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domenica 5 luglio 2015

domenica 29 marzo 2015

martedì 24 marzo 2015

Manifestazione nazionale 28/03/2015


Le richieste della Fiom al Governo

"Chiediamo un maggiore intervento statale in termini di investimenti nei settori strategici delle nostre attività produttive. Senza questo sarà difficile immaginare una ripresa reale dell'occupazione, ma al massimo la trasformazione di contratti già in essere. 
Il nostro è un paese che oltre ad una crisi economica e sociale corre il rischio anche di una vera e propria crisi democratica. Per questo riteniamo pericolosa l'idea di un governo che anziché cogliere lo spirito della sentenza della Corte costituzionale sulla attuale legge elettorale, si attribuisce il potere di modificare parti consistenti della Costituzione, attribuendo al Parlamento una minore rappresentatività politica di quello che è il paese reale e senza introdurre i giusti contrappesi di garanzia tra i vari poteri. Il tutto in nome di una governabilità che non giustifica la riduzione della sovranità popolare. 
Il nostro è un paese che ha un grande bisogno di giustizia sociale, ed il sindacato non può rinunciare o non sentire sua questa battaglia. 
Per questo la manifestazione indetta dalla Fiom per sabato prossimo, vuole essere un occasione per dare voce ai tanti disagi, alla povertà, alla disperazione che tanti lavoratori dipendenti e autonomi sono costretti a vivere in solitudine".

sabato 5 ottobre 2013

Ius soli, l'evidenza negata

Da Il Manifesto - Erri De Luca

Stamattina ho letto con soddisfazione di cittadino italiano la piccola notizia che la Federazione di Hockey su Prato tessera come atleti italiani gli immigrati nati sul nostro suolo. Applicano così all'aria aperta e sull'erba il diritto naturale di essere cittadini del luogo in cui si nasce.
Da noi questa evidenza non si ammette e l’argomento si ammanta della nebbiosa formula latina: ius soli.
In questo caso non importiamo termini anglosassoni, i preferiti dal linguaggio degli economisti e dei pubblicitari. In questo caso non parliamo di birthright citizenship, cittadinanza per diritto di nascita.
Non lo facciamo perché in quella lingua è norma applicata automaticamente a chi nasce sul territorio, per esempio americano, navi e aerei compresi. Il latino allontana.
Intanto mezzo migliaio di profughi si rovesciano in mare davanti ai nostri scogli. Mezzo migliaio insaccato dentro un bastimento sta in piene acque italiane e nessuna vigilanza lo avvista: lo segnala una imbarcazione privata.
Da qualche parte ho scritto: «Li lasciamo annegare/per negare». Con unanimità di governi continuiamo a tenere in vigore la incivile legge Bossi-Fini (ambo destro), costola peggiorativa della Turco-Napolitano (ambo sinistro). Le nostre autorità hanno promosso gli illegali respingimenti in mare, i sequestri dei pescherecci che osavano salvare naufraghi, la infamia dei campi di concentramento, Cie, per viaggiatori colpevoli di viaggio. Per supplemento di viltà quei detenuti vengono detti «ospiti», perché non esiste la fattispecie di reato. Esiste l’ignominia di imprigionare innocenti. Intanto di mezzo migliaio di profughi rovesciati in mare ne mancano a terra la metà. E mentre scrivo i corpi di annegati sono più di cento.
Non ai lettori del manifesto, ben informati dell’andazzo, ma a chi si affacciasse per curiosità su questa pagina: vi presento la peggior Italia possibile. Sappiate che è continuamente smentita e riscattata da tutt'altra Italia
Dall'Italia civile degli abitanti di Lampedusa che è diventata avamposto di futuro e ombelico del Mediterraneo. Da un papa argentino di cognome italiano che ha svolto il suo primo viaggio pastorale a Lampedusa, rigorosamente senza codazzo di autorità nostrane. Dalla gioventù, dalle organizzazioni che si battono per la chiusura dei Cie, per il diritto di asilo.
Se alla peggiore Italia possibile disturba tanto il diritto di cittadinanza per nascita, l’accoglienza ai profughi, suggerisco di prendere esempio dalla Federazione di Hockey su Prato. Invece che profughi, immigrati, richiedenti asilo, siano dichiarati atleti. Perché lo sono: hanno superato di corsa ogni ostacolo, saltatori in lungo e in largo tra le macerie delle loro case, schivatori di proiettili, lanciatori di fagotti al volo su mezzi di fortuna, di figli da una casa in fiamme, maratoneti di deserti, tuffatori di naufragi, scalatori di gabbie di tonni, olimpionici della resistenza a tutte le intemperie, le nostre comprese.
Abbiamo amato Chaplin e Chisciotte, i viaggi di Enea, Sindbad, Ulisse, cosa ci trattiene dall'accogliere a riva con la fanfara e il pane i loro nipotini eroici e desolati?

giovedì 12 settembre 2013

La Cassazione "A Bolzaneto sospeso lo Stato di diritto"

Detenuti senza mangiare e bere e con il divieto di andare in bagno, picchiati e umiliati in continuazione, costretti a inneggiare al fascismo. 
Se non è tortura questa, come altro definirla? In Italia però non si può dire, solo perché nei nostri vocabolari penali la parola non è contemplata, e allora la Corte di Cassazione, nel motivare la sentenza di condanna di sette agenti di polizia per le violenze nella caserma di Bolzaneto dopo il G8 del 2001, ha dovuto prodigarsi in sinonimi e dettagli. 
A dirla tutta, la procura di Genova ci aveva provato a far contestare un reato di tortura che nel nostro ordinamento non esiste, anche per evitare alcune prescrizioni che sono puntualmente arrivate, ma i magistrati della Suprema Corte avevano bocciato la richiesta, in punta di diritto. Se il mancato riconoscimento del reato ha consentito di salvare le apparenze, permettendo a chi vuole di continuare ad affermare che in Italia la tortura non esiste, e ha sortito l’effetto materiale di rendere più lievi le pene per i colpevoli, cionondimeno la sostanza della sentenza è durissima: nella caserma di Bolzaneto, nei giorni immediatamente seguenti il G8 di Genova, nel luglio 2001, è stato «accantonato lo Stato di diritto», le vessazioni sono state «continue e diffuse in tutta la struttura» e non si possono derubricare a singoli ed estemporanei «momenti di violenza». La caserma di polizia genovese, in quei giorni, si trasformò in un «carcere provvisorio» in cui lo Stato di diritto fu neutralizzato da un «clima di soverchiante ostilità». Un’atmosfera non dissimile da quella che si era respirata in piazza e nelle strade di Genova nei giorni precedenti, e poi durante il blitz notturno nella scuola Diaz. È grazie a questo clima, secondo i magistrati della Suprema Corte, che divennero possibili comportamenti altrimenti inammissibili, come in un Garage Olimpo all'italiana: il divieto di andare in bagno che costrinse alcuni ragazzi a farsela addosso, la negazione del cibo e dell’acqua, le continue violenze fisiche e psicologiche («non c’erano celle dove non volassero calci e pugni e schiaffi»). E non si trattò di «momenti di violenza che si alternavano a periodi di tranquillità, ma dell’esatto contrario». 
Le motivazioni della sentenza sono prodighe di episodi di quel reato che non si può nominare: c’è ad esempio il caso di una ragazza condotta al bagno, costretta a mantenere il «capo chino all'altezza delle ginocchia» con la «torsione delle braccia dietro la schiena», mentre al suo passaggio «poliziotti ai lati» continuavano con «percosse e insulti». L’agente (donna) che accompagnava la detenuta non fece desistere i colleghi, ma invitò la ragazza a «stare attenta a non cadere quando un agente le aveva fatto lo sgambetto».
La Corte aveva confermato, in buona sostanza, la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Genova il 5 marzo 2010, riducendo l’entità dei risarcimenti (cancellati o rinviati al giudizio civile). Dei 44 imputati al processo, erano stati condannati solo in sette: l’assistente capo della polizia Luigi Pigozzi (a 3 anni e due mesi), che aveva divaricato le dita della mano di un detenuto fino a strapparne la carne, gli agenti di polizia penitenziaria Marcello Mulas e Michele Colucci Sabia (a un anno), il medico Sonia Sciandra (che è stata assolta dal reato di minaccia e pertanto la pena le è stata diminuita), gli ispettori di polizia Matilde Arecco, Mario Turco e Paolo Ubaldi (a un anno, tutti e tre avevano rinunciato alla prescrizione). Erano state confermate anche le assoluzioni, quattro in totale, mentre tutti gli altri (33 in totale) erano stati sollevati dal giudizio in quanto i reati erano caduti in prescrizione. Ma i magistrati – questa è l’impressione – parlando di violenze «continue e diffuse» e del «completo accantonamento dei principi-cardine dello Stato di diritto» hanno voluto in ogni caso rimarcare come le responsabilità non possano restringersi solo sui sette condannati e hanno puntato il dito anche sulla catena di comando: «Non è da dubitarsi – scrivono – che ciascuno dei comandanti dei sottogruppi, avendo preso conoscenza di quanto accadeva, fosse soggetto all'obbligo di impedire l’ulteriore protrarsi delle consumazioni dei reati». Cosa che nessuno fece, e infatti non accadde. Così come lo Stato non ha mai chiesto scusa alle vittime di una delle pagine più nere della storia italiana dal dopoguerra a oggi. A oggi, non risultano neppure sospensioni o rimozioni dagli incarichi degli agenti condannati. 

Fonte: Il Manifesto - Autore: Angelo Mastrandrea

venerdì 5 ottobre 2012

De Gennaro e il Pd



di Norma Rangeri

«Sono certo che il prefetto De Gennaro, nel suo nuovo incarico istituzionale, potrà efficacemente portare avanti il suo impegno...», così Massimo D'Alema, l'11 maggio, salutava la nomina a sottosegretario del governo Monti dell'uomo che ai tempi del massacro alla Diaz era il capo della polizia. La stessa persona che nelle motivazioni della Corte di Cassazione interpreta il ruolo del fantasma del palcoscenico, l'ispiratore di una repressione disumana, segnata da efferatezze che ancora oggi si fatica a leggere nei particolari descritti dai giudici. Quel poliziotto d'Italia che non volle fermare le squadracce spinte, invece, a emulare un clima cileno, nel cuore dell'Europa, quando l'Italia berlusconiana sospese la democrazia con il sangue di ragazzi inermi. Lo stesso uomo che la Cassazione ritiene responsabile di aver sollecitato il meccanismo della pura violenza nel tentativo di riscattare l'onore perduto di una polizia che non aveva saputo vigilare sull'ordine pubblico nei giorni del G8.
Il comando di procedere ad arresti indiscriminati avrebbe prevalso sull'obbligo di osservare leggi e diritti.
Il cinismo del responsabile del Copasir appare oggi tanto più imbarazzante di fronte al pesante giudizio pronunciato dall'alta magistratura. E se D'Alema perse allora un'occasione per tacere, tuttavia le sue parole di encomio per De Gennaro si rivelano lo specchio perfetto dell'inverosimile silenzio della politica. La controprova del mutismo colpevole del Pd, il partito che si propone agli italiani come niente di meno che il baluardo della tenuta democratica.
Il segretario del Pd è intensamente impegnato negli affari interni del partito, preso dalle ingarbugliate vicende della campagna elettorale delle primarie. Non ha tempo da perdere, neppure una parola da spendere per sottolineare l'enormità della permanenza in uffici di governo del primo responsabile politico dei fatti di Genova. Il suo silenzio è il segno, un altro, della mancanza di una leadership affidabile, anche solo dal punto di vista della difesa della democrazia.
Tace Bersani e tace Monti, ciascuno testimone dell'ipocrita diatriba tra politici e tecnici. E, silenzio per silenzio, tanto vale tenersi Monti che almeno non si appende sul petto la medaglia di uomo di sinistra.
Solo Paolo Ferrero, solo il radicale Marco Perduca, solo l'allora portavoce del social Forum, Vittorio Agnoletto, hanno chiesto in queste ore le dimissioni di De Gennaro. Poche voci fuori dal coro a cui naturalmente aggiungiamo anche la nostra.
PS: A Bersani e a Monti fa compagnia un terzo silenziatore: il Corriere della Sera. In prima pagina nessuna notizia sulle motivazioni della Cassazione.

Il Manifesto - 04.10.12

domenica 19 agosto 2012

Il lavoro è un diritto

Si era dato fuoco a piazza montecitorio l'11 agosto, a Roma.
Si tratta di Angelo Di Carlo, l'operaio disperato perché senza lavoro da mesi e che dopo il gesto eclatante e disperato è stato soccorso e ricoverato all'ospedale Sant'Eugenio con ustioni sull'85% del corpo.
Il 54enne aveva con sé uno zaino con all'interno alcuni indumenti, un cellulare con in memoria solo il numero del suo avvocato e due biglietti: uno indirizzato al figlio e un altro con la richiesta di contattare il legale.

domenica 29 luglio 2012

La meglio gioventù del nostro tempo


Appello

Sostiene questo Paese con idee, desideri, progetti, volontariato, azioni concrete, scopre nuovi mondi e inventa il futuro. Eppure è sempre disoccupata, in cerca di lavoro, precaria, senza stipendio.
Studia per dare il meglio di sé e migliorare le vite di tutti e di tutte, ma una volta laureata è costretta ad andarsene.
E’ composta da giovani donne che vivono in un Paese ancora a misura di vecchi modelli maschili, giovani donne che non trovano alcuna opportunità.
Produce ricchezza e non ha niente in cambio: i giovani operai perdono il lavoro; i piccoli imprenditori sono costretti a chiudere l’attività.
Lavora ma in nero e sul lavoro rischia la propria vita e a volte la perde, perché non ci sono tutele e perché allo Stato e alle imprese spesso non interessa investire in sicurezza.
L’arricchiscono ragazzi nati in Italia da genitori immigrati in Italia e che non sanno se in futuro saranno riconosciuti italiani.
Questa è la meglio gioventù del nostro tempo, la gioventù che detiene in Europa il primato come Neet, l’acronimo in cui si ingabbia una generazione a cui non viene riconosciuto quel che già fa o che non può più studiare, lavorare, che non ha mai avuto l’opportunità di contribuire al cambiamento del proprio Paese, mentre la disoccupazione giovanile sfiora il 36%.
In nome di questa generazione il Governo Monti propone una riforma sbagliata, una truffa per tutti e in primo luogo per i giovani. In nome di questa generazione le politiche di austerity del Governo e della BCE cancellano il futuro di tutti, perpetuando lo stesso modello che ha alimentato le disuguaglianze, che ci ha condotto alla crisi economica e al fallimento di un intero continente.
Il disegno di legge sul mercato del lavoro presentato dal governo non risponde ai problemi principali che affliggono la vita di una generazione intera:
- lascia intatta la giungla delle 46 forme contrattuali, comprese quelle che il Governo aveva annunciato di voler eliminare;
- non estende gli ammortizzatori sociali, visto che l’assicurazione per l’impiego lascerà fuori buona parte dei lavoratori precari;
- non prevede nessuna forma di reddito minimo;
- scarica l’aumento di costo dei contratti a progetto sulle buste paga dei collaboratori;
- rappresenta una beffa per le reali partite iva che dovranno pagare di tasca loro l’aumento dei contributi.
Le tante promesse del Governo non sono state mantenute, così i giovani sono diventati il pretesto per precarizzare chi ha ancora un contratto stabile, altro che tutelare i precari!
Si è cercato, in questi anni, di dividere i padri dai figli, le madri dalle figlie, i “garantiti” dai “non-garantiti”. Noi pensiamo che ci siano oggi, come ieri, i ricchi e i poveri, chi vive di sfruttamento e speculazione e chi vive di lavoro. Per questo vogliamo mobilitarci assieme ai nostri padri e alle nostri madri, perché vogliamo unire due generazioni nella difesa dei diritti e nella lotta contro la precarietà, perché non è vero che non c’è alternativa alla disperazione attuale. I suicidi di questi giorni ci parlano di questo: quando si parla di “salva Italia” bisognerebbe pensare a quelle vite spezzate e alle tante solitudini che la precarietà e le disuguaglianze hanno creato.
La precarietà non è un’emergenza del mercato del lavoro, è il più grande attacco alla democrazia italiana degli ultimi decenni. La precarietà significa essere costretti a sopravvivere e si manifesta nella fotografia del diritto allo studio negato, delle scuole che crollano, dell’aumento delle tasse all’università, dell’impossibilità di scioperare o dire no di fronte a un sopruso sul lavoro, di non poter amare la nostra compagna o il nostro compagno, di pagare un affitto o comprarsi una lavatrice ed essere indipendenti, così come lo sono i giovani nel resto d’Europa.
Per noi la precarietà è il messaggio che da vent’anni una classe dirigente ci trasmette: andatevene. Noi vogliamo restare, cambiare le nostre vite e dare un presente al nostro Paese.
Vogliamo poter dire che il nostro problema è la precarietà e l’impossibilità di costruirci un futuro. Ancora prima del posto fisso e dell’articolo 18, ci interessa costruire un paradigma diverso, un altro modello di sviluppo e un welfare diverso, che ricomponga le sue basi sui principali diritti di cittadinanza.
Abbiamo proposte migliori di quelle del Governo. Noi chiediamo di investire su Università e Ricerca, di riconvertire ecologicamente il nostro sistema industriale per creare buoni e nuovi posti di lavoro.
Chiediamo un modello di welfare universale, finanziato dalla fiscalità generale e da una patrimoniale che colpisca chi finora non ha mai pagato la crisi: rendite parassitarie, profitti finanziari, grandi capitali. Un welfare che si faccia promotore e fattore di crescita, personale prima che economica, e insieme garanzia di diritti e tutele.
Chiediamo che venga bandita sul serio la truffa della precarietà. Ad un lavoro stabile deve corrispondere un contratto stabile e i diritti fondamentali devono essere estesi a tutte le forme di lavoro: l’equo compenso, il diritto universale alla maternità/paternità e alla malattia, i diritti sindacali, il diritto ad una pensione dignitosa, la continuità di reddito nei periodi di non lavoro, la formazione continua.
Chiediamo infine un reddito minimo, fatto di sussidi e servizi, per garantire la dignità della vita e del lavoro com’è in tutti i paesi europei (e come definito nella risoluzione del Parlamento europeo 2010/2039, approvata a larghissima maggioranza il 20 ottobre scorso).
E’ necessaria una grande mobilitazione contro la precarietà, per il reddito, per i saperi e per l’estensione dei diritti e delle tutele: per un Paese diverso e per una nuova idea di cittadinanza, fuori e dentro il lavoro.
L’alternativa è il cambiamento, non il mantenimento di pochi diritti e o la versione soft ma non meno triste della precarietà.
Vogliamo un altro Paese e un’altra politica. E vogliamo dirlo noi, non lasciamo più che siano altri a farlo.

martedì 22 maggio 2012

Nessuna obiezione ai diritti delle donne



Buon compleanno 194! 


Il 22 maggio 1978 venne approvata una legge che cambiò radicalmente la vita di molte donne: la legge 194 finalmente legalizzava le interruzioni di gravidanza, con l'obiettivo, in gran parte raggiunto, di ridurre drasticamente gli aborti clandestini.
A 34 anni di distanza quella legge è oggetto di fortissimi attacchi – ultimo in ordine di tempo la “Marcia per la Vita” sfilata a Roma lo scorso 13 maggio – da parte di un ampio, e purtroppo trasversale, fronte che vorrebbe forse tornare ai tempi delle mammane e del turismo abortivo.
Oggi come allora è necessario che i cittadini – non solo le donne – facciano fronte comune contro chi vuol far precipitare l'Italia in un buio medioevo dei diritti.
Martedì 22 maggio festeggiamo il compleanno della 194 e diciamo NO ai tentativi di svuotarla e renderla inoperativa, come l'abnorme diffusione dell'obiezione di coscienza.

domenica 20 maggio 2012

Spezziamo il silenzio




Migliaia di prigionieri palestinesi in sciopero della fame e nessuno ne parla: spezziamo il silenzio!

E' dal 17 aprile, Giornata dei Prigionieri Palestinesi, che nelle carceri israeliane migliaia di detenuti palestinesi digiunano per protestare contro il regime disumano cui sono sottoposti.
Sono circa 6.000 i prigionieri palestinesi detenuti in 17 carceri, compresi donne e bambini. 330 sono trattenuti in detenzione amministrativa senza che siano state avviate accuse formali contro di loro. La detenzione amministrativa può durare anche anni e può essere prorogata da una corte militare, senza che ci sia possibilità di appello.
E' superfluo ricordare come un simile regime carcerario violi tutti i trattati internazionali per i diritti umani. Tra i detenuti palestinesi, 28 sono membri eletti del Parlamento, tra cui tre ex ministri. Vi sono anche Marwan Barghouti, leader di Al Fatah, condannato a più di cinque ergastoli, e Ahmad Sa'adat, leader del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, condannato a 30 anni. Ad oggi metà dei prigionieri è entrato in sciopero.
Quello che chiedono con questo sciopero della dignità e della fame i detenuti palestinesi è solidarietà internazionale e riconoscimento delle loro richieste: 1) la fine della politica di isolamento che viene utilizzata per deprivare i prigionieri palestinesi dei propri diritti; 2) il permesso alle famiglie dei prigionieri provenienti da Gaza di visitare i propri parenti, diritto che viene negato da oltre sei anni; 3) il miglioramento delle condizioni di vita nelle prigioni e la fine della "legge Shalit" che vieta quotidiani, materiali di studio e canali tv; 4) la fine delle politiche di umiliazione a cui i prigionieri e le loro famiglie sono sottoposti: perquisizioni fisiche, raid notturni e punizioni collettive.
Dal 1967 ad oggi, si stima che almeno il 20 per cento della popolazione palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza abbia subito un arresto. La Quarta Convenzione di Ginevra relativa alla Protezione dei Civili in tempo di guerra all'articolo 76 recita che: "Le persone protette accusate di reati saranno detenute nel paese occupato, e se condannate, dovranno scontarvi la loro pena". Israele, in palese violazione di questo articolo, tiene questi prigionieri fuori dal territorio occupato; all'articolo 49 la Convenzione ribadisce: "I trasferimenti forzati, di massa o individuali, come pure la deportazione di persone protette fuori dal territorio e a destinazione della Potenza Occupante o di quello di qualsiasi altro stato, occupato o no, sono vietati, qualunque ne sia il motivo". All'articolo 32 si vieta esplicitamente "omicidio, tortura, punizioni corporali e ogni altra brutalità compiuta da agenti civili o militari": sono centinaia i prigionieri palestinesi morti a causa delle torture subite.
Nella giornata del 29 aprile Ahmed Sa'adat, detenuto nel carcere di Raymon, è stato trasferito in ospedale a causa dell'aggravarsi delle sue condizioni di salute per il prolungato sciopero della fame. Come lui, molti altri prigionieri sono allo stremo e vedono le loro condizioni di salute peggiorare giorno dopo giorno. Tutto questo accade nel perfetto silenzio dei media internazionali. Pochissimi giornali hanno riportato la notizia di questo grande sciopero della fame.
Vogliamo provare a spezzare questo silenzio e chiediamo a tutte le forze politiche italiane, alle associazioni, ai giornalisti, alla società civile italiana di non rendersi complici di questo silenzio. Lo facciamo con questo articolo e cercheremo ogni mezzo per superare la barriera del silenzio, quel muro di gomma contro cui sempre, da decenni, i palestinesi vedono infrangersi le loro ragioni. Vi chiediamo solamente di parlarne, vi chiediamo di informare l'opinione pubblica, vi chiediamo una presa di posizione. Questo è quanto vogliono e chiedono i prigionieri palestinesi dalla Comunità Internazionale. Questo è quanto ogni palestinese, della diaspora e in Palestina, vi chiede.

di Federica Pitoni - Mezzaluna Rossa Palestinese - Italia

giovedì 5 aprile 2012

Reddito di cittadinanza

di Giovanni Perazzoli

La trasmissione sullo stato sociale di Michele Santoro è stata un'altra occasione persa per parlare dello stato sociale. 
Per me che vivo in Olanda appare assolutamente incomprensibile che non si ponga in Italia alcuna attenzione ai sussidi di disoccupazione europei.
I giornali parlano di un "modello tedesco" che è frutto più di fantasia che di realtà. Tanto più, allora, perché non informare l'opinione pubblica italiana che in Germania (come in tutta Europa) non sono, attenzione, coloro che sono stati licenziati ad avere dallo stato l'affitto dell'alloggio e un sussidio illimitato, ma tutte le persone maggiorenni disoccupate, indipendentemente dal fatto che abbiamo o meno mai lavorato? Il sussidio termina, in mancanza di un'occupazione, con la pensione. Non èassolutamente vero quello che scrivono i giornali italiani che sia a tempo determinato. Confondono per ignoranza o in modo intenzionale l'indennità di disoccupazione e il sussidio di disoccupazione.
Come si fa a ignorare in Italia un aspetto così importante della vita di ogni cittadino europeo? Non me ne capacito. In Italia non si sa neanche che chi in Europa (Francia, Germania, Gran Bretagna e non solo Danimarca, Svezia...) non guadagna abbastanza ottiene un'integrazione del reddito, e anche chi lavora part time ottiene un'integrazione del reddito. Poi si scopre che in Italia il reddito medio è da miseria. E tutti si sorprendono. Ma veramente in Italia si ignora l'abc dello stato sociale? Mi pare strano da credere.
L'esistenza di quello che di fatto è un reddito di cittadinanza in Europa spiega molte cose che in Italia vengono riproposte, lasciatemi dire, in modo del tutto assurdo. Spiega la flessibilità europea (peraltro di gran lunga minore che in Italia), spiega l'assenza di lavoro nero, spiega l'assenza delle massicce raccomandazioni, spiega anche il fatto che le persone competenti occupino in genere il posto che compete loro (mentre così non è in Italia). Non capisco perché nonostante l'Europa raccomandi dal lontano 1992 all'Italia di introdurre un reddito di cittadinanza questo non succede neanche con la crisi. E soprattutto è incomprensibile che a sinistra nessuno ne parli chiaramente. A chi giova? Evidentemente a qualcuno gioverà.
Certo non giova agli operai che si danno fuoco, alle famiglie che resteranno senza un reddito, e senza una casa di cui Santoro mostra ogni volta il dramma. Ma senza mostrare le soluzioni che in altri paesi hanno adottato da decenni, la denuncia mi pare parziale e anche un po' ambigua. Non mi pare che sia uno scoop scoprire quello che per diversi milioni di persone è assolutamente normale. La Francia è stata l'ultimo paese in Europa ad adottare una forma di sussidio che di fatto è un reddito di cittadinanza ben venti anni fa. La rivista "Esprit" dedicò un numero speciale all'evento. Possibile che in Italia nessuno ne sappia nulla?
Le persone giudicano per paragoni e confronti. Se il confronto con gli altri paesi viene loro negato non ci si può lamentare che non cambi nulla. La primavera araba è iniziata con la possibilità di guardare con la televisione e con internet fuori del recinto nazionale. Lo stesso avvenne nei paesi dell'Est.
Forse non si vuole la democrazia europea e si guarda ad altro? In ogni caso, per scegliere bisognerebbe conoscere. Sapere che un'altra società non solo è possibile, ma già esiste da diversi decenni, impegnerebbe diversamente le forze politiche, e i sindacati. Questo sarebbe "rivoluzionario", e sarebbe europeo. L'unico che in Italia sta ponendo con coerenza il problema del reddito di cittadinanza sul modello europeo è Maurizio Landini; temo però sia un outsider, una scheggia impazzita del sistema.
Ichino ha detto in trasmissione che l'indennità di disoccupazione che vorrebbe introdurre il governo Monti è di qualche mese più lunga dell'indennità di disoccupazione tedesca (12 o 18 mesi). Ma non ha spiegato bene (anche perché nessuno glielo ha chiesto) che dopo l'indennità di disoccupazione in Germania (e in tutta Europa) c'è un altro sussidio, meno "ricco", per modo dire, ma che è illimitato (ovvero limitato solo dalla pensione e, ovviamente, da una nuova eventuale occupazione) e che copre anche l'affitto dell'alloggio. Vi pare poca cosa? Vi sembra un dettaglio trascurabile? Una donna sola e disoccupata con figli ha in Germania dallo stato più di 1800 euro mensili. Non mi fermo qui sulle cifre e sulla tipologia dei benefici che hanno le persone che non lavorano nei paesi europei e in particolare in Germania: l'ho fatto nel numero in uscita su MicroMega.
Io mi chiedo sgomento: come è possibile dedicare un'intera trasmissione sullo stato sociale, far iniziare la Fornero con la sua proposta di riforma degli "ammortizzatori sociali", e non parlare dei sussidi di disoccupazione che esistono in Europa? Possibile che nessuno ritenga importante ricordare che è dal 1992 che l'Europa raccomanda all'Italia di adottare il reddito di cittadinanza? Possibile che nessuno abbia notato che anche nella famosa lettera della Bce (sic!) si rinnova al governo italiano l'invito a introdurre i sussidi di disoccupazione sul modello europeo e che la stessa cosa viene ripetuta nelle famose domande di chiarimento dell'Europa?
Una breve ricerca su internet: ecco una parte del testo della raccomandazione 92/441 CEE pubblicato anche sulla Gazzetta ufficiale. Leggo:
Ogni lavoratore della Comunità europea ha diritto ad una protezione sociale adeguata e deve beneficiare, a prescindere dal regime e dalla dimensione dell'impresa in cui lavora, di prestazioni di sicurezza sociale ad un livello sufficiente.
Le persone escluse dal mercato del lavoro, o perché non hanno potuto accedervi o perché non hanno potuto reinserirvisi, e che sono prive di mezzi di sostentamento devono poter beneficiare di prestazioni e di risorse sufficienti adeguate alla loro situazione personale.
Poi leggo:
(12) ... il Parlamento europeo, nella sua risoluzione concernente la lotta contro la povertà nella Comunità europea (5), ha auspicato l'introduzione in tutti gli Stati membri di un reddito minimo garantito, inteso quale fattore d'inserimento nella società dei cittadini più poveri;
O anche:
il Comitato economico e sociale, nel suo parere del 12 luglio 1989 in merito alla povertà (6), ha anch'esso raccomandato l'introduzione di un minimo sociale, concepito ad un tempo come rete di sicurezza per i poveri e strumento del loro reinserimento sociale
E dunque l'Europa raccomanda a tutti gli stati membri:
di riconoscere, nell'ambito d'un dispositivo globale e coerente di lotta all'emarginazione sociale, il diritto fondamentale della persona a risorse e a prestazioni sufficienti per vivere conformemente alla dignità umana e di adeguare di conseguenza, se e per quanto occorra, i propri sistemi di protezione sociale ai principi e agli orientamenti esposti in appresso.
E questo significa che al reddito minimo garantito si può avere accesso senza limiti di durata, purché il titolare resti in possesso dei requisiti prescritti e nell'intesa che, in concreto, il diritto può essere previsto per periodi limitati, ma rinnovabili.
In tutti i Paesi dell'Europa questo è realtà. Non in Italia, in Grecia e in Ungheria.
Possibile che nessuno abbia capito che quello che manca in Italia è quella sicurezza economica che viene dalla rete dei sussidi che permette alle persone di cambiare lavoro con relativa tranquillità soprattutto da giovani? Un mio giovane amico olandese ha fatto un'infinità di mestieri; è stato, tra le altre cose, maestro di sci, ha aperto una scuola di windsurf, ha aperto un Hotel, poi lo ha chiuso e aperto una ditta di costruzioni. È questo che si chiama "flessibilità", non la macelleria sociale che hanno in mente in Italia destra e sinistra.
Possibile che non si capisca il significato di apertura del mercato e della protezione sociale? Non significa licenziare in massa la gente, significa fare in modo che i giovani possano sperimentare le loro possibilità e le loro idee in un mercato aperto e non controllato dalla corporazioni e dalle varie rendite (vera potenza italiana). È per questo che l'Europa chiede le liberalizzazioni, non certo per perseguitare i tassisti (una delle cose, non so se più ridicole o drammatiche, è stata la farsa sui tassisti, come se da loro dipendesse lo spread. Magari si voleva solo alzare un gran polverone e mandare tutto il resto in caciara?).
Liberalizzare significa aprire l'accesso alle professioni senza doversi fare un tessera di partito, pagare tangenti, essere parte di un sistema di potere, di una lobby famigliare, politica, religiosa ecc. Significa che in Italia uno che vuole fare il giornalista o il notaio non debba essere figlio di un giornalista o di un notaio, significa che se vuole aprire un negozio si viene aiutati (come avviene in tutta Europa) e non ostacolati. È così difficile da capire? Aprire il mercato significa andare un po' a vedere come si fa carriera nella televisione di stato, alla Rai. Significa andare a vedere quanti sono i figli di papà dentro le università. Magari dei papà "riformisti". Ma veramente nessuno capisce che una cosa è la precarietà con la certezza del reddito e dell'alloggio, e un'altra è la precarietà con il niente?
Ho capito che il reddito minimo garantito è come un punto archimedeo: sembra piccolo, ma in realtà è il punto d'appoggio di due concezioni della società completamente diverse.

sabato 24 marzo 2012

Perchè cancellano l'articolo 18

Perchè cancellano l’articolo 18
di Giorgio Cremaschi

Un industriale torinese nel passato ripeteva ad ogni assemblea dell’Unione industriali che bisognava abolire l’articolo 18, perché voleva in mano una pistola con il colpo in canna. Io poi non la uso, diceva, perché non mi piace licenziare, ma i lavoratori devono sapere che quella pistola ce l’ho.

Questa è il significato dello smantellamento dell’articolo 18 deciso dal governo con la scandalosa copertura del Presidente della Repubblica. L’articolo 18 viene semplicemente cancellato. Infatti i licenziamenti discriminatori sono vietati già oggi da qualsiasi convenzione, legge, costituzione, italiana, europea, internazionale. Ed è uno dei tanti falsi del governo che con questo provvedimento questo divieto sia esteso sotto i quindici dipendenti. Esso c’è sempre stato, ma non ha mai agito per la semplice ragione che nessun padrone è così stupido da licenziare per esplicita discriminazione personale, ideologica, razziale.

Su tutti gli altri licenziamenti, quelli veri, salta la copertura dell’articolo 18. Naturalmente salta per chi ce l’aveva, cioè per circa 8 milioni di lavoratori dipendenti. Non un piccolo numero, quindi. Ed è ridicolo questo balletto attorno all’applicazione della nuova legge nel pubblico impiego. E’ ovvio che sarà così, perché tutte le amministrazioni pubbliche, in un modo o nell’’altro, hanno applicato lo Statuto dei lavoratori. Quindi se questo viene cambiato ne assumono automaticamente anche le modifiche.

Ma tutto questo fa parte di quel misto di incompetenza, arroganza, sfacciataggine che oggi contraddistingue l’operato del ministro Fornero e del suo Presidente del Consiglio. L’articolo 18 è la reintegra del posto di lavoro, senza di essa il licenziamento è libero.

E’ utile ricordare che una legge contro la libertà di licenziamento c’era già prima dello Statuto dei lavoratori, è la legge 604 del 1966, legge che prevede il solo indennizzo in caso di licenziamento ingiusto. E’ stata proprio l’inefficacia di questa legge a indurre il Parlamento a introdurre quell’istituto della reintegra che il governo oggi smantella in forma brutale e truffaldina. La reintegra viene abolita del tutto per i licenziamenti cosiddetti economici. In un periodo di crisi, di ristrutturazione, di esternalizzazioni, di tagli comunque definiti, questo significa licenziare a piacimento. “Alla prima che mi fai, ti licenzio e te ne vai”, diceva una vecchia battuta degli anni Trenta.

Anche il cosiddetto modello tedesco, che viene applicato ai licenziamenti disciplinari, cambia in maniera profondamente negativa lo Statuto. In questo caso, ammesso che il padrone sia così sciocco da usare questo strumento visto che può adoperare l’altro, quello economico, senza più alcun fastidio, spetta al giudice decidere se reintegrare il lavoratore o dargli una semplice compensazione della perdita del posto. Ora questo non è possibile. Nel caso di licenziamento ingiusto il giudice obbligatoriamente deve reintegrare il lavoratore. Quest’ultimo può anche decidere di transare economicamente con l’azienda, ma lo fa dopo che è stato riconosciuto il suo diritto al reintegro.

Se dovesse passare la nuova normativa, sarebbe il giudice a decidere tutto e dovrebbe essere il lavoratore a dimostrare che il licenziamento è così particolarmente ingiusto, da richiedere la sanzione della reintegra. Insomma, si avrebbe una sorta di inversione dell’onere della prova. Oggi è il padrone che deve dimostrare che ha licenziato giustamente, domani sarebbe il lavoratore a dover dimostrare che è stato ingiustamente licenziato. E’ lo scasso definitivo del sistema di tutele garantito dallo Statuto dei lavoratori. Così, in piena crisi economica, si sanziona un terribile squilibrio nelle imprese a favore di chi comanda, un ricatto permanente sul potere e sui diritti ancora esistenti. Con questo provvedimento tutto il mondo del lavoro diventerebbe precario, alla faccia della lotta alla precarietà.

Che la scelta del governo sia gravissima, profondamente antisociale e antidemocratica, di destra, lo sta finalmente comprendendo una vasta parte del paese. Si può dire che per la prima volta il governo Monti incontri un ostacolo, una risposta, una vera contestazione. Questo nonostante le incertezze e le ambiguità delle confederazioni sindacali, lo stato confusionale del Partito democratico, la debolezza delle opposizioni e la forza preponderante del potere mediatico e istituzionale a favore del governo. Per la prima volta monta una rivolta nel paese che sta sommando tutte le ingiustizie di questo governo delle banche e comincia a presentare a Monti il conto del proprio spread di diritti, sicurezze, condizioni di vita. Per questo bisogna andare avanti.

La manifestazione del 31 marzo a Milano è un primo appuntamento per dire no a questo governo e per costruire una risposta in grado di durare. Poi ci sarà lo sciopero generale, poi ci dovranno essere altre ed estese mobilitazioni. Non dobbiamo fermarci. Finalmente una parte importante del paese comincia a capire chi è, cosa vuole, perché bisogna a casa Monti. E’ il momento di diffondere ovunque questa presa di coscienza.

sabato 12 febbraio 2011

Se non ora, quando?

Ci sono momenti della storia in cui è indispensabile alzare la testa in un moto di orgoglio, sdegnarsi e urlare BASTA!!!

Questo non è un paese per donne (anche se, a dire il vero, non è più nemmeno un paese per operai e giovani in cerca di occupazione), questo è un grande circo con nani e ballerine e il dio che lo fa girare è il vecchio, ma sempreverde dio denaro.

Sesso potere denaro: una triade non nuova sotto il sole, un cavallo di battaglia della ideologia maschilista, un pilastro su cui si sono costruite le case del potere.
Che poi queste case si chiamino Arcore e siano case chiuse (proprio nel senso di bordelli) non è solo una questione privata che non ci riguarda, soprattutto ci riguarda in quanto donne (ma spero che riguardi anche quegli uomini di buona volontà e di più buone pratiche).
Vedere tutti i giorni che il modello femminile dominante è quello delle letterine, veline, escort, che si fa carriera politica più velocemente se si passa per il letto di qualcuno (certo una pratica vecchia come il mondo, ma mai così istituzionalizzata e fatta oggetto di rappresentazione), vedere altre forme di prostituzione non meno orribili, come quelle di chi difende a spada tratta questo sistema di cose per non perdere dei privilegi, arrampicandosi su odiosi cavilli e fondandosi sulla odiosa doppia morale, tutto questo davvero ci fa precipitare in un clima da decadenza di fine impero.
La mercificazione che ogni giorno si fa del corpo delle donne in tutti i campi possibili dalla pubblicità alle stanze del potere deve indignarci perché quel corpo è anche il nostro corpo e perché tutto quello che svilisce la nostra dignità di donne ci riguarda tutte, e tutti!

Dobbiamo ancora lottare per i nostri diritti perché ancora poche donne ci rappresentano nelle istituzioni e troppe muoiono assassinate da mariti, ex, fidanzati, da uomini insomma, perché non siamo libere di autodeterminarci ma siamo “libere” di vendere il nostro corpo.
Scendiamo allora in piazza tutte. Usciamo dalle nostre case, per dare noi l’immagine di noi che vogliamo essere, per gridare che libertà non è quella di vendersi, se ci si deve vendere si è schiavi, rovesciamo il modello culturale dominante, ripartiamo da noi, dal produrre insieme pensiero e iniziative e pratiche di libertà.

Ti aspettiamo a:
ANCONA ore 16,00 davanti Teatro delle Muse.

sabato 7 novembre 2009

Scusa, ma ti voglio massacrare

Un ragazzo esce di casa una sera ma fermato dai carabinieri perché in possesso di modiche quantità di sostanze stupefacenti non farà più ritorno in casa.
Morirà in circostanze che dovranno essere chiarite.
Le foto, pubblicate con coraggio dalla famiglia del giovane, mostrano un corpo ferito, mostrano inequivocabili segni di violenza.
Servono verità e giustizia al più presto.
Ogni ora che passa allontana la possibilità di accertare la verità.
In considerazione delle preventive assoluzioni annunciate dal ministro La Russa, e dei vergognosi fatti di Genova e del caso di Federico Aldovrandi, ora si aspetta almeno una ferma presa di posizione del presidente della Repubblica, affinché si faccia garante della celerità e della correttezza.
Intanto affiorano anche notizie di torture nelle carceri italiane.
E’ questa l’Italia in cui ci troviamo ad operare oggi.

In sezione non si può massacrare un detenuto.
Si massacra di sotto.
Si è rischiata la rivolta.
Perchè c'era il negro, e il negro ha visto tutto.

Anonimo 2009

Da: Essere Comunisti - NewsLettere n. 184 - 5 novembre 2009

giovedì 11 dicembre 2008

In piazza per i diritti

La paura e l'insicurezza non sono più in cima alle preoccupazioni dei cittadini. La ragione non è dovuta alla diminuzione dei reati (già il Sole 24 Ore segnalava in agosto il decremento cominciato nel giugno del 2007 prima del governo Berlusconi), ma perché la macchina goebbelsiana della propaganda televisiva, in particolare dei Tg Mediaset e Tg1 Rai si è fermata.
Parola di Ilvo Diamanti su Repubblica (23/11).


Finalmente si scopre che la cosiddetta «percezione di insicurezza» dei cittadini, il convitato di pietra della politica, è un'arma caricata a comando. Così come è avvenuto con la campagna mediatica di mistificazione contro l'indulto.
Nonostante questa novità il Senato sta preparando per Natale un regalo avvelenato, l'ennesimo pacchetto sicurezza. A leggere i 55 articoli del disegno di legge si rimane sconvolti per l'insieme caotico di misure che calpestano diritti umani, Costituzione, principi elementari di ragionevolezza con l'unico risultato di distruggere la già dissestata macchina della giustizia e di far esplodere le carceri già oltre il limite di sopportabilità.
Ma quel che lascia sgomenti è l'acquiescenza con cui si accetta da parte di intellettuali, mass media e movimenti che si faccia strage del diritto e della legalità. Le campagne securitarie hanno raggiunto un risultato davvero eccezionale: l'assuefazione a ripetuti e ossessivi interventi che costruiscono un nuovo sistema che è stato efficacemente definito come populismo penale.
Il catalogo degli orrori spazia dai problemi del «decoro» urbano alla mafia. Così si prevedono sanzioni non inferiori a 500 euro per chi insozzi le pubbliche vie e l'indurimento del regime penitenziario del 41 bis e la riapertura delle carceri speciali di Pianosa e dell'Asinara (mentre Obama chiuderà Guantanamo!). Si monetizza il rinnovo del permesso di soggiorno con una tassa di 200 euro. Si prevede la reclusione fino a tre anni per chi usa i minori per l'accattonaggio e la decadenza dall'esercizio della potestà genitoriale. L'ingresso e il soggiorno illegale nel territorio dello Stato viene sanzionato con l'arresto e l'ammenda sino a 10.000 euro e la permanenza nei centri di identificazione viene estesa fino a diciotto mesi. Infine si prevede l'istituzione un registro presso il ministero dell'Interno per le persone senza fissa dimora e di ronde private per attività di presidio del territorio.
Siamo di fronte alla «galera sociale»: così il senatore Vito Carofiglio nel corso della discussione a Palazzo Madama ha magistralmente definito questo coacervo di norme intrise di demagogia. Qualcuno/a penserà che queste misure non siano per lui o per lei: hanno di mira gli immigrati, i poveri, la criminalità organizzata, dunque non sono preoccupanti. In realtà, quando si stravolgono i principi fondamentali di uguaglianza, la deriva autoritaria e razzista è destinata a non fermarsi e a coinvolgere sempre più soggetti fino a colpire tutta la società. La madre delle emergenze è sempre incinta. Dalla droga al terrorismo, dagli zingari alle prostitute, dai matti ai writers c'è sempre una guerra da combattere. Alla fine arriva anche il tempo per chi in politica la pensa diversamente.
La banalità del regime è tutta qui, nell'incedere lento ma inesorabile con cui conquista le coscienze e il senso comune. Lo sciopero del 12 dicembre può essere l'occasione per rompere le catene, urlare per il rispetto dei diritti e conquistare una diversa egemonia. Chiediamo troppo?

Il Manifesto 30 novembre 2008