Fino al 1978 l’interruzione volontaria della gravidanza era considerata un reato.
Nel 1978 fu varata la 194 che consente alla donna di interrompere volontariamente una gravidanza entro 90 giorni dal concepimento. Dopo questo termine, l’aborto può essere praticato solo quando la gravidanza comporta un grave pericolo per la donna o quando siano accertate anomalie per il nascituro a loro volta in grado di determinare un grave pericolo per la salute fisica e psichica della donna.
Nel 1981, tre anni dopo l’approvazione della legge, la Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale promossero un referendum popolare per chiedere l’abrogazione della legalizzazione dell’aborto, ma con una maggioranza netta (68%) vinsero i “no” all’abrogazione.
A pochi giorni dalla vittoria elettorale del centro-destra, tornò al centro dell’attenzione la revisione della legge 194. Il Segretario del CDU, Rocco Buttiglione, nel corso della trasmissione televisiva “Porta a Porta” disse: “la legge va migliorata, dando maggior sostegno alla donna e potenziando i centri privati”.
L’uscita di Buttiglione era avventa all’indomani dell’intervento del Segretario della CEI, monsignor Betori, che aveva espresso il desiderio di una revisione della legge.
Il nuovo intervento della Chiesa su un tema che negli anni ’70 – ’80 ha diviso la società italiana aveva sollevato una tempesta tra le donne laiche. Ma anche da destra non erano mancate le polemiche. “Contro l’appello della CEI – disse Alessandra Mussolini – dico a tutte le donne in politica e non, di unire le forze e di trovare una coscienza critica comune al di là delle ideologie”.
Oggi l’offensiva clericale si ripropone: il quotidiano dei vescovi “Avvenire” nei giorni scorsi ha chiesto di «fare un tagliando» alla 194.
La legge 194 è stata trattata come una macchina a cui, dopo trent'anni, è necessario fare un tagliando di revisione. La posta in gioco, ancora una volta, è la libertà delle donne, la difesa della loro autodeterminazione, lo spostamento della linea di confine tra un paese civile e laico e un paese incivile e fondamentalista.
Lo scopo delle gerarchie vaticane è quello di colpire la legge nella sua complessità e nel suo valore simbolico. La politica si è dimostrata attenta alle sirene vaticane e la risposta del governo di centrosinistra è apparsa ambigua, subito disposta a mediare con quanto gli si chiede al di là del Tevere.
Ambigua anche la posizione del Ministro Turco che ha affrontato uno dei temi più scottanti, al centro della contesa: l’inizio della vita, la differenza tra feto e nascituro. Ma qui il terreno è pericoloso. Se l'embrione è vita, come dice la legge sulla fecondazione assistita, c'è poco spazio per qualsiasi mediazione.
Sarebbe molto più apprezzabile da parte del Ministro il lancio di una campagna contro la discriminazione nei confronti dei medici che fanno le interruzioni di gravidanza e l’erogazione di finanziamenti ai consultori ormai ridotti in molti casi a ambulatori polivalenti oppure addirittura chiusi.
La legge che regola l'interruzione volontaria della gravidanza va difesa ad oltranza anche perché grazie a questa legge il numero di aborti dal 1982 a oggi è calato del 45%; il dato dello scorso anno parla di un calo del 6,2%.
Nell'ultima relazione disponibile sull'interruzione volontaria di gravidanza, elaborata dal Ministero della Sanità nel 2006, viene evidenziato che ormai il ricorso all'aborto è considerato dalle donne italiane “l'ultima ratio”. Sono le donne straniere a ricorrere maggiormente all'intervento: nel 2004 risultavano il 27% del totale degli aborti pur costituendo all'incirca solo il 2,5% della popolazione femminile.
Elettra Deiana, deputata di Rifondazione comunista sostiene che “la 194 non ha bisogno di tagliandi, semmai è il principio della autodeterminazione femminile, in essa contenuto, che andrebbe riaffermato” e, rifiutando ogni idea di “rivisitazione” della legge, conclude “Chi meglio di una madre può decidere se un feto deve essere partorito o meno. Il principio della responsabilità femminile sulla scelta di maternità non può essere messo sotto controllo o tutela da parte dello Stato o delle forze politiche o di una non precisata autorità morale. Le nuove tecnologie applicate sul corpo aprono frontiere del tutto nuove su cui dobbiamo attrezzarci dal punto di vista culturale, ma questo non può rappresentare un alibi per quanti in ogni occasione chiedono la revisione della 194 in senso restrittivo”.
Modificare o addirittura abrogare la legge 194 significherebbe fare un salto indietro di trenta anni e costringere le donne a ricorrere nuovamente all’aborto clandestino.
La legge, semmai, andrebbe potenziata negli aspetti di tutela della maternità, con servizi e assistenza alle donne e all’infanzia, dunque asili nido, scuole materne, scuolabus e orari compatibili con le esigenze di lavoro delle donne e delle famiglie.
La legge 194 andrebbe potenziata negli aspetti che prevedono informazione e tutela.
Nessuno è favorevole all’aborto; la questione resta su quali strumenti siano realmente utili per ridurre il ricorso ad esso.
Introdurre una seria educazione sessuale, fornire servizi efficienti e assistenza alle donne e all’infanzia: questi devono essere gli obiettivi di chi vuole garantire veramente la sicurezza e la difesa della vita. Il resto sono solo parole.