mercoledì 30 luglio 2008

Provate a immaginare

Provate ad immaginare.
Una persona del vostro quartiere è sorpresa dentro un appartamento: forse voleva rubare, forse voleva portar via una neonata. Viene arrestata.

Provate ad immaginare.
Il giorno dopo e poi quelli successivi, ragazzi in motorino lanciano una molotov contro la casa di un vostro vicino. L'incendio brucia in parte l'appartamento ma, per fortuna, l'uomo, la donna e i due bambini che ci vivono se la cavano. Spaventati, ma incolumi.

Poi è la volta di un intero quartiere: arrivano a centinaia con i bastoni e le bottiglie incendiarie. La gente scappa si rifugia da parenti.

Provate ad immaginare.
Un bambino che vive ad un paio di isolati da casa vostra viene circondato da gente ostile che, sapendo che è del vostro paese, lo insulta, lo schiaffeggia, lo spinge a forza dentro una fontana. Il bambino è piccolo, forse piange, forse stringe i denti perché la violenza degli altri è un pane duro che ha imparato a masticare sin da quando è nato.

Provate ad immaginare.
La furia non si placa: anche i quartieri vicini sono sotto assedio. Raccolte in fretta poche povere cose intere famiglie si allontanano. La polizia non ferma nessuno degli incendiari ma "scorta" voi e i vostri compaesani. Andate via. Non sapete dove. Lontano dalle molotov, lontano dalla rabbia, lontano dalla ferocia di quelli che sino al giorno prima vivevano a poche centinaia di metri da voi. Andate in cerca di un buco nascosto dove, forse, potrete resistere per un po'. Fino alla prossima molotov.

Provate ad immaginare.
Vostri compaesani e parenti che vivono lontano, in altre città, vengono assaliti, le loro case bruciate. Anche loro sono in strada.

Provate ad immaginare.
Il governo del vostro paese vara misure straordinarie per far fronte all'emergenza. Leggi per fermare la violenza e l'illegalità. Leggi contro di voi ed i vostri parenti, contro i vostri vicini di casa, contro quelli del vostro quartiere e contro tutti quelli del vostro stesso paese.

Provate ad immaginare di essere in Italia, in questo maggio del 2008.
Non vi pare possibile?
Eppure è cronaca di tutti i giorni. La cronaca di un pogrom.

Un pogrom che sta incendiando l'Italia. Brucia le baracche dei rom e corrode la coscienza civile di tanti di noi. Qualcuno agisce, i più plaudono silenti e rancorosi, convinti che da oggi saranno più sicuri. Al riparo dalla povertà degli ultimi, di quelli che non si lavano perché non hanno acqua neppure per bere, di quelli che di rado lavorano, perché nessuno li vuole, di quelli che vanno a scuola pochi mesi, tra uno sgombero di polizia ed un rogo razzista.

Forse pensate che questo non vi riguarda. Forse pensate che questo a voi non capiterà mai. Siete cittadini d'Europa, voi. Siete gente che lavora, che paga il mutuo, che manda i figli a scuola. Forse avete ragione. Forse no. Nella roulette russa della guerra sociale c'è chi affonda e chi resta a galla. Il lavoro non c'è, e se c'è è precario, pericoloso, malpagato. Il mutuo vi strangola, non ce la fate ad arrivare alla fine del mese, a pagare tutte le spese, ma forse, tirando a campare, con la paura che vi stringe la gola, ce la farete. Gli altri, quelli che restano fuori, che crepino pure. Nemici, anche i bambini. O li caccia il governo o ci penserete voi stessi, di notte con i bastoni e le molotov. A fare pulizia. Etnica.
Intanto, giorno dopo giorno, i nemici, quelli veri, vi portano via la vita, rendono nero il vostro futuro. Il nemico marcia sempre alla nostra testa: è il padrone che sfrutta, è il politico che pretende di decidere per noi, che vuole che i penultimi combattano gli ultimi, perché la guerra tra poveri cancella la guerra sociale.

Provate ad immaginare che un giorno il padrone vi licenzi, che la banca si prenda la casa, che la strada inghiotta voi e i vostri figli.
Sarà il vostro turno. Ma allora non ci sarà più nessuno capace di indignazione, capace di rivolta.

Provate ad immaginare un futuro come questo presente, da incubo.

Un'offensiva razzista senza precedenti che trova pericolosi consensi anche in quegli strati popolari che avrebbero mille motivi per rivoltarsi contro ben altri soggetti e, cioè, contro i poteri forti e i suoi costanti soprusi sulle classi subalterne.
Morti sul lavoro, salari da fame, precarietà diffusa e disoccupazione, problema casa, distruzione dei servizi sociali, problematiche sociali diffuse il cui responsabile ha un nome e cognome ben chiaro: il sistema capitalista, che continua a produrre super-profitti da una parte, guerre, sfruttamento e miseria dall'altra.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: strada libera per la crescita di un nuovo fascismo, istituzionale, squadrista e addirittura popolare.

Provate ad immaginare.
Un giorno qualcuno potrebbe chiedervi "dove eravate mentre bruciavano le case, deportavano la gente, ammazzavano i bambini?"
Non dite che non sapevate, non dite che non avevate capito, non dite che voi non c'entrate.

Chi non ferma la barbarie ne è complice.

Fermiamo i nuovi pogrom prima che sia troppo tardi.
Respingiamo il nuovo pacchetto sicurezza.

Da "Essere Comunisti" Maggio 2008

mercoledì 23 luglio 2008

Il testamento biologico di Paolo Ravasin

In questi giorni è stato pubblicato sul sito dell’Associazione Luca Coscioni e sul sito di Radio Radicale, il video del testamento biologico di Paolo Ravasin, il presidente della Cellula Coscioni di Treviso, malato di sla, che ha voluto attraverso la sua testimonianza in voce esprimere le sue dichiarazioni anticipate di trattamento.

“Nel momento in cui non fossi più in grado di mangiare o di bere attraverso la mia bocca – ha detto Paolo Ravasin – oppongo il mio rifiuto ad ogni forma di alimentazione e di idratazione artificiale sostitutive della modalità naturale”.

Il video, ripreso subito dopo in home page su Repubblica.it, rappresenta una nuova fase di lotta per Paolo Ravasin e per tutta l’Associazione Luca Coscioni per affermare il diritto di ciascun cittadino a decidere sulle proprie cure o trattamenti medici anche, in caso di eventuale incapacità, attraverso dichiarazioni anticipate di trattamento.



Il testo del testamento biologico di Paolo Ravasin

Io Paolo Ravasin nato a Ceggia, in provincia di Venezia il quattro aprile 1960, attualmente ospite presso la Casa Soggiorno Villa delle Magnolie a Monastier, in provincia di Treviso e sono stato adeguatamente informato, nel corso di approfonditi colloqui con il dottor Agostino Paccagnella (06.02.08) e il dottor Guido Zerbinati (06.02.08 e 13.02.08) alla presenza del dottor Camillo Barbisan Presidente del Comitato di Bioetica dell’ULSS 9, dell’evoluzione della mia malattia e della conseguente indicazione ai relativi trattamenti. In particolare per quanto riguarda la possibilità di nutrirmi ed idratarmi. La mia ferma, convinta e documentata volontà in proposito è la seguente:"nel momento in cui non fossi più in grado di mangiare o di bere attraverso la mia bocca oppongo il mio rifiuto ad ogni forma di alimentazione e di idratazione artificiale sostitutive della modalità naturale. Tale rifiuto è da ritenersi efficace anche nella circostanza in cui perdessi qualsivoglia capacità di esprimere e ribadire la mia volontà.Inoltre, a partire dal momento in cui non fossi più in grado di nutrirmi e idratarmi attraverso la mia bocca rifiuto la somministrazione di qualsiasi terapia medica destinata a trattare la malattia di cui sono affetto e oltre altre patologie sopravvenienti intese come complicazioni. Accetto unicamente i farmaci necessari a trattare i sintomi dolorosi derivanti, in particolar modo, dalla disidratazione nella modalità di somministrazione che il mio medico - dottor. Guido Zerbinati o i suoi sostituti - riterrà appropriata.Affermo di essere stato informato e quindi sono pienamente consapevole delle conseguenze a cui mi espongo mediante tale rifiuto che tuttavia considero quale mia insuperabile manifestazione di volontà. Infine oppongo il mio rifiuto ad ogni trasferimento in strutture ospedaliere". Non essendo in grado di sottoscrivere materialmente tale documento a causa della mia infermità attribuisco al medesimo il valore di espressione della mia autentica volontà attraverso una videoregistrazione nel corso della quale ho letto la lettura di questo testo al quale ho dato oralmente il mio assenso e che viene sottoscritto dai testimoni presenti.

domenica 20 luglio 2008

La scuola per tutti è un lusso

Un colpo di mano - l'ennesimo - del governo Berlusconi contro la scuola pubblica e il diritto per tutti allo studio.
Una vera e propria restaurazione, di segno ad un tempo classista, censitario e (in)civile: l'obbligo scolastico che, con tante fatiche e battaglie, a partire dall'anno scolastico 2007-2008 era stato portato ai sedici anni torna ai quattordici.
Come nell'era della signora Moratti. Come vuole l'ideologia delle destre: la scuola è un lusso riservato ai figli delle classi dominanti, ai ricchi, a chi comunque se lo può permettere, per tutti gli altri è previsto un altro canale, di serie B o C, e la destinazione precoce, se va bene, a un lavoro malpagato, ricattabile, senza diritti.
Del resto, non è stato appena prevista la secca riduzione degli insegnanti, centocinquantamila in meno da qui al 2010? Quasi uno sterminio etnico passato pressoché sotto silenzio, o comunque sottovalutatissimo dalle "opposizioni visibili".
Ma vediamo di che si tratta.
Nella commissione bilancio della Camera, l'altra sera, è passato un emendamento di poche righe all'articolo 64 della Finanziaria (Decreto Legge 112).
Anche il divieto di assumere come garzoni o apprendisti ragazzini di 15 anni è stato, ovviamente, soppresso. Le conseguenze di questa restaurazione sono, e saranno, gravissime.
Intanto, si riafferma, ed anzi, si rilancia, una concezione spudoratamente classista della scuola. Mentre in quasi tutti i paesi d'Europa si va a scuola fino a diciotto anni, in Italia si torna ad un obbligo di appena otto anni: un'alfabetizzazione insufficiente a conquistare - per tutti - quell'alfabeto critico senza il quale si rischia, prima ancora di disoccupazione e precarietà, una condizione di sudditanza culturale e civile. Nella realtà, saranno sospinti in questa condizione sempre e solo gli ultimi: i più poveri, i meno provveduti, gli stranieri, i migranti, i rom. La folla di coloro che, inseguendo l'illusione di una qualifica "rapida" e di un lavoro purchessia, si rivolgono alle scuole di formazione professionale - e ne escono con un attestato con il quale diventano manodopera a buon mercato. Sfruttabile, ricattabile, poco utilizzabile nel tempo.
Insomma, dopo decenni di battaglie siamo sempre lì: il sapere non è un diritto universale, ma un privilegio che si tramanda, castalmente, di padre in figlio.

In secondo luogo, si perpetua una confusione inaccettabile tra formazione scolastica e formazione così detta professionale.
La prima deve - dovrebbe - essere a disposizione di tutti come dirittodovere di una cittadinanza matura: la sua ragion d'essere è, appunto, la crescita della persona, non l'orientamento al lavoro; così come il suo obiettivo generale è la lotta alle disuguaglianze sociali e di reddito (alla rimozione di quegli ostacoli che, come dice l'articolo 3 della nostra Costituzione, rendono inattuata e inattuabile l'eguaglianza dei diritti), non la professionalizzazione precoce.
Perciò la scuola ha da essere pubblica, unitaria, gratuita: perchè è un pezzo costitutivo, fondamentale, di ciò che chiamiamo democrazia.
La seconda, la scuola professionale, è un'altra cosa: serve, dovrebbe servire, a imparare un mestiere, non può comunque identificarsi con la formazione tout court. (Per altro, in Italia esso è affidato alle regioni e, di fatto, alle organizzazioni cattoliche: è un sistema spezzettato, caotico, diseguale, attorno al quale ruotano una marea di soldi e di interessi).
Il problema è quando finisce la prima e quando comincia la seconda.
Quand'ero
ragazzina, la divisione avveniva subito. Finite le elementari, c'era chi (tramite un esame molto selettivo) accedeva alla scuola media (quella con il latino) - ed erano tutti (e solo) i figli dei borghesi, più qualche figlio del proletariato che "se lo meritava". Gli altri, i più, se continuavano a studiare, andavano alle "commerciali" e alle "industriali" (i maschi) o alle "professionali" (le femminucce).
Poi, come è noto, venne la riforma-clou del primo centrosinistra, la scuola media unica. Una riforma che ha mutato il volto del paese, dal punto di vista della democrazia sostanziale. Allora, come oggi, l'intuizione era chiara: battere ogni ipotesi, e ogni pratica, di canalizzazione precoce, quella che separa chi è destinato ad accedere al sapere da chi, la moltitudine, buttata nell'inferno del lavoro sovrasfruttato.

Infine, con una tale controriforma, non solo si nega nella pratica ciò che si era dichiarato a parole, ma si contribuisce molto attivamente ad una pesantissima regressione culturale e di civiltà. Non c'è analista, al mondo, che non sappia, oggi, che, al ritmo attuale dell'innovazione tecnologica e scientifica, non c'è nessuna formazione "specifica" che possa reggere davvero nel tempo - un tema che, a diversi livelli, vale dall'asilo all'università. Tutte le competenze concrete, o quasi, insomma, diventano rapidamente obsolete nel giro di pochi anni.
E dunque? Dunque, un sistema dell'istruzione utile, oltre che democratico, è quello che insegna, se così si può dire, ad imparare: fornisce le basi essenziali dell'apprendimento, gli strumenti generali, i codici evolutivi - non le singole nozioni peculiari di una professionalità di basso profilo. Dunque, non sono soltanto cattivi: sono anche stupidi. Lavorano, certo senza saperlo, alla "comune rovina delle classi in lotta". Alla regressione della civiltà.


di Rina Gagliardi - Pubblicato su "Liberazione" del 19 luglio

martedì 15 luglio 2008

Rifondazione Comunista in movimento

Il nostro Congresso si svolge dopo una sconfitta drammatica della sinistra e di Rifondazione Comunista, sconfitta che per la prima volta dal dopopguerra cancella i comunisti dal Parlamento.
Il Partito deve ragionare sia sulle cause di questo risultato per individuarne le radici sia sulle prospettive per definire un progetto politico credibile e percepito come utile dall'elettorato.
L'accordo del 2006 per battere Berlusconi era necessario per evitare l'avanzata delle destre e gli sbarramenti elettorali imposti dalla legge costringevano a costruire un'alleanza elettorale, ma il modo con cui questi passaggi sono stati compiuti sono stati sbagliati.
A monte di tutto ciò vi sono stati errori decisivi nell'analisi di fase.
Per questo è preliminarmente essenziale una critica al Congresso di Venezia, perchè lì vi è stata una valutazione completamente sbagliata della fase politica e sociale che erroneamente aveva ritenuto di poter registrare uno spostamento a sinistra delle forze del centrosinistra.
Invece il Governo non solo non si è affatto dimostrato permeabile ai movimenti, ma ha ignorato completamente le mobilitazioni di massa contro la precarietà, le proteste dei cittadini contro la base di Vicenza, le manifestazioni delle donne, la richiesta di diritti civili misconosciuti.
Al contrario, esso si è dimostrato permeabile alle richieste dei poteri forti, di coloro che già avevano ottenuto molto a danno dei lavoratori e dei ceti più deboli.
Con l'avvicinarsi delle elezioni politiche si è compiuto un altro grave errore.
Invece di presentare la Sinistra Arcobaleno come cartello elettorale necessitato dallo sbarramento elettorale, vi si è investito strategicamente, caratterizzandola come battesimo del nuovo soggetto politico della sinistra unita in cui sono state occultate le differenze culturali e di prospettiva esistenti all'interno del raggruppamento elettorale. Si è voluto accelerare per dare vita ad un soggetto politico-elettorale che fosse il primo passo del nuovo partito unico della sinistra senza che la base potesse neanche lontanamente discuterne.
Qui è il cuore del Congresso.
Il punto di divisione riguarda la prospettiva del "superamento" di Rifondazione Comunista in un nuovo soggetto politico, una prospettiva che noi non condividiamo e non è, per noi, in discussione nè per l'oggi nè per il domani.
Lungo i suoi 17 anni di vita, il P.R.C. ha svolto una funzione importante nella società italiana, nel movimento contro la globalizzazione capitalistica e nel campo delle formazioni comuniste e di sinistra in Europa e nel mondo.
A nostro giudizio la rifondazione comunista non ha affatto esaurito la propria funzione storica.
Certo, il partito va cambiato.
Per questo proponiamo di continuare nell'impegno già assunto a Carrara della sua auto-riforma nella tensione verso l'idea di un "intellettuale collettivo" che non abbia bisogno di leader carismatici e di padri salvatori.
Un partito del "fare", meno istituzionale, meno degli assessori e più dei lavoratori, che guardi ai territori e sappia cercare in essi un radicamento sociale.
La costruzione della sinistra non è in antitesi a questo. In tale direzione va la creazione di "case della sinistra", dove ognuno sta con la propria cultura, dove nessuno si scioglie, dove si crea lotta, mobilitazione, lavoro comune.
In un tale contesto è possibile porre le condizioni dell'unità della sinistra, non certo dal "cielo della politica".
(Sintesi del documento n. 1 - Acerbo, Ferrero, Grassi, Mantovani ed altri).

I risultati del Congresso della Federazione di Ancona sono i seguenti:
Documento 1 = 57,7%Documento 2 = 27,0%
Documento 3 = 14,1%
Documento 4 = 0,0%
Documento 5 = 1,2%

Il Comitato Politico Federale sarà composto da 47 componenti di cui 27 per il Documento 1 (io sono tra questi), 13, per il Documento 2 e 7 per il Documento 3.

I risultati della Regione Marche sono i seguenti:
Documento 1 = 57,6%
Documento 2 = 21,1%
Documento 3 = 13,3%
Documento 4 = 3,7%
Documento 5 = 4,3%

mercoledì 9 luglio 2008

Voglio un partito così

Scusate l'assenza dai vostri blog, ma sono un delegato al Congresso di Federazione del P.R.C. e membro della Commissione Elettorale per cui fino a domenica sera sarò impegnata per questo motivo.


Vi lascio un saluto e un articolo tratto da "Essere Comunisti".


"Voglio un partito così" di Elena Ulivieri


Qualche settimana fa sono uscita a cena con la compagna Martina. Avevamo deciso di recarci assieme al Gas, (gruppo di acquisto solidale, quello con le verdurine fresche biologiche, i formaggi e il latte, la ricotta e lo yoghurt prodotti da agricoltori locali; quello della “spesa a chilometri zero” e dell'agricoltura omeodinamica) che si riunisce ogni mercoledì presso la sede di un centro sociale in periferia vicino al periferico paese dove abitiamo. Abbiamo scelto una pizzeria molto popolare e altrettanto economica, a metà strada tra casa e Gas. In quell'occasione ho proposto a Martina di prendere la tessera di Rifondazione Comunista. Mi immaginavo che mi avrebbe detto di no, così, quando lei mi ha detto di no, ho amaramente precisato che per me era importante chiederglielo, più che ottenere una risposta positiva.

Voglio un partito per cui poter insistere.


Voglio un partito che conosca la storia. E che la sappia raccontare. Che organizzi seminari nazionali, dove i partecipanti ascoltino del fascismo, della Resistenza, delle guerre sanguinose, fredde e di (non) pace. Che dia gli strumenti per scovare il revisionismo – dilagante, sui media e, ormai, anche nelle parole di chi ci è vicino.


Voglio un partito che conosca l'economia. Che spieghi la crisi dei mutui subprime e i punti di pil che passano dal lavoro salariato alle imprese. Che indichi i testi da leggere e smascheri quotidianamente il capitalismo e i suoi bravi, come un instancabile D'Artagnan.


Voglio un partito che sappia portare i compagni e le compagne alla convivenza produttiva. Non voglio solo le regoline per le femminucce. Non voglio fare l'uomo per sentirmi una donna ascoltata (vedi alla voce “lei è una con le palle”).


Voglio un partito che non sprechi risorse. Ricordo che a Carrara una compagna del Lazio si era indebitata personalmente per le spese del circolo. Quel circolo deve diventare ricchissimo. Non voglio più sentir parlare di progetti mastodontici, capricciosi e irrealizzabili (magari mai portati a termine), ma soprattutto costosissimi e incomprensibili ai più, decisi nel chiuso di una stanza da pochi sprovveduti e maldestri dirigenti, sole od ombra che siano.


Voglio un partito dove l'identità è importante. E non viene trascurata. Perché se si trascura l'identità poi si dice che siamo “vecchi” o “nostalgici”. Voglio un partito che non tenti di nascondere i propri simboli. Voglio un partito che non segua le mode lanciate da chi ci è lontano e ha da farsi la propaganda. Voglio vedere le falci e martello sui manifesti del mio partito.


Voglio un partito amico di Cuba, della Palestina e del Venezuela (e che abbia un giornale che non faccia il verso a “Libero” quando ne parla). Che conosca la storia e il presente dei paesi. Che si confronti con gli altri partiti fratelli nel mondo e che sappia collocarsi in un contesto europeo ed extraeuropeo senza l'imbarazzo di nessuno.


Voglio un partito che conosca se stesso, la cui classe dirigente non sia soltanto autoreferenziale. Sì, perché ogni tanto l'autoreferenzialità può scappare. E – diciamocelo – a volte è divertente litigare. Ma poi si deve fare pace ed iniziare a litigare per davvero, per arrivare alla preziosa e necessaria sintesi collettiva (e la collettività è formata anche dai compagni della base, per chi se n'è dimenticato).

Voglio un partito che conosca il vocabolario. Che non si permetta di parlare col linguaggio del potere, che sappia evitare gli aggettivi, i sostantivi, le espressioni e i latinorum televisivi, e che curi attentamente anche le virgole e gli accenti. Senza scivolare in metafore lontane dalla realtà.


Voglio un partito con Linux o, al limite, con Open Office. E con un sito internet che fornisca le informazioni utili agli iscritti e alle iscritte. Gli ordini del giorno, i comunicati stampa, i manifesti, il simbolo (non soltanto il contrassegno elettorale), le fotografie, gli approfondimenti, le lettere e le risposte.

Voglio un partito senza nomi e senza facce. Appartenere ad un partito non deve significare “essere di” qualcuno, né il partito stesso dev'essere “di qualcuno”. Nostro, dei compagni e delle compagne, dev'essere.

Voglio un partito che renda la voce degli sfruttati più forte, e che non si allontani più da chi vuol rappresentare. Voglio un partito che rilegga Antonio Gramsci, che io non conosco bene, ma che forse alcuni compagni che conosco citerebbero opportunamente, spiegando qualcosa su come si organizzano dirigenti, intellettuali, militanti e simpatizzanti.


Voglio un partito per la pace.


Voglio un partito così.


Per questo appartengo al partito della Rifondazione Comunista. Perché è il luogo che più si avvicina a quello che serve. E per questo voterò e farò votare la mozione Acerbo Ferrero Grassi Mantovani, che poi è la uno, perché non fa un sognante discorso sulla precarietà della vita, del mondo, della terra e del cielo, ma che prova a ritrovare quel filo che un po' di volte ci è scivolato dalle mani.


Abbiamo dimostrato il nostro coraggio e la nostra determinazione in molte circostanze, per cose piccole e per cose grandi. Facciamolo ancora, ché questa, adesso, è la più grande di tutte.


E magari Martina s'iscrive.


E' per un partito così che io mi sto impegnando in questo congresso...

Un saluto a tutti. Franca

venerdì 4 luglio 2008

Per la difesa della Costituzione

Su "La Repubblica.it" è in corso una petizione contro il "lodo Alfano".

Questo il testo dell'appello di cento costituzionalisti.

"I sottoscritti professori ordinari di diritto costituzionale e di discipline equivalenti, vivamente preoccupati per le recenti iniziative legislative intese:

1) a bloccare per un anno i procedimenti penali in corso per fatti commessi prima del 30 giugno 2002, con esclusione dei reati puniti con la pena della reclusione superiore a dieci anni
2) a reintrodurre nel nostro ordinamento l'immunità temporanea per reati comuni commessi dal Presidente della Repubblica, dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dai Presidenti di Camera e Senato anche prima dell'assunzione della carica, già prevista dall'art. 1 comma 2 della legge n. 140 del 2003, dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 24 del 2004,

premesso che l'art. 1, comma 2 della Costituzione, nell'affermare che "La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione", esclude che il popolo possa, col suo voto, rendere giudiziariamente immuni i titolari di cariche elettive e che questi, per il solo fatto di ricoprire cariche istituzionali, siano esentati dal doveroso rispetto della Carta costituzionale,

rilevano, con riferimento alla legge di conversione del decreto legge n. 92 del 2008, che gli artt. 2 bis e 2 ter introdotti con emendamento a tale decreto, sollevano insuperabili perplessità di legittimità costituzionale perché:

a) essendo del tutto estranei alla logica del cosiddetto decreto-sicurezza, difettano dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza richiesti dall'art. 77, comma 2 Cost. (Corte cost., sentenze n. 171 del 2007 e n. 128 del 2008);
b) violano il principio della ragionevole durata dei processi (art. 111, comma 1 Cost., art. 6 Convenzione europea dei diritti dell'uomo);
c) pregiudicano l'obbligatorietà dell'azione penale (art. 112 Cost.), in conseguenza della quale il legislatore non ha il potere di sospendere il corso dei processi, ma solo, e tutt'al più, di prevedere criteri - flessibili - cui gli uffici giudiziari debbano ispirarsi nella formazione dei ruoli d'udienza;
d) la data del 30 giugno 2002 non presenta alcuna giustificazione obiettiva e razionale;
e) non sussiste alcuna ragionevole giustificazione per una così generalizzata sospensione che, alla sua scadenza, produrrebbe ulteriori devastanti effetti di disfunzione della giustizia venendosi a sommare il carico dei processi sospesi a quello dei processi nel frattempo sopravvenuti;

rilevano, con riferimento al cosiddetto lodo Alfano, che la sospensione temporanea ivi prevista, concernendo genericamente i reati comuni commessi dai titolari delle sopra indicate quattro alte cariche, viola, oltre alla ragionevole durata dei processi e all'obbligatorietà dell'azione penale, anche e soprattutto l'art. 3, comma 1 Cost., secondo il quale tutti i cittadini "sono eguali davanti alla legge".

Osservano, a tal proposito, che le vigenti deroghe a tale principio in favore di titolari di cariche istituzionali, tutte previste da norme di rango costituzionale o fondate su precisi obblighi costituzionali, riguardano sempre ed esclusivamente atti o fatti compiuti nell'esercizio delle proprie funzioni.
Per contro, nel cosiddetto lodo Alfano la titolarità della carica istituzionale viene assunta non già come fondamento e limite dell'immunità "funzionale", bensì come mero pretesto per sospendere l'ordinario corso della giustizia con riferimento a reati "comuni".

Per ciò che attiene all'analogo art. 1, comma 2 della legge n. 140 del 2003, i sottoscritti rilevano che, nel dichiararne l'incostituzionalità con la citata sentenza n. 24 del 2004, la Corte costituzionale si limitò a constatare che la previsione legislativa in questione difettava di tanti requisiti e condizioni (tra cui la doverosa indicazione del presupposto - e cioè dei reati a cui l'immunità andrebbe applicata - e l'altrettanto doveroso pari trattamento dei ministri e dei parlamentari nell'ipotesi dell'immunità, rispettivamente, del Premier e dei Presidenti delle due Camere), tali da renderla inevitabilmente contrastante con i principi dello Stato di diritto.
Ma ciò la Corte fece senza con ciò pregiudicare la questione di fondo, qui sottolineata, della necessità che qualsiasi forma di prerogativa comportante deroghe al principio di eguale sottoposizione di tutti alla giurisdizione penale debba essere introdotta necessariamente ed esclusivamente con una legge costituzionale.

Infine, date le inesatte notizie diffuse al riguardo, i sottoscritti ritengono opportuno ricordare che l'immunità temporanea per reati comuni è prevista solo nelle Costituzioni greca, portoghese, israeliana e francese con riferimento però al solo Presidente della Repubblica, mentre analoga immunità non è prevista per il Presidente del Consiglio e per i Ministri in alcun ordinamento di democrazia parlamentare analogo al nostro, tanto meno nell'ordinamento spagnolo più volte evocato, ma sempre inesattamente"

mercoledì 2 luglio 2008

Passaparola!


Roma, 8 luglio, 
manifestazione in Piazza Navona
PASSAPAROLA!





Colombo, Pardi, Flores d’Arcais: tutti in piazza contro le leggi-canaglia

"Care concittadine e cari concittadini,
il governo Berlusconi sta facendo approvare una raffica di leggi-canaglia con cui distruggere il giornalismo, il diritto di cronaca e l’architrave della convivenza civile, la legge uguale per tutti.
Questo attacco senza precedenti ai principi della Costituzione impone a ogni democratico il dovere di scendere in piazza subito, prima che il vulnus alle istituzioni repubblicane diventi irreversibile.
Poiché il maggior partito di opposizione ancora non ha ottemperato al mandato degli elettori, tocca a noi cittadini auto-organizzarci.
Contro le leggi-canaglia, in difesa del libero giornalismo e della legge eguale per tutti,
ci diamo appuntamento a Roma l’8 luglio in piazza Navona alle ore 18
per testimoniare con la nostra opposizione – morale, prima ancora che politica – la nostra fedeltà alla Costituzione repubblicana nata dai valori della Resistenza antifascista.
Vi chiediamo l’impegno a “farvi leader”, a mobilitare fin da oggi, con mail, telefonate, blog, tutti i democratici.
La televisione di regime, ormai unificata e asservita, opererà la censura del silenzio.
I mass-media di questa manifestazione siete solo voi."
On Furio Colombo, Sen. Francesco Pardi, Paolo Flores d’Arcais