"Dopo un raccolto ne viene sempre un altro, andiamo avanti...
Guardate la mia famiglia: avevo sette figli ed ora ho undici nipoti. Avevo quattro mucche, e adesso sono cinquantaquattro capi di bestiame, con la produzione del grano che è salita a cinque volte quella del '35...
In più, abbiamo dato sette vite alla patria".
Ho da poco finito di leggere "I miei sette figli", il libro di Alcide Cervi e Renato Nicolai (Ed. Editori Riuniti) che consiglio a tutti di leggere.
Se invece di scrivere queste righe avessi dovuto esprimermi con le parole, non avrei potuto: la commozione mi avrebbe chiuso la gola e spezzato la voce.
Il libro è stato scritto da Renato Nicolai dopo un'inchiesta molto minuta fatta tra la gente del luogo, andando in giro per le campagne intorno al Po', e dopo uno studio accurato del dialetto locale, seguendo la narrazione fatta da Alcide Cervi su fatti ed eventi da lui vissuti direttamente.
Mi rimane facile illustrare lo spirito del libro attraverso le parole di Sandro Pertini, autore della prefazione:
"Ciò che colpisce, ancora oggi, in questo racconto è in primo luogo l'arguzia, l'allegria, direi la virile felicità con cui la famiglia Cervi visse dal principio alla fine la sua tragica avventura...
La storia dei Cervi dimostra come si possa diventare antifascisti partendo dai valori più elementari ed essenziali: l'amore per l'uomo, il culto della famiglia, la passione per il lavoro dei campi...
E' un piccolo capolavoro di dolcezza, di fierezza e di forza. Una testimonianza della perennità di quei valori della Resistenza ai quali spesso mi rifaccio come al fondamento del nostro consorzio civile..."
Libri come questi possono colmare il colpevole silenzio della scuola italiana che sempre più spesso ferma il trascorrere della storia ai fatti accaduti prima delle guerre mondiali, concorrendo così alla perdita della nostra memoria.
Desidero chiudere questo post con la frase finale del libro:
"Che il cielo si schiarisca, che sull'Italia torni la pace e la concordia, che i nostri morti ispirino i vivi, che il loro sacrificio scavi profondo nel cuore della terra e degli uomini.
Allora sì, mi sarò guadagnato la mia morte, e potrò dire alla madre dolce e affettuosa, alla sposa mia adorata: la terra non è più come quando c'eri tu, sulla terra si può vivere, e non solo morire di crepacuore.
E ai figli dirò: l'Italia vostra è salva, riposate in pace, figli miei".
Puoi farlo Alcide: a me e ai miei figli il vostro esempio è servito.
Guardate la mia famiglia: avevo sette figli ed ora ho undici nipoti. Avevo quattro mucche, e adesso sono cinquantaquattro capi di bestiame, con la produzione del grano che è salita a cinque volte quella del '35...
In più, abbiamo dato sette vite alla patria".
Ho da poco finito di leggere "I miei sette figli", il libro di Alcide Cervi e Renato Nicolai (Ed. Editori Riuniti) che consiglio a tutti di leggere.
Se invece di scrivere queste righe avessi dovuto esprimermi con le parole, non avrei potuto: la commozione mi avrebbe chiuso la gola e spezzato la voce.
Il libro è stato scritto da Renato Nicolai dopo un'inchiesta molto minuta fatta tra la gente del luogo, andando in giro per le campagne intorno al Po', e dopo uno studio accurato del dialetto locale, seguendo la narrazione fatta da Alcide Cervi su fatti ed eventi da lui vissuti direttamente.
Mi rimane facile illustrare lo spirito del libro attraverso le parole di Sandro Pertini, autore della prefazione:
"Ciò che colpisce, ancora oggi, in questo racconto è in primo luogo l'arguzia, l'allegria, direi la virile felicità con cui la famiglia Cervi visse dal principio alla fine la sua tragica avventura...
La storia dei Cervi dimostra come si possa diventare antifascisti partendo dai valori più elementari ed essenziali: l'amore per l'uomo, il culto della famiglia, la passione per il lavoro dei campi...
E' un piccolo capolavoro di dolcezza, di fierezza e di forza. Una testimonianza della perennità di quei valori della Resistenza ai quali spesso mi rifaccio come al fondamento del nostro consorzio civile..."
Libri come questi possono colmare il colpevole silenzio della scuola italiana che sempre più spesso ferma il trascorrere della storia ai fatti accaduti prima delle guerre mondiali, concorrendo così alla perdita della nostra memoria.
Desidero chiudere questo post con la frase finale del libro:
"Che il cielo si schiarisca, che sull'Italia torni la pace e la concordia, che i nostri morti ispirino i vivi, che il loro sacrificio scavi profondo nel cuore della terra e degli uomini.
Allora sì, mi sarò guadagnato la mia morte, e potrò dire alla madre dolce e affettuosa, alla sposa mia adorata: la terra non è più come quando c'eri tu, sulla terra si può vivere, e non solo morire di crepacuore.
E ai figli dirò: l'Italia vostra è salva, riposate in pace, figli miei".
Puoi farlo Alcide: a me e ai miei figli il vostro esempio è servito.
1 commento:
C'è poco da aggiungere al tuo bellissimo post. L'emozione che ho provato fra quelle righe, come pure al museo di Gattatico, va oltre ogni mia capacità di espressione.
La critica che fai al sistema scolastico è giustissima: sono cose che tutti dovrebbero sapere e che tutti dovrebbero contribuire a ricordare. Per fortuna io ho una mamma che da subito mi ha insegnato i valori autentici seguendo i quali una vita vale realmente la pena di essere vissuta :*
Ricordiamoci, come disse Maria Cervi, che la resistenza non è solo un fatto di lotta, ma soprattutto un fatto culturale.
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