatici da trasferire al Centro Salam di Emergency di Khartoum per l'intervento di cardiochirurgia e per il successivo follow-up.

Per maggiori informazioni:
www.lanostraideadipace.org - 02.881881

Arrivo tardi per rilanciare questa specifica iniziativa, ma quello dell'invio di un SMS non è la sola possibilità per poter aiutare questa associazione.

Un altro mondo è possibile.
Associazioni come Emergency lavorano per rendere reale questa possibilità...

domenica 19 ottobre 2008

Scusate l'assenza...


... dai vostri blog.

O perlomeno una presenza meno costante del solito che voglio spiegarvi.


La mia vita sta cambiando e io non riesco a governare come vorrei tutti i cambiamenti che mi stanno investendo. Talune cose mi sfuggono...
Alcuni impegni, come quello nella Federazione provinciale del P.R.C. (Responsabile degli Enti locali e del sito internet) li ho voluti e non me ne pento.
Di altre situazioni personali ritengo di avere una responsabilità molto limitata, ma mi trovo comunque a doverle gestire ugualmente...
Non ho intenzione di smettere di tenere il blog, ma dovrò limitare il tempo da dedicargli.
Non per questo voglio perdere il rapporto che ho con moltissimi di voi che passano a leggermi, per cui ogni tanto pubblicherò qualcosa e farò il possibile per continuare a venirvi a trovare.

Con affetto. Franca

lunedì 13 ottobre 2008

11 ottobre: diario a quattro mani.

Ci alziamo la mattina dell'11 ottobre che è ancora buio. Ci mettiamo in viaggio e già fa capolino il sole; lo vediamo alzarsi all'orizzonte ma, soprattutto, ce lo sentiamo dentro. Siamo una famiglia dislocata geograficamente e la manifestazione è anche un'ottima scusa per rivederci. Sara e Gabriele partono da Parma in treno, perchè il pullman di Rifondazione parte troppo presto per un edicolante che deve consegnare i giornali. Franca, invece, da Ancona è già in marcia coi compagni del partito. Appuntamento fra di noi e con i tanti amici con cui abbiamo condiviso anni di impegno e di lotta in Piazza della Repubblica. Ad ogni traversina dei binari, ad ogni chilometro di strada, monta l'emozione. Nei nostri blog restano i segni, già vecchi, dello sforzo fatto per contrastare il silenzio colpevole dei media, i cellulari sono già scarichi nell'ultimo tentativo di convincere tutti della necessità di questa presenza.
Roma ci accoglie con una giornata quasi estiva, come volesse partecipare a rendere ancora più caldo questo evento. Ci fermiamo "in Piazza Esedra per il solito caffè" e cominciano i primi abbracci... siamo di nuovo tutti insieme! Il nostro piccolo nucleo familiare e quello più esteso di tutti coloro che (disoccupati, donne, studenti, giovani, lavoratori, pensionati, extracomunitari), come noi, credono davvero - e non si tratta solo di uno slogan - che un'Italia e un mondo diverso siano possibili.
Il corteo si muove poco prima delle due; tra i primi ci sono i compagni del Manifesto imbavagliati in segno di protesta per i tagli all'editoria, noi con lo striscione del comitato regionale, il segretario Ferrero finalmente sorridente: la sua ansia (e la nostra) si scioglie a vedere confluire un mare di bandiere rosse... ma quanti siamo?!
Ci sono davvero tutte le realtà della sinistra (c'è persino la banda di Testaccio!); c'è Véronique che, solidale, arriva da Parigi pronta a sostenere i compagni italiani e a scattare centinaia di fotografie; c'è Luigi, il nostro "friggitore di salcicce", con la bandiera della sezione di Montemarciano orlata a fili d'oro con i palloncini in cima all'asta; c'è tutta la nostra rappresentanza istituzionale al gran completo confusa fra gli altri; ci sono Andrea, Matteo, Simone, Schuma, tutti gli amici di sempre; c'è Marina meravigliosa e poetica "romanaccia autentica" con tanto di nipotino al seguito provvisto di kit da piccolo infermiere, pronto ad aiutare eventuali compagni infortunati. La nostra amicizia virtuale trova, in questa manifestazione che unisce, l'occasione di diventare reale (Marina, contiamo su di te per visitare le fosse ardeatine nel giro dedicato alla memoria che stiamo un po' alla volta percorrendo); c'è un compagno baffuto con un'immensa bandiera rossa che fatica a trascinare e che domina l'intero Circo Massimo. Proviamo un'indescrivibile emozione ad incontrare Haidi Giuliani con cui, noi reduci di Genova, per sempre condivideremo uno sterminato affetto, una giusta rabbia e un'esigenza di giustizia.
Arriviamo in piazza Bocca della Verità - mai così piena! - e ripercorriamo a ritroso tutto il corteo che continuerà a sfilare per più di cinque ore consecutive. Incontriamo Rinaldini coi compagni della FIOM, gli studenti compatti contro la Gelmini, tantissimi giovani (un'assicurazione per il futuro), il camion dei Giovani Comunisti/e che non smettono per un secondo di ballare. Siamo più di 300.000, dal palco azzardano un mezzo milione che non ci sembra poi così esagerato.
Sangue rosso scorre in ogni via (ogni vena), Roma è un cuore che pulsa.
Quando usciamo dalla metropolitana è già notte e il ritorno è l'occasione per tirare le prime conclusioni. E' evidente che la Sinistra c'è e ha ancora voglia di lottare. L'esigenza è quella di lasciarsi indietro le divisioni e gli sbagli politici: due anni di partecipazione al governo hanno lasciato il segno. La sconfitta elettorale è stata bruciante, ma anche per questo deve diventare la spinta per ripartire e ritrovare una logica di lavoro partecipato: la nostra gente ha dimostrato di esserci e di crederci ancora.
Ripartiamo da qui!
Intanto, semplicemente, ci acconteremmo di ripartire da Roma, ma all'appello i compagni non sono tutti: alcuni si sono persi in metropolitana! A metà strada siamo talmente stanchi che dobbiamo chiamare l'ambulanza perché un compagno è svenuto. Arriviamo a casa dopo le due e mezza (ma i compagni di Torino hanno fatto anche più tardi)... stremati, puzzolenti, ma felici!
Alcune nostre foto le trovate qui