sabato 31 gennaio 2009

Uomini (e colpi) di stato

di Lorenzo Mazzoli su Aprile online del 04/12/2008

Il nostro è un paese gravemente malato. Le sue fondamenta democratiche stanno sopportando carichi inauditi e la struttura mostra chiari segni di cedimento: l'unica salvezza possibile è data dall'appropriazione delle persone di tutti gli interstizi che tengono insieme la democrazia e con la loro presenza collettiva ostacolino il processo di degenerazione in atto.
Quello che serve è una straordinaria partecipazione e ribellione civile in grado di dare un senso comune a ciò che appare sempre più atomizzazione degli interessi, disfacimento valoriale, si salvi chi può.
Il pericolo più grande che abbiamo di fronte è la fusione tra crisi economica e sfiducia negli strumenti di partecipazione che renderebbe questo paese ancora più debole, ancora più ingiusto.
Quando vengono meno i legami superiori che tengono insieme interessi diversi ed ognuno appartiene a se stesso perché sembra venir meno un obiettivo credibile e collettivo, inevitabilmente si risente il fetore nauseabondo di coloro che riemergono dal letame della storia.
In un paese normale, i miasmi gelliani sarebbero ben stipati in sicuri contenitori come si fa per le sostanza pericolose e radioattive; invece no. Licio Gelli, anziché essere accompagnato a pernacchie ad ogni sua comparsa, viene intervistato come un qualsiasi commentatore politico. L'uomo condannato per tentato sovvertimento dell'ordine democratico attraverso la Loggia massonica P2, la persona al centro delle vicende tra le più torbide del nostro paese viene messo in condizione di esprimere ancora le proprie sentenze.
Non è democrazia e diritto di informazione, è una vergogna!
Non c'è bisogno che ci dica il suo punto di vista su che cosa è stata la P2, lo ha scritto la Commissione Anselmi; non c'è bisogno che ci ricordi il suo odio per gli extracomunitari e gli omossessuali; e chissenefrega su che cosa pensa di Obama; gli studenti vanno fermati anche con la forza? Ma va a quel paese; "Saviano ha scritto Gomorra per farsi pubblicità"? Sei un rincoglionito; "i sindacati hanno impoverito l'Italia"? Ma pensa te che profondità di analisi. E se pontifica che senza Berlusconi l'Italia sarebbe in rovina, basta guardarsi intorno per dirgli: complimenti.
Non si tratta di sottovalutare ciò che dice un pericoloso lestofante, ciò che serve di più è mandare fragorosamente a quel paese coloro che fanno da megafono e vigilare attentamente su ciò che accade e, soprattutto, far sentire alta e forte la voce della democrazia.
E' questo che li manda in bestia ed è questo che tutte le forze democratiche dovrebbero costruire. E, quando serve, prendiamoli anche un po' per il culo. Anche questo li infastidisce.
Quello che serve all'Italia lo sappiamo, battiamoci per quello.
Al Presidente del Consiglio una semplice richiesta: dopo essere stato chiamato così platealmente in causa, un "uomo di Stato" saprà sicuramente dire inequivocabili parole di presa di distanza da un nemico dichiarato della democrazia.

lunedì 26 gennaio 2009

Dolore muto


Dolore muto

di Dacia Maraini - Repubblica 12/01/2009

Tre, cinque giovani uomini camminano portando in braccio dei bambini avvolti in lenzuoli bianchi. Li tengono riparati come per difenderli dal freddo e dal vento, camminando in mezzo ai detriti. Ma da come cadono all'indietro le piccole teste sulle braccia dei giovani padri si capisce che quei bambini sono morti.
Due, tre donne se ne stanno sedute in quella che si indovina essere un'aula scolastica, con le pareti tappezzate di disegni infantili dai colori squillanti. Le donne stringono al petto dei fagotti avvolti in coperte colorate. Lì per lì potrebbero essere prese per delle madri che tengono in braccio i figli addormentati. Ma dal colore livido delle facce si capisce che sono bambini senza vita.
I giovani uomini camminano verso qualcosa che potrebbe essere una tomba, seguiti da altri uomini. Non gridano, non danno segno di dolore.
Le donne nell'aula scolastica anche loro se ne stanno composte, sedute immobili con la testa china, i volti seri coperti da fazzoletti a fiori bianchi e neri.
Sono due fotografie che prendono a pugni lo stomaco, uscite sui giornali più popolari. Cosa ci dicono queste fotografie?
Che il mondo sta uccidendo i suoi piccoli. Un segno che, quando appare nell'universo animale, è sintomo di una volontà di suicidio della specie. Uccidere bambini vuol dire sopprimere il futuro. E sopprimere il futuro vuol dire togliere di mezzo la speranza e la gioia di vivere.
Sappiamo quanto sia complicata e difficile questa guerra. Sappiamo che Israele è un Paese minacciato, non tanto dai palestinesi quanto da gran parte dei Paesi islamici, soprattutto dall'Iran che ha dichiarato piu volte di volerla distruggere. Certamente questo crea un irrigidimento della difesa ad oltranza. Ma sinceramente non crediamo che i bombardamenti ciechi che uccidono tanti civili, colpevoli solo di abitare in quella piccola striscia, sia un buon sistema per risolvere la questione.
Una prova di forza, lo capiamo. Ma quanto la forza militare riesce a risolvere le cose? Sono riuscite le bombe a pacificare un Paese come l'Iraq? Sono riuscite le bombe a liberare l'Afghanistan dai tirannici Talebani? La risposta abbastanza evidente è no. Possibile che queste esperienze recentissime non abbiano insegnato niente a un Paese civile come Israele?
Per fortuna molti israeliani in questi giorni stanno protestando contro questi bombardamenti. E non sono solo intellettuali, ma gente comune, di tutte le classi e tutte le età.
I bombardamenti oltre che micidiali sono inutili. Più che inutili, decisamente dannosi per il futuro del Paese.
Ognuno di questi bambini è un motivo di risentimento in più, un motivo di rabbia e uno sprone all'odio. Come non capire questo semplice meccanismo di causa ed effetto?
Qualcuno ha parlato di ingenuità. Sono ingenui i pacifisti, si dice.
Il mondo procede solo per rapporti di forza. Quindi è inutile fare i buonisti quando tutto è rapina, dominio, vendetta, voglia di distruzione. Si salva solo chi si mostra più forte.
Ammettiamo che sia così. Che il mondo sia regolato solo dai rapporti di forza. E allora io dico che Israele sottovaluta pericolosamente la forza di quei piccoli corpi morti che colpiscono l'immaginazione di chi guarda.
L'immaginazione ha una forza che non possiede nessuna bomba, nessun fucile, nessun razzo al mondo. L'immaginazione partorisce dolore. Il dolore partorisce giudizio. Il giudizio partorisce indignazione. La grande madre immaginazione, anche quando se ne sta nascosta e silenziosa, alla lunga non può che vincere sulla palese brutale forza degli esplosivi.

venerdì 23 gennaio 2009

Orfana di quattro anni. Effetto collaterale

Da Emergency n. 46 - marzo 2008

Saliha, nel suo vestitino colorato, scorrazza per i corridoi dell'ospedale, fermandosi solo quando incontra qualcuno e allora corre a nascondersi, soprattutto se quel qualcuno è un membro dello staff internazionale.
Mi racconta un'infermiera che Sahila, quattro anni, viene da Musa Oala, uno dei molti villaggi bombardati dall'aviazione alleata che ufficialmente combatte contro i taliban.
Durante uno di questi raid, Sahila ha perso la madre e due fratelli; il padre è in carcere sospettato di affiliazione con i taliban.
E' arrivata all'ospedale tre mesi fa con ustioni di secondo grado sulla gamba e il braccio destri e ustioni meno gravi in altre parti del corpo, che richiedevano un trattamento molto doloroso: le zone ustionate erano sottoposte a lavaggi profondi per rimuovere i tessuti necrotici in modo da favorire la fase di granulazione dei tessuti sottostanti e poi venivano medicate.
Oltre a quelle che le laceravano la pelle, Sahila aveva riportato altre ferite, altrettanto evidenti: stava tutto il giorno rintanata nel suo letto in un isolamento pervicace e silenzioso che nessuno riusciva a penetrare.
A poco a poco, ha iniziato a concedere la sua fiducia ad alcune infermiere afgane che hanno fatto da "mediatrici" tra lei e un mondo completamente estraneo ai suoi occhi, così lontano dal suo villaggio e da quel che restava della sua famiglia.
Sahila ha cominciato a mangiare e a girare curiosa per l'ospedale, anche se ancora sfuggiva ai medici che dovevano visitarla, soprattutto quando si avvicinava il momento delle medicazioni.
Qualche volta abbiamo dovuto recuperarla in farmacia, dove cercava rifugio dietro ai pantaloni del nostro farmacista.
Dopo tre mesi di ricovero oggi Sahila viene dimessa dall'ospedale.
Uno dei parenti è venuto a prenderla e ora Sahila tornerà al suo villaggio distrutto, lasciando il posto dove aveva appena iniziato a trovare un po' di pace. E dove aveva da subito conquistato l'affetto di tutto lo staff.
Vedendola andare via, tutti abbiamo avuto difficoltà a pensare a lei come ad un "effetto collaterale doloroso, ma inevitabile" della guerra in questo paese.

MS

martedì 20 gennaio 2009

Lettera aperta ai politici italiani

Gaza, lettera aperta ai politici italiani
di Luisa Morgantini (Vice Presidente del Parlamento Europeo)
su Aprile online del 05/01/2009

Non una parola, non un pensiero, non un segno di dolore per le centinaia di persone uccise, donne, bambini, anziani e militanti di Hamas, anche loro persone. Case sventrate, palazzi interi, ministeri, scuole, farmacie, posti di polizia. Ma dove è finita la nostra umanità. Dove sono i Veltroni, con i loro "I care", come si può tacere o difendere la politica di aggressione israeliana?
***
La popolazione di Gaza e della Cisgiordania, i palestinesi tutti, pagano il prezzo dell'incapacità della Comunità Internazionale di far rispettare ad Israele la legalità internazionale e di cessare la sua politicale coloniale.
Certo Hamas con il lancio dei razzi impaurisce ed è una minaccia contro la popolazione civile israeliana, azioni illegali, da condannare. Bisogna fermarli.
Ma basta con l' impunità di Israele e dei ricatti dei loro gruppi dirigenti.
Dal 1967 Israele occupa militarmente i territori palestinesi, una occupazione brutale e coloniale. Furto di terra, demolizione di case, check point dove i palestinesi vengono trattati con disprezzo, picchiati, umiliati, colonie che crescono a dismisura portando via terra, acqua, distruggendo coltivazioni. Migliaia di prigionieri politici, ai quali sono impedite anche le visite dei familiari.
Ma voi dirigenti politici, avete mai visto la disperazione di un contadino palestinese che si abbraccia al suo albero di olivo mentre un buldozzer glielo porta via e dei soldati che lo pestano con il fucile per farglielo lasciare, o una donna che partorisce dietro un masso e il marito taglia il cordone ombelicale con un sasso perché soldati israeliani al check point non gli permettono di passare per andare all' ospedale, o Um Kamel, cacciata dalla sua casa, acquistata con sacrifici perché fanatici ebrei non sopravissuti all'olocausto ma arrivati da Brooklin, pensando che quella terra e quindi quella casa sia loro per diritto divino, sono entrati di forza e l'hanno occupata perché vogliono costruire in quel quartiere arabo di Gerusalemme un'altra colonia ebraica. Avete mai visto i bambini dei villaggi circostanti Tuwani a sud di Hebron che per andare a scuola devono camminare più di un ora e mezza perché nella strada diretta dal loro villaggio alla scuola si trova un insediamento e i coloni picchiano ed aggrediscono i bambini, oppure i pastori di Tuwani che trovano le loro tanche d'acqua o le loro pecore avvelenate da fanatici coloni, o la città di Hebron ridotta a fantasma perché nel centro storico difesi da più di mille soldati 400 coloni hanno cacciato migliaia di palestinesi, costringendo a chiudere più di 870 negozi.
Avete visto il muro che taglia strade e quartieri che toglie terre ai villaggi che divide palestinesi da
Palestinesi, che annette territorio fertile e acqua ad Israele, un muro considerato illegale dalla Corte Internazionale di giustizia. Avete visto al valico di Eretz i malati di cancro rimandati indietro per questioni di sicureza, negli ultimi 19 mesi sono 283 le persone morte per mancanze di cure, avrebbero dovuto essere ricoverate negli ospedali all'estero, ma non sono stati fatti passare malgrado medici israeliani del gruppo Phisician for Human rights garantissero per loro. Avete sentito il freddo che penetra nelle ossa nelle notte gelide di Gaza perché non c'è riscaldamento, non c'è luce, o i bambini nati prematuri nell'ospedale di Shifa con i loro corpicini che vogliono vivere e bastano trenta minuti senza elettricità perché muoiano.
Avete visto la paura e il terrore negli occhi dei bambini, i loro corpi spezzati. Certo anche quelli dei bambini di Sderot, la loro paura non è diversa, e anche i razzi uccidono ma almeno loro hanno dei rifugi dove andare e per fortuna non hanno mai visto palazzi sventrati o decine di cadaveri intorno a loro o aerei che li bombardano a tappeto. Basta un morto per dire no, ma anche le proporzioni contano dal 2002 ad oggi per lanci di razzi di estremisti palestinesi sono state uccise 20 persone. Troppe, ma a Gaza nello stesso tempo sono stati distrutte migliaia e migliaia di case ed uccise più di tre mila persone tra loro centinaia di bambini che non tiravano razzi.
Dopo le manifestazioni di Milano dove sono state bruciate bandiere israeliane, voi dirigenti politici avete tutti manifestato indignazione, avete urlato la vostra condanna. Ne avete tutto il diritto. Io non brucio bandiere né israeliane né di altri paesi e penso che Israele abbia il diritto di esistere come uno Stato normale, uno stato per i suoi cittadini, con le frontiere del 1967, molto più ampie di quelle della partizione della Palestina decisa dalla Nazioni Unite del 1947.
Avrei però voluto sentire la vostra indignazione e la vostra umanità e sentirvi urlare il dolore per tante morti e tanta distruzione, per tanta arroganza, per tanta disumanità, per tanta violazione del diritto internazionale e umanitario. Avrei voluto sentirvi dire ai governanti israeliani: Cessate il fuoco, cessate l'assedio a Gaza, fermate la costruzione delle colonie in Cisgiordania, finitela con l' occupazione militare, rispettate e applicate le risoluzioni delle Nazioni Unite, questo è il modo per togliere ogni spazio ai fondamentalismi e alle minacce contro Israele.
Ieri lo dicevano migliaia di israeliani a Tel Aviv, ci rifiutiamo di essere nemici, basta con l'occupazione.
Dio mio in che mondo terribile viviamo.

CANZONE PER GAZA


giovedì 15 gennaio 2009

Ghandi sulla questione palestinese

Pubblicato su www.peacelink.it il 27 ottobre 2004

“Ho ricevuto numerose lettere in cui mi si chiede di esprimere il mio parere sulla controversia tra arabi ed ebrei in Palestina e sulla persecuzione degli ebrei in Germania. Non è senza esitazione che mi arrischio a dare un giudizio su problemi tanto spinosi.”

Le mie simpatie vanno tutte agli ebrei. In Sud Africa sono stato in stretti rapporti con molti ebrei. Alcuni di questi sono divenuti miei intimi amici. Attraverso questi amici ho appreso molte cose sulla multisecolare persecuzione di cui gli ebrei sono stati oggetto.
Ma la simpatia che nutro per gli ebrei non mi chiude gli occhi alla giustizia.
La rivendicazione degli ebrei di un territorio nazionale non mi pare giusta. A sostegno di tale rivendicazione viene invocata la Bibbia e la tenacia con cui gli ebrei hanno sempre agognato il ritorno in Palestina.
Perché, come gli altri popoli della terra, gli ebrei non dovrebbero fare la loro patria del Paese dove sono nati e dove si guadagnano da vivere?
La Palestina appartiene agli arabi come l’Inghilterra appartiene agli inglesi e la Francia appartiene ai francesi. È ingiusto e disumano imporre agli arabi la presenza degli ebrei.
Ciò che sta avvenendo oggi in Palestina non può esser giustificato da nessun principio morale. I mandati non hanno alcun valore, tranne quello conferito loro dall’ultima guerra. Sarebbe chiaramente un crimine contro l’umanità costringere gli orgogliosi arabi a restituire in parte o interamente la Palestina agli ebrei come loro territorio nazionale. La cosa corretta è di pretendere un trattamento giusto per gli ebrei, dovunque siano nati o si trovino. Gli ebrei nati in Francia sono francesi esattamente come sono francesi i cristiani nati in Francia.
Se gli ebrei sostengono di non avere altra patria che la Palestina, sono disposti ad essere cacciati dalle altre parti del mondo in cui risiedono? Oppure vogliono una doppia patria in cui stabilirsi a loro piacimento?
Sono convinto che gli ebrei stanno agendo ingiustamente.
La Palestina biblica non è un’entità geografica. Essa deve trovarsi nei loro cuori. Ma messo anche che essi considerino la terra di Palestina come loro patria, è ingiusto entrare in essa facendosi scudo dei fucili. Un’azione religiosa non può essere compiuta con l’aiuto delle baionette e delle bombe (oltre tutto altrui). Gli ebrei possono stabilirsi in Palestina soltanto col consenso degli arabi.
Non intendo difendere gli eccessi commessi dagli arabi. Vorrei che essi avessero scelto il metodo della nonviolenza per resistere contro quella che giustamente considerano un’aggressione del loro Paese. Ma in base ai canoni universalmente accettati del giusto e dell’ingiusto, non può essere detto niente contro la resistenza degli arabi di fronte alle preponderanti forze avversarie.”

ATTENZIONE!

Un sito web americano ha messo in rete il nome e la foto di Vittorio Arrigoni proclamandolo «il bersaglio n.1».
Per contrastare la crescente popolarità dell’ISM (International Solidarity Movement), e che infatti si chiama http://stoptheism.com/ si indica Vittorio Arrigoni come bersaglio numero uno per le forze armate israeliane con tanto di foto per identificarlo e di dati segnaletici, come un tatuaggio che Vik ha sulla spalla.
Sul sito legato a Lee Kaplan si legge che sispera in questo modo di «liberarcene per sempre»...

martedì 13 gennaio 2009

Hanno cominciato a riscrivere la storia

Il Pdl ha presentato una proposta di legge, la n. 1360, che ha come primo firmatario Lucio Barani del Nuovo Psi, con la quale pretende di istituire l’Ordine del Tricolore, con tanto di assegno vitalizio.

Tale onorificenza verrebbe assegnata indistintamente sia ai partigiani, sia "ai combattenti che ritennero onorevole la scelta a difesa del regime ferito e languente e aderirono a Salò"
L'ANPI ha bollato il testo come "l’ennesimo tentativo della destra di sovvertire la Storia d’Italia e le radici stesse della Repubblica".
La relazione che accompagna il disegno di legge sostiene infatti “la pari dignità di una partecipazione al conflitto di molti combattenti, giovani e meno giovani, cresciuti nella temperie culturale guerriera e imperiale del ventennio, che ritennero onorevole la scelta a difesa del regime ferito e languente
Lo Stato si impegna quindi a tributare il medesimo riconoscimento a partigiani, militari e deportati che scelsero di lottare per la libertà e ai repubblichini di Salò che si dedicarono a rastrellamenti di civili, esecuzioni, torture…

Tra i 42 firmatari della proposta di legge, compaiono anche i nomi di Giampaolo Fogliardi e Franco Narducci, entrambi del Partito Democratico.

Meditiamo gente, meditiamo…

domenica 11 gennaio 2009

Lettera da Ramallah


Pubblico questa lettera che per me è bellissima.

In fondo all'articolo invece inserisco il link ad un filmato.
Chi ha stomaco lo guardi...

La morale dei cacciabombardieri.

E leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua.
Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel campo di concentramento falciato dalla fame e dalla sete. E da cosa dipende la differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti? E i bambini consumati dalla malnutrizione, a quale conto si addebitano? Muore di guerra o di pace, chi muore perché manca l’elettricità in sala operatoria? Si chiama pace quando mancano i missili - ma come si chiama, quando manca tutto il resto?
E leggerò sui vostri giornali, domani, che tutto questo è solo un attacco preventivo, solo legittimo, inviolabile diritto di autodifesa. La quarta potenza militare al mondo, i suoi muscoli nucleari contro razzi di latta, e cartapesta e disperazione.
E mi sarà precisato naturalmente, che no, questo non è un attacco contro i civili - e d’altra parte, ma come potrebbe mai esserlo, se tre uomini che chiacchierano di Palestina, qui all’angolo della strada, sono per le leggi israeliane un nucleo di resistenza, e dunque un gruppo illegale, una forza combattente? - se nei documenti ufficiali siamo marchiati come entità nemica, e senza più il minimo argine etico, il cancro di Israele?
Se l’obiettivo è sradicare Hamas - tutto questo rafforza Hamas. Arrivate a bordo dei caccia a esportare la retorica della democrazia, a bordo dei caccia tornate poi a strangolare l’esercizio della democrazia - ma quale altra opzione rimane? Non lasciate che vi esploda addosso improvvisa. Non è il fondamentalismo, a essere bombardato in questo momento, ma tutto quello che qui si oppone al fondamentalismo. Tutto quello che a questa ferocia indistinta non restituisce gratuito un odio uguale e contrario, ma una parola scalza di dialogo, la lucidità di ragionare il coraggio di disertare - non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l’altra Palestina, terza e diversa, mentre schiva missili stretta tra la complicità di Fatah e la miopia di Hamas. Stava per assassinarmi per autodifesa, ho dovuto assassinarlo per autodifesa - la racconteranno così, un giorno i sopravvissuti.
E leggerò sui vostri giornali, domani, che è impossibile qualsiasi processo di pace, gli Israeliani, purtroppo, non hanno qualcuno con cui parlare. E effettivamente - e ma come potrebbero mai averlo, trincerati dietro otto metri di cemento di Muro? E soprattutto - perché mai dovrebbero averlo, se la Road Map è solo l’ennesima arma di distrazione di massa per l’opinione pubblica internazionale? Quattro pagine in cui a noi per esempio, si chiede di fermare gli attacchi terroristici, e in cambio, si dice, Israele non intraprenderà alcuna azione che possa minare la fiducia tra le parti, come - testuale - gli attacchi contro i civili. Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto, è un crimine di guerra non una questione di cortesia. E se Annapolis è un processo di pace, mentre l’unica mappa che procede sono qui intanto le terre confiscate, gli ulivi spianati le case demolite, gli insediamenti allargati - perché allora non è processo di pace la proposta saudita? La fine dell’occupazione, in cambio del riconoscimento da parte di tutti gli stati arabi. Possiamo avere se non altro un segno di reazione? Qualcuno, lì, per caso ascolta, dall’altro lato del Muro?
Ma sto qui a raccontarvi vento. Perché leggerò solo un rigo domani, sui vostri giornali e solo domani, poi leggerò solo, ancora, l’indifferenza. Ed è solo questo che sento, mentre gli F16 sorvolano la mia solitudine, verso centinaia di danni collaterali che io conosco nome a nome, vita a vita - solo una vertigine di infinito abbandono e smarrimento. Europei, Americani e anche gli Arabi - perché dove è finita la sovranità egiziana, al varco di Rafah, la morale egiziana, al sigillo di Rafah? - siamo semplicemente soli. Sfilate qui, delegazione dopo delegazione - e parlando, avrebbe detto Garcia Lorca, le parole restano nell’aria, come sugheri sull’acqua. Offrite aiuti umanitari, ma non siamo mendicanti, vogliamo dignità, libertà, frontiere aperte, non chiediamo favori, rivendichiamo diritti. E invece arrivate, indignati e partecipi, domandate cosa potete fare per noi. Una scuola? Una clinica forse? Delle borse di studio? E tentiamo ogni volta di convincervi - no, non la generosa solidarietà, insegnava Bobbio, solo la severa giustizia - sanzioni, sanzioni contro Israele. Ma rispondete - e neutrali ogni volta, e dunque partecipi dello squilibrio, partigiani dei vincitori - no, sarebbe antisemita. Ma chi è più antisemita, chi ha viziato Israele passo a passo per sessant’anni, fino a sfigurarlo nel paese più pericoloso al mondo per gli ebrei, o chi lo avverte che un Muro marca un ghetto da entrambi i lati? Rileggere Hannah Arendt è forse antisemita, oggi che siamo noi palestinesi la sua schiuma della terra, è antisemita tornare a illuminare le sue pagine sul potere e la violenza, sull’ultima razza soggetta al colonialismo britannico, che sarebbero stati infine gli inglesi stessi? No, non è antisemitismo, ma l’esatto opposto, sostenere i tanti Israeliani che tentano di scampare a una nakbah chiamata sionismo. Perché non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l’altro Israele, terzo e diverso, mentre schiva il pensiero unico stretto tra la complicità della sinistra e la miopia della destra.
So quello che leggerò, domani, sui vostri giornali. Ma nessuna autodifesa, nessuna esigenza di sicurezza. Tutto questo si chiama solo apartheid - e genocidio. Perché non importa che le politiche israeliane, tecnicamente, calzino oppure no al millimetro le definizioni delicatamente cesellate dal diritto internazionale, il suo aristocratico formalismo, la sua pretesa oggettività non sono che l’ennesimo collateralismo, qui, che asseconda e moltiplica la forza dei vincitori. La benzina di questi aerei è la vostra neutralità, è il vostro silenzio, il suono di queste esplosioni. Qualcuno si sentì berlinese, davanti a un altro Muro.
Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?

Mustafa Barghouthi
Parlamentare palestinese, leader del partito di sinistra Mubadara (L’Iniziativa)
Traduzione di Francesca Borri

Guarda il video

sabato 10 gennaio 2009

Carceri: record italiano

L'incarcerato sul sul blog ha fatto partire un'iniziativa alla quale non si può restare indifferenti.

Una madre chiede giustizia, ma soprattutto verità, per la morte di suo figlio avvenuta in carcere.
Il contributo che ci viene richiesto è quello di interessare Michele Santoro, mandandogli una e-mail (annozero@rai.it), affinché tratti l'argomento nella sua trasmissione.
Aderisco all'iniziativa anche se ho ritenuto di dover cambiare il testo dell'e-mail che veniva proposto.
Credo, infatti, che sia giusto che una madre lotti per sapere la verità su suo figlio, ma credo che da parte nostra sia invece doveroso chiedere che verità e giustizia sia fatta per i familiari di tutte le vittime di episodi analoghi.

Questo il testo che ho inviato:

Oggetto: Verità per Niki, per Aldo e per tutti gli altri

Egregio Santoro,
chi scrive è un comune cittadino che ha deciso di non rimanere indifferente ai continui soprusi cui spesso assiste.
Ritenendo la sua trasmissione molto valida, vorrei chiederle di valutare la possibilità di occuparsi di un fatto grave accaduto di recente.
C'è una madre sofferente che invoca giustizia per suo figlio Niki Aprile Gatti, arrestato preventivamente per una truffa telefonica effettuata da una società di San Marino per la quale lavorava.
Il ragazzo è stato trovato morto appena tre giorni dopo essere stato trasferito nel carcere di Sollicciano. La versione ufficiale è che egli si sia suicidato, ma la madre è convinta che il ragazzo sia stato ucciso.
Le chiedo, Signor Santoro, di contattare la signora Ornella Gemini, madre di Niki, tramite il suo indirizzo: mondadori.avezzano@gmail.com e, se lo riterrà opportuno, di trattare nella sua trasmissione l'argomento di questa morte così come di altre morti sospette nelle carceri italiane, quali ad esempio quella di Aldo Bianzino.

Io non so quale sia la verità, ma credo che i familiari di queste vittime abbiano il diritto di saperla.
Con stima, Franca Bassani

L'iniziativa mi da anche l'occasione per riportare un interessante articolo di Margherita De Bac pubblicato su "Il Corriere della Sera" il 10 novembre 2008 riguardante la condizione delle carceri italiane.

Carceri, il record italiano. Sani solo 2 detenuti su 10

Carceri malate. Non solo perché piene come un uovo e in gran parte strutturalmente vecchie e disumane. Ma soprattutto perché ospitano decine di migliaia di persone minacciate da un carico di patologie in certi casi doppio rispetto a quello dei liberi.
Appena il 20% circa dei detenuti sono sani. Il resto si trovano in «condizioni mediocri, 38%, scadenti, 37%, o gravi, 4%, con alto indice di co-morbosità», vale a dire più criticità e handicap in uno stesso paziente.
E' il più completo rapporto sulla sanità penitenziaria quello predisposto dalla Commissione Giustizia del Senato, su richiesta del presidente, Filippo Berselli. «Per capire la drammaticità del mondo dietro le sbarre bisogna visitarle le carceri. Io lo sto facendo. Ho scoperto realtà sorprendenti. Come nella Casa circondariale di Bolzano, oggetto di una mia interrogazione parlamentare al ministro Alfano. Dodici uomini stipati in un' unica cella. Ho domandato se ci fosse il bagno. Certo, mi hanno risposto, indicando una tendina in fondo alla stanza. L' ho scostata, nascondeva lavandino e water. Il cortile è un piccolo spazio che viene trasformato in campo di calcio durante l'ora d' aria. La porta è disegnata sul muro. Una sola. Per l'altra non c' è abbastanza spazio. E poi ci meravigliamo se la salute per questa gente sia un concetto astratto. Se le infezioni si trasmettono più rapidamente, se c' è chi va fuori di testa. Mi sorprenderebbe il contrario».
Il rapporto verrà discusso dalla Commissione Giustizia e costituirà la base di un pacchetto di proposte. I dati raccolti dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria riguardano l' analisi di schede e singole indagini condotte a più riprese.
Nella premessa viene osservato che «la domanda di salute in carcere è in costante crescita. Si è passati da oltre 25.500 detenuti del 1990 ai 55.000 del giugno 2008 (tra cui 2410 donne, il 4,4%). Ma se si considera il turn over degli arrestati e dei dimessi è evidente come l' offerta dei servizi sanitari coinvolga numeri vicini al doppio di quelli citati». Per ogni «nuovo giunto» viene compilata una cartella di ammissione. Un archivio estremamente dettagliato, come non si trova neppure in ospedale. Il 21% dei detenuti sono tossicodipendenti, il 15% hanno problemi di masticazione, altrettanti soffrono di depressione e altri disturbi psichiatrici, il 13% di malattie osteo articolari, il 10% malattie del fegato, per limitarsi alle cinque patologie maggiormente diffuse. La tossicodipendenza è spesso associata a Aids, epatite C e disturbi mentali.
«Si deve osservare - sottolinea il rapporto - che le psicopatie, certe malattie infettive e quelle dell'apparato gastroenterico sono presenti con percentuali notevolmente superiori a quelle osservate in libertà».
Le persone con Hiv sono 1008, il 2,07% della popolazione carceraria complessiva. Ma l' infezione è molto più diffusa di quanto rivelino le cartelle cliniche. Solo il 30-40% dei detenuti accettano di sottoporsi al test. «E' vero, la maggior parte lo rifiutano», evidenzia il problema Giampaolo Carosi, infettivologo a Brescia, componente della Commissione nazionale Aids. Due le ragioni. Grazie alle nuove terapie, oggi la sieropositività, anche se coincide con uno stato di avanzato indebolimento del sistema immunitario, non costituisce più uno scivolo automatico verso la scarcerazione. Non solo, ma chi viene trovato positivo al virus dell' Hiv va incontro ad emarginazione, stigma da parte dei compagni. «Sono decadute le ragioni per cui il detenuto aveva interesse a far scoprire l' infezione - continua Carosi -. Credo che però il test andrebbe offerto meglio, non solo al momento dell'ingresso».
Quindici istituti di pena dispongono di propri centri per diagnosi e terapia. Si contano sulle dita di una mano gli ospedali con reparti speciali per il ricovero dei reclusi. Due, sulla carta le sale operatorie «interne», a Pisa e al Regina Coeli. Ma la struttura romana è chiusa da prima dell' estate perché ha bisogno di manutenzione.
I ritardi dell'intervento tecnico sono dovuti al passaggio di competenze. Dal 1° ottobre la medicina penitenziaria è stata trasferita dal ministero di Grazia e Giustizia alle Asl. Una rivoluzione che dovrebbe portare dei benefici ai carcerati. Riceveranno la stessa assistenza che spetta a un cittadino libero. Quindi uguali diritti soprattutto dal punto di vista della erogazione di farmaci. Prima non c' era sufficiente chiarezza su chi dovesse sostenere la spesa, se l' istituto di pena o la Asl, timorosa di vedersi negare i rimborsi da parte del ministero di Giustizia. Ambedue cercavano di risparmiare, specie se si trattava di prodotti costosi. Ed è uno dei problemi denunciati dal rapporto. La riorganizzazione richiederà tempo. I soldi stanziati per il servizio sanitario penitenziario (84 milioni nel 2008) devono essere trasferiti al Fondo sanitario nazionale. Poi, la ripartizione tra le Regioni e da qui alle Asl che hanno competenza territoriale sugli istituti.
Ma non è l' unico ostacolo: «Non sono stati definiti ancora modelli operativi adeguati all'assistenza in carcere, le Regioni non si sono attrezzate a fornire servizi medici nei penitenziari, ambigua la gestione dei contratti di lavoro e dei ruoli professionali». Un ampio capitolo del dossier è dedicato agli ospedali psichiatrici: 1173 detenuti (195 soggetti a misure di contenzione fisica) distribuiti tra le sei strutture di Castiglione, Montelupo, Napoli, Reggio Emilia, Barcellona, Aversa, nate per destinazioni diverse. Diagnosi più frequente il disturbo paranoide schizofrenico e disturbi della personalità. In generale «il numero degli ammessi è sempre superiore al numero dei dimessi. Il rapporto tra il primo e il secondo gruppo è decisamente più sfavorevole a Barcellona».
L' organico dei sanitari è ridotto all' osso. Quindici medici, 183 infermieri, 5 assistenti sociali, per la metà part time.
Pesante la denuncia della Commissione interministeriale Giustizia-Salute incaricata di fotografare la situazione e formulare proposte: «Concentrazione degli internati, commistione più varia di condizioni cliniche e percorsi giuridici, inadeguatezza numerica del personale sanitario, assenza di formazione specifica in un settore così delicato».

venerdì 9 gennaio 2009

C'è qualcuno là fuori?

DIARIO DA GAZA: UN GIORNO IN AMBULANZA
...
I soldati non ci permettono di andare a soccorrere i superstiti di questa immensa catastrofe innaturale.
Quando i feriti si trovano in prossimità dei mezzi blindati israeliani che li hanno attaccati, a noi sulle ambulanze della mezzaluna rossa non è concesso avvicinarci, i soldati ci bersagliano di colpi. Avremmo bisogno della scorta di almeno un’ambulanza della croce rossa, in coordinamento con i comandi militari israeliani, per poter correre a cercare di salvare vite: provate a immaginare quanto tempo porterebbe via una procedura del genere, una condanna a morte certa per dei feriti in attesa di trasfusioni o di trattamenti di emergenza. Tanto più che la croce rossa ha i suoi di feriti a cui pensare, non potrebbe in nessun modo rendersi disponibile ad ogni nostra chiamata. Ci tocca allora stazionare in una zona «protetta», eufemismo qui a Gaza, e attendere che i parenti ci portino i congiunti moribondi, spesso in spalla. Così è andata verso le 5.30 di stamane, abbiamo arrestato col motore acceso l’ambulanza al centro di un incrocio e indicato tramite telefono la nostra posizione ad uno dei parenti dei feriti. Dopo una decina di minuti di snervante attesa, quando aveva già deciso di ingranare la marcia ed evacuare l’area per andare a rispondere ad un’altra chiamata, abbiamo visto girare l’angolo e dirigersi verso di noi, lentamente, un carretto carico di persone sospinto da un mulo. Una coppia con i suoi due figlioletti. La migliore rappresentazione possibile di questa non-guerra.
Questa non è una guerra perché non ci sono due eserciti che si danno battaglia su un fronte; è un assedio unilaterale condotto da forze armate (aviazione, marina, ed esercito) fra le più potenti del mondo, sicuramente le più avanzate in fatto di equipaggiamento militare tecnologico, che hanno attaccato una misera striscia di terra di 360 kmq, dove la popolazione si muove ancora sui muli e dove c’è una resistenza male armata la cui unica forza è quella di essere pronta al martirio. Quando il carretto si è fatto abbastanza vicino gli siamo andati incontro, e con orrore abbiamo scoperto il suo macabro carico. Un bimbo stava sdraiato con il cranio fracassato, gli occhi letteralmente saltati fuori dalle orbite, lo abbiamo raccolto che ancora respirava. Il suo fratellino invece presentava il torace sventrato, gli si potevano distintamente contare le costole bianche oltre i brandelli di carne lacera. La madre teneva poggiate le mani sul quel petto scoperchiato, come se cercasse di aggiustare qualcosa. Un ulteriore crimine, e nostro ennesimo personale lutto.
L’esercito israeliano continua a prendere di mira le ambulanze.
Dopo il dottore e l’infermiere morti a Jabalia 4 giorni fa, ieri è toccato ad un nostro amico, Arafa Abed Al Dayem, 35 anni, che lascia 4 figli. Verso le otto e mezza di ieri mattina abbiamo ricevuto una chiamata da Gaza city, due civili falciati dalla mitragliatrice di un tank; una delle nostre ambulanze della mezzaluna rossa è accorsa sul posto. Arafa e un infermiere hanno caricato i due feriti sull’ambulanza, hanno chiuso gli sportelli pronti a correre verso l’ospedale, quando sono stati centrati in pieno da un proiettile sparato da un carro armato. Il colpo ha decapitato uno dei feriti e ha ucciso anche il nostro amico; l’infermiere se l’è cavata ma è ora ricoverato nello stesso ospedale dove lavora. Arafa, maestro elementare, si offriva come volontario paramedico quando c’era carenza di personale. Siamo sotto una pioggia di bombe, nessuno se l’era sentita di chiamarlo in una situazione di così alto rischio. Arafa si era presentato da solo, e lavorava conscio dei pericoli, convinto che oltre la sua famiglia c’erano anche altri essere umani da difendere, da soccorrere. Ci mancano le sue burle, il suo irresistibile e contagioso sense of humor che rallegrava l’intero ospedale Al Auda di Jabalia anche nelle sue ore più cupe e drammatiche, quando sono più i morti e i feriti che confluiscono, e ci sente quasi colpevoli, inutili per non aver potuto fare qualcosa per salvarli, schiacciati come siamo da una forza micidiale inesorabile, la macchina di morte dell’esercito israeliano.
Qualcuno deve arrestare questa carneficina, ho visto cose in questi giorni, udito fragori, annusato miasmi pestiferi, che se avessi mai un giorno una mia progenia, non avrò mai il coraggio di tramandare.
C’E' QUALCUNO LA' FUORI?
La desolazione del sentirsi isolati nell’abbandono è pari alla veduta di un quartiere di Gaza dopo un’abbondante campagna di raid aerei. Sabato sera mi hanno passato al telefono la piazza di Milano in protesta, ho passato a mia volta il cellulare agli eroici dottori e infermieri con cui stiamo lavorando, li ho visto rincuorarsi per un breve attimo. Le manifestazioni in tutto il mondo dimostrano che esiste ancora qualcuno in cui credere, ma le manifestazioni non sono ancora abbastanza partecipate per esercitare quella pressione necessarie affinché i governi occidentali costringano Israele in un angolo, ad assumersi le sue responsabilità come criminale di guerra e contro l’umanità.
Moltissime le donne gravide terrorizzate che in queste ore stanno dando alla luce figli frutti di parti prematuri. Ne ho accompagnate personalmente tre a partorire. Una di queste, Samira, al settimo mese, ha dato alla luce uno splendido minuscolo bimbo di nome Ahmed. Correndo con lei a bordo verso l’ospedale di Auda e lasciandoci dietro negli specchietti retrovisori lo scenario di morte e distruzione dove poco prima stavamo raccogliendo cadaveri, ho pensato per un attimo che questa vita in procinto di fiorire potesse essere il beneaugurio per un futuro di pace e speranza. L’illusione si è dissolta col primo razzo che è crollato a fianco della nostra ambulanza tornando da Auda al centro di Jabalia. Queste madri coraggio mettono tristemente al mondo creature le quali assorbono come prima luce nei loro occhi, nient’altro oltre il verde militare dei tanks e delle jeeps e i lampi intermittenti che precedono le esplosioni.
Quali prospettive di vita attendono bimbi che fin dal primo istante della loro nascita avvertono sofferenza e urla di disgrazia?
RESTIAMO UMANI.

Vittorio Arrigoni
(Fonte: Il Manifesto)

mercoledì 7 gennaio 2009

Israele, unica democrazia del Medio Oriente

Questa è Gaza oggi:


Leggo sul blog "Solleviamoci" e rilancio...

70 palestinesi rinchiusi in una casa
e poi bombardati dall’esercito israeliano.
Vi ricorda qualcosa?

Infopal - Contropiano news - 05/01/2009

Una famiglia intera massacrata, fatta a pezzi: 70 persone uccise a sangue freddo dall’esercito di occupazione israeliano nel quartiere di az-Zaitun.
E’ successo, ieri, domenica, ma l’eccidio è stato scoperto solo oggi, lunedì.
Naeb as-Sammuni di 25 anni, sopravvissuto, ha raccontato: “Le forze di occupazione israeliane, penetrate a est del quartiere az-Zaitun, hanno radunato decine di membri della mia famiglia in una sola casa di 180 metri quadrati, poi l’hanno bombardata per dieci minuti”.
Il cittadino, che ha visto sterminare tutta la famiglia, ha aggiunto: “Dopo averli bersagliati di bombe, la casa si è trasformata in un lago di sangue. C’è chi è morto subito, chi è rimasto ferito ed è morto dissanguato”.
As-Sammuni ha spiegato che le forze di occupazione sioniste hanno impedito l’arrivo delle ambulanze per soccorrere i membri della famiglia massacrata, nonostante gli appelli della Croce Rossa: molti sono rimasti a sanguinare per 24 ore e solamente questa mattina sono sopraggiunti i soccorsi.
Nell’eccidio, ha raccontato Naeb, sono morte sua moglie Hanan, sua figlia Huda, sua madre Rizqa, e la maggior parte dei suoi fratelli e dei suoi cugini.
Il dott. Haitham Dababesh, che era tra i soccorritori dell’ospedale ash-Shifa di Gaza, ha dichiarato che da ieri sera, cioè dal momento del bombardamento della famiglia as-Sammuni, “abbiamo coordinato i soccorsi con la Croce Rossa, ma non siamo risusciti a raggiungerli fino a questa mattina”.
I soccorritori, al loro arrivo, hanno trovato una situazione terribile: un vero massacro, molte vittime. Il dott. Dababeh ha aggiunto che la sala di attesa dell’ospedale ash-Shifa, il più grande di Gaza, non riusciva a contenerle tutte.
Nel quartiere az-Zaitun si temono altri massacri: quell’area è nel mirino del fuoco israeliano sia da terra sia dal cielo. Gli abitanti temono per la loro vita e non riescono ad abbandonare le loro case minacciate di uccisione di massa.

E adesso una carrellata di foto di pericolosi terroristi eliminati in modo chirurgico dall'esercito israeliano...










Rimanete pure equidistanti, se ci riuscite...


Aggiornamento:
Raccolta di fondi per l’ospedale Al Awda di Jabalya


La feroce aggressione israeliana contro la Striscia di Gaza arriva dopo anni di un embargo internazionale voluto da Israele, dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Come conseguenza di questo embargo criminale, le strutture sanitarie e sociali di Gaza erano prossime al collasso già prima dell’ultima offensiva israeliana.
In questo momento drammatico, la crisi umanitaria a Gaza è totale, ed è una crisi voluta dallo Stato sionista ed i suoi alleati, perché funzionale alla pulizia etnica, che continua ad essere il vero obiettivo strategico di Tel Aviv.
Per dare il nostro contributo concreto alla lotta dei Palestinesi di Gaza contro l’annientamento, ci impegniamo in una campagna straordinaria di raccolta fondi, in collaborazione con l’Unione dei Comitati della Sanità di Gaza e l’ospedale Al Awda di Jabalya. Iniziamo ora questa campagna straordinaria per essere in grado di far pervenire i contributi non appena sarà possibile, coordinandoci con i comitati popolari che operano in Egitto, nel Sinai, nelle immediate vicinanze del confine con la Striscia di Gaza.
Abbiamo deciso di raccogliere contributi in denaro perché il materiale sanitario e umanitario di cui c’è bisogno a Gaza è reperibile in Egitto a costi inferiori rispetto a quelli italiani e perché questo consentirà una maggiora puntualità delle scelte, anche in relazione alla somma che riusciremo a raccogliere.
Invitiamo dunque i comitati, le associazioni e chiunque voglia contribuire, anche attraverso l’organizzazione di iniziative specifiche, a far pervenire i contributi sul conto corrente postale n. 47209002, intestato a Monti Germano con la causale S.O.S. Gaza.
Si prega di dare comunicazione del versamento alla casella di posta del forum. In questo modo l’elenco dei contributi pervenuti sarà trasparente e verrà aggiornato in tempo reale sui siti www.forumpalestina.org e www.udap.net.

lunedì 5 gennaio 2009

Ad Eluana

La ballata dell'angelo ferito

Urlate urlate urlate urlate.
Non voglio lacrime. Urlate.
Idolo e vittima di opachi riti
Nutrita a forza in corpo che giace
Io Eluana grido per non darvi pace
Diciassette di coma che m’impietra
Gli anni di stupro mio che non ha fine.
Una marea di sangue repentina
Angelica mi venne e fu menzogna
Resto attaccata alla loro vergogna
Ero troppo felice? Mi ha ghermita
Triste fato una notte e non finita.
Gloria a te Medicina che mi hai rinata
Da naso a stomaco una sonda ficcata
Priva di morte e orfana di vita
Ho bussato alla porta del Gran Prete
Benedetto: Santità fammi morire!
Il papa è immerso in teologica fumata
Mi ha detto da una finestra un Cardinale
Bevi il tuo calice finché sia secco
Ti saluta Sua Santità con tanto affetto
Ho bussato alla porta del Dalai Lama.
Tu il Riverito dai gioghi tibetani
Tu che il male conosci e l’oppressura
Accendimi Nirvana e i tubi oscura
Ma gli occhi abbassa muto il Dalai Lama
Ho bussato alla porta del Tribunale
E il Giudice mi ha detto sei prosciolta
La legge oggi ti libera ma tu domani
Andrai tra di altri giudici le mani.
Iniquità che predichi io gemo senza gola
Bandiera persa qui nel gelo sola
Ho bussato alla porta del Signore
Se tu ci sei e vedi non mi abbandonare
Chiamami in cielo o dove mai ti pare
Soffia questa candela d’innocente
Ma il Signore non dice e non fa niente
Ho bussato alla porta del padre mio
Lui sì risponde! Figlia ti so capire
Dolcissimo io vorrei darti morire
Ma c’è una bieca Italia di congiura
Che mi sentenzia che non è natura
E il mio papà piangeva da fontana
Me tra ganasce di sorte puttana.
Cittadini, di tanta inferta offesa
Venga alla vostra bocca il sale amaro.
Pensate a me Eluana Englaro
Guido Ceronetti

venerdì 2 gennaio 2009

Buon Anno a chi fa il manghel

Ricevo da Roberto Malini del Gurppo "EveryOne"

Desiderio di sicurezza
è l'alibi della persecuzione
in questi giorni di neve e spietatezza
in cui l'uomo è lupo per il Rom
e il gelo uccide come il fuoco.

Buon anno nelle case abbandonate,
dove occhi infantili guardano incantati
attraverso finestre dai vetri a pezzi
lontani spettacoli pirotecnici.

Buon anno a chi si oppone con le nude mani
alle mascelle dell'odio e delle ruspe,
alle nere divise, alle nere armi, alle molotov,
alle notti dei cristalli e dei cartoni.

Buon anno ai genitori che fanno il manghel
tenendo accanto a sé i propri bambini,
per proteggerli

e buon anno a chi ruba
per dare da mangiare agli affamati,
per vestire gli ignudi,
per condurre al sicuro i perseguitati.

Buon anno, infine, a chi cammina
con gli occhi aperti
come finestre sempre illuminate
e vede chiaramente
che siamo tutti uguali.

Alfred Breitman

@ Tutti quelli che (pigri) lo hanno chiesto:

"Nella cultura Rom, l'elemosina non è un delitto, ma ha un valore evangelico e sociale; grazie al “manghel” il popolo, sempre perseguitato per motivi razziali attraverso i secoli, è riuscito a sopravvivere e i bimbi Rom sono orgogliosi di partecipare a questa attività che salvò la vita a tante generazioni di “nomadi”. Condannare un Rom per il “manghel” non è lontano all'idea di condannare un ebreo perché si reca in sinagoga a pregare e chiedere aiuto a Dio.
L'elemosina non fa parte della cultura Rom, perché i Rom, da sempre, cercano di ottenere condizioni di vita identiche agli altri popoli, ma sicuramente fa parte della loro Storia, quale estremo mezzo di sussistenza per generazioni".

Dal sito di "EveryOne"