domenica 27 gennaio 2008

E Dio dov'era?

Il 27 gennaio del 1945 le avanguardie del 62° corpo d’armata sovietico, penetrate in Germania dal fronte ucraino, salvarono dal lager di Auschwitz alcune centinaia di creature che di umano non avevano più nulla.
Molti soldati, che pure erano passati attraverso prove terribili, non ressero a quella vista e svennero, mentre loro commilitoni s’incaricavano di seppellire una montagna di cadaveri.
Innumerevoli altri innocenti vennero uccisi nelle settimane seguenti, prima che in tutta Europa, nelle città e nei paesi ormai in festa, si potesse sentire il suono delle campane che annunciavano la fine della guerra.
Proprio per fare in modo che quella pagina terrificante e vergognosa dell’umanità, non venga mai dimenticata, il 27 gennaio è diventato la “Giornata della memoria”.
Ricordarsi di quelle vittime serve infatti a mantenere la memoria delle loro esistenze e del perché esse vennero stroncate.
Tra coloro che riuscirono a sopravvivere al delirio nazista ci fu Primo Levi che dopo un lungo travaglio ha deciso di non arrendersi alla tentazione di chiudere gli occhi, di non rivedere, non risentire ciò che era stato e che non avrebbe dovuto essere.

Di seguito riporto una parte del testo “Al visitatore” pubblicato per l’inaugurazione del Memorial in onore degli italiani caduti nei campi di sterminio nazisti."

"Noi non siamo stati inconsapevoli.
Alcuni fra noi erano partigiani e combattenti politici: sono stati catturati e deportati negli ultimi mesi di guerra, e sono morti qui, mentre il Terzo Reich vacillava, straziati dal pensiero della liberazione così vicina.
La maggior parte fra noi erano ebrei: ebrei provenienti da tutte le città italiane, ed anche ebrei stranieri, polacchi, ungheresi, jugoslavi, cechi, tedeschi, che nell'Italia fascista, costretta all'antisemitismo dalle leggi razziali di Mussolini, avevano incontrato la benevolenza e la civile ospitalità del popolo italiano.
Erano ricchi e poveri, uomini e donne, sani e malati.
C'erano bambini fra noi, molti, e c'erano vecchi alle soglie della morte, ma tutti siamo stati caricati come merce sui vagoni, e la nostra sorte, la sorte di chi varcava i cancelli di Auschwitz, è stata la stessa per tutti.
Non era mai successo, neppure nei secoli più oscuri, che si sterminassero esseri umani a milioni, come insetti dannosi: che si mandassero a morte i bambini e i moribondi.
Noi, figli di cristiani ed ebrei (ma non amiamo queste distinzioni) di un paese che è stato civile, e che civile è ritornato dopo la notte del fascismo, qui lo testimoniamo.
In questo luogo, dove noi innocenti siamo stati uccisi, si è toccato il fondo della barbarie. Visitatore, osserva le vestigia di questo campo e medita: da qualunque paese tu venga, tu non sei un estraneo.
Fa' che il tuo viaggio non sia stato inutile, che non sia inutile la nostra morte.
Per te e per i tuoi figli, le ceneri di Auschwitz valgano di ammonimento: fà che il frutto orrendo dell'odio, di cui hai visto qui le tracce, non dia nuovo seme, né domani né mai”
Concludo con una frase sempre di Primo Levi:
“Essi (gli altri prigionieri di Auschwitz) popolano la mia memoria della loro presenza senza volto, e se potessi racchiudere in un’immagine tutto il male del nostro tempo, sceglierei quest’immagine, che mi è familiare: un uomo scarno, dalla fronte china e dalle spalle curve, sul cui volto e nei cui occhi non si possa leggere traccia del pensiero”.

giovedì 24 gennaio 2008

D eci e lode


Ancora una volta sono stata tirata in ballo per l'ennesimo meme.
Anche stavolta non me la sento di rifiutare perchè non si può rifiutare l'invito di chi ti fa una pubblica dimostrazione di stima 

(Giovanna, Arabafenice, Chit, Romina, Saretta, Lameduck e Pino).
Ma stavolta non continuo la catena e non faccio nomination, perchè il D eci e lode lo giro a tutti quelli presenti nel mio elenco di link che tutti i giorni o quasi passo a leggere e, se ce la faccio, a commentare.
Se sono lì è perchè li leggo con piacere e, quindi, valgono il mio modestissimo D eci e lode.

Ringrazio anche Fioredicampo che mi ha assegnato un Award.

P.S. Comunicazione di servizio:


Qui è possibili firmare la petizione a favore dei docenti della Sapienza

sabato 19 gennaio 2008

Quell'uomo si chiamava Aldo

Aldo Bianzino, un uomo di 44 anni di Pietralunga (Perugia), era stato arrestato insieme alla sua compagna Roberta il 12 ottobre 2007 con l'accusa di coltivare marijuana per uso personale ed era stato portato nel carcere di Capanne. Aldo è morto due giorni dopo.
In un primo momento l'amministrazione penitenziaria ha dichiarato che la morte era stata causata da infarto. L'autopsia invece ha rilevato un’altra verità: il corpo presentava una frattura alle costole, gravi lesioni al fegato, alla milza e al cervello. Un pestaggio?

Il Fratello di Aldo ha scritto una lettera al Presidente Napolitano pubblicata da alcuni giornali e numerosi siti. Io l’ho letta su “Liberazione (14 dicembre 2007) e anch’io voglio pubblicarla.

"Signor presidente, nonostante la grande stima che ho nei suoi confronti, mi perdonerà se, seguendo l'esempio dei miei genitori, volutamente non uso le lettere maiuscole nel rivolgermi a lei ed alle istituzioni in genere, nel tentativo di riavvicinarvi un po', almeno simbolicamente, alla popolazione italiana.
Leggo sui giornali, con immensa gioia, che è stata finalmente presentata all'Onu la moratoria internazionale sulla pena di morte. Credo che sia una grande battaglia di civiltà portata avanti dal nostro Paese.
La vicenda di cui vorrei informarla, però, è un'altra. Non so se ha sentito parlare di quell'uomo di 44 anni, trovato morto nel carcere di Capanne, nei pressi di Perugia, la mattina del 14 ottobre scorso. Quell'uomo era un falegname che viveva nelle campagne dell'Umbria, nel cuore del nostro Paese, e conduceva una vita fatta di duro lavoro, amore per la propria famiglia ed i suoi tre figli, di preghiera ed amore per la natura. Quell'uomo costruiva mobili, mensole, porte, finestre, soppalchi. Era una delle persone più tranquille del mondo, quell'uomo, ed era circondato da centinaia di persone che gli volevano bene. Era un nonviolento, un "gandhiano", e, come me, avrebbe apprezzato moltissimo l'iniziativa per l'abolizione della pena di morte in tutto il mondo. Quell'uomo la sera del 12 ottobre è stato arrestato perché nel suo orto è stata trovata qualche piantina di canapa indiana per uso personale. La canapa, come è noto, è quella pianta che i nonni dei nostri nonni hanno coltivato e utilizzato per centinaia di anni, fino all'introduzione in Europa del tabacco, pianta che, a differenza della canapa, provoca dipendenza e causa milioni di morti in tutto il mondo.
Va da sé che se in un Paese aumentano le cose considerate illegali, il mondo dell'illegalità trova nuova linfa per alimentarsi e diventare sempre più forte. Ecco probabilmente perché, venendo incontro alla mafia, alla camorra, alla ‘ndrangheta, alle multinazionali del tabacco, nonché alla malavita in genere, la canapa è stata equiparata alle droghe ed inserita tra le sostanze illegali. Fermo restando, comunque, che il problema della droga, quella vera, quella che si trova con gran facilità in tutte le discoteche, o quella di cui fanno uso molti uomini d'onore che siedono sui banchi di Montecitorio e Palazzo Madama, sia un problema molto serio.
Ma torniamo al nostro uomo, un problema ancor più serio. L'arresto è avvenuto al termine di una giornata di perquisizioni, a seguito delle quali, oltre alle piantine, si è scoperto che il falegname aveva soldi in casa per un valore di 30 (trenta) euro, e nessun conto in banca o in posta. E' stato quindi deciso di mettere l'uomo, totalmente incensurato, in una cella di isolamento, e lasciare a casa, per un tempo indeterminato, un ragazzino di 14 anni in compagnia della nonna ultranovantenne in precarie condizioni di salute. C'è chi dice che l'uomo sia stato scambiato per qualcun altro, forse per uno spacciatore, forse per un anarchico o chissà chi. I fatti ci raccontano che dopo l'arresto, sono state effettuate le consuete ed accurate visite mediche e psichiatriche, attestanti che l'uomo era in perfette condizioni psico-fisiche, con pressione arteriosa e battito cardiaco ottimali. La mattina del 14 l'uomo è stato trovato morto. I medici legali, la voce della scienza, ci dicono che dopo la prima autopsia sul corpo dell'uomo sono state riscontrate delle lesioni. Lesioni compatibili con l'omicidio. Compatibili con la tortura. Tortura che, se confermata, è stata certamente compiuta da professionisti, gente addestrata ad uccidere con metodi che non lasciano segni esteriori, ma svariate lesioni interne, riscontrabili solo tramite esami autoptici.
Ovviamente c'è un'indagine in corso, che potrà confermare o meno queste ipotesi. Ed a proposito dell'indagine, essendo lei anche il presidente del Csm, vorrei informarla di alcuni particolari. Si sa che un carcere di "sicurezza" è tenuto ad essere videosorvegliato ed a fornire le immagini di tutto ciò che succede al suo interno, 24 ore su 24. Ma le attese immagini chiarificatrici non hanno ancora chiarito nulla. Si sa anche che quando un magistrato fissa l'incidente probatorio è obbligato a convocare tutte le parti in causa. Ma anche questo non è successo.
Ultima precisazione, poi, che potrebbe apparire alquanto bizzarra: il magistrato che sta conducendo le indagini è la stessa persona che ha ordinato l'arresto dell'uomo. E' ovvio, comunque, che in un Paese civile come il nostro, un Paese che diffonde democrazia, pace e giustizia in tutto il mondo, ci si aspetterebbe che, se ci fosse qualcuno sospettato per aver commesso un simile assassinio, costui fosse quanto meno sospeso dal proprio incarico. Beh, non ci crederà, signor presidente, ma questo non è successo. Un Paese come il nostro, che porta alta la fiaccola dei diritti umani ed urla al resto del mondo di abrogare la pena di morte, consente a propri dipendenti, sospettati di simili atrocità, di continuare ad esercitare la loro "professione" indisturbati, magari nei confronti di altri uomini o donne. Magari proprio in questo momento, mentre le sto scrivendo.
Sabato 10 novembre a Perugia c'è stata una grande manifestazione, piena di giovani e con oltre duemila persone, che chiedevano verità e giustizia per quell'uomo. Chiedevano di poter vivere in un Paese migliore, signor presidente. Ho la speranza, signor presidente, che un giorno qualche nazione, ancora più civile della nostra, vada all'Onu a chiedere che venga fatta piena luce sulle centinaia di morti che avvengono all'interno delle carceri italiane. Questo per sperare di poter vivere in un mondo un po' più giusto, un po' più libero, un po' più vivibile. Così come avrebbe voluto anche quell'uomo. Quell'uomo che si chiamava Aldo. E che era mio fratello. Distinti saluti".
Claudio Bianzino

Per chi fosse interessato: GG ha trovato questo

mercoledì 16 gennaio 2008

L'embargo infinito di Cuba

Il 30 ottobre scorso l'ONU ha chiesto per la sedicesima volta la fine dell'embargo a Cuba. Per altre quindici volte era già accaduto, ma a differenza col passato il 30 ottobre c’è stato praticamente un plebiscito.
La risoluzione che ha chiesto la fine dell'embargo imposto dagli Stati Uniti a Cuba è stata, infatti, adottata con una larghissima maggioranza: ben 184 Paesi hanno votato a favore, appena quattro i contrari e un astenuto.
La risoluzione fa «appello a tutti gli Stati ad astenersi dal promulgare ed applicare leggi e misure (come quelle previste dall'embargo americano), in conformità con i loro obblighi previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale» e prosegue invitando «gli Stati che hanno e continuano ad applicare queste leggi e questi provvedimenti a prendere le misure appropriate per revocarle o invalidarle al più presto possibile».
La settimana prima c’era stata la presa di posizione del presidente americano George W. Bush, che al Congresso aveva confermato l'intenzione di mantenere le sanzioni imposte a Cuba nel 1962.
I voti contrari sono stati quelli degli ambasciatori di Israele, delle isole Palau e delle isole Marshall, oltre ovviamente agli Stati Uniti. Unica astenuta, la Micronesia.

Notizie su Cuba e la sua storia qui

sabato 12 gennaio 2008

Un altro aspetto del precariato

Su "Il Manifesto" del 7 novembre scorso, è stata pubblicata una lettera aperta a Rita Levi Montalcini scritta da un gruppo di ricercatori che hanno evidenziato in questo modo la loro situazione di precari.

Gli stipendi netti medi italiani dei ricercatori al Consiglio Nazionale delle Ricerche negli istituti italiani sono i seguenti:
Borsisti: 830 euro
assegnisti: 1.100 euro
ricercatori: 1.200 euro

Attualmente il personale del CNR è di circa settemila unità; tra loro i precari sono circa 2.500 tra i ricercatori e 150 nel personale amministrativo.

Questo il testo della lettera.

Gentile Professoressa, siamo un gruppo di ricercatori precari, ci rivolgiamo a Lei con il massimo rispetto e ringraziandola, davvero di cuore, per quanto ha fatto e continua a fare per la ricerca italiana. Ci rivolgiamo a Lei perché la sentiamo «dalla nostra parte», dalla parte della ricerca. Abbiamo apprezzato tutte le dichiarazioni dei politici dei governi precedenti e di questo: più soldi alla ricerca, concorsi trasparenti; le abbiamo apprezzate tutte ma non si è mai andati oltre le parole. Professoressa, i ricercatori precari dell'università e degli enti di ricerca, in Italia, sono più di 60.000! Non siamo un «fenomeno marginale»: rappresentiamo il 50 per cento della forza lavoro dell'Università. La situazione, purtroppo, è identica negli enti di ricerca. Facciamo ricerca, insegniamo, seguiamo i tesisti, pubblichiamo, partecipiamo ai congressi, prepariamo le richieste di finanziamenti (nelle quali molto spesso non compariamo). Lavoriamo almeno quanto uno «strutturato» ma... non abbiamo gli stessi diritti... Anzi. I concorsi in Italia sono pochi e, come se non bastasse, molti prendono l'aspetto della farsa: spesso il nome del vincitore si conosce ancor prima che il concorso venga bandito. La meritocrazia in Italia resta una parola vuota se non ambigua che trova molto raramente applicazione. Le carriere accademiche veloci sono quelle dei predestinati e dei figli d'arte. E poi, come tutti sanno «bravi si diventa» con le occasioni giuste, che però non sono aperte a tutti in base al merito... Se poi si è donne, tutto diventa ancora più difficile. Ma, se si guarisce dal cancro, se viene scoperta una nuova molecola, un nuovo gene, un nuovo software, si favorisce una nuova cultura in evoluzione con le altre, si trovano nuovi metodi per insegnare e per imparare lo si deve anche a noi precari che per anni abbiamo lavorato sperando di ottenere un posto che ci avrebbe dato stabilità economica e libertà. Professoressa, chi è precario della ricerca, infatti, non è libero. Deve accettare compromessi di ogni tipo pena il mancato rinnovo del contratto, deve accettare di ritirare i propri titoli da un concorso per favorire l'assunzione di un predestinato, deve accettare di vedere pubblicati i suoi dati senza che il suo nome compaia fra i coautori. Tutto questo per poter sopravvivere al presente senza potersi mai chiedere come sarà il futuro. Noi, infatti, saremo una generazione di pensionati senza pensione. A quel punto, forse, lo stato si preoccuperà di noi. Peraltro di noi si sono dimenticati in tanti, da tanti anni (e governi!). Così, inesorabilmente, quelli che erano «giovani precari» adesso sono diventati i precari di 34-40-45 anni. E magari sono troppo vecchi per entrare come ricercatori. Molti di noi sono precari da 10-15 anni, hanno avuto contratti di ogni tipo, sono stati giudicati ogni anno, ad ogni rinnovo di contratto. Ci chiediamo quali altre prove dobbiamo superare per essere giudicati idonei alla stabilizzazione. Professoressa, le chiediamo che, con il rigore che la contraddistingue, durante la discussione prevista in senato per l'esame della legge finanziaria, ponga la soluzione del precariato nell'università e nella ricerca pubblica come un punto fermo dalla cui soluzione non è possibile prescindere per risanare l'università italiana e per dare slancio e futuro a un paese che, altrimenti, è destinato a diventare una colonia turistica (forse anche accademicamente parlando). La ringraziamo, Professoressa, per quanto vorrà fare e la salutiamo con stima.

Rita Clementi, Leonardo Bargigli, Anna Carola Freschi, Silvia Sabbioni, Luca Toselli e altri 243 «precari» di università ed enti di ricerca di tutta Italia.

sabato 5 gennaio 2008

E Calamandrei raccontò la Costituzione

Il presidente dell’Assemblea costituente Umberto Terracini firma il documento davanti al presidente della Repubblica Enrico de Nicola.





Dato che da pochi giorni è ricorso il 60° anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione, pubblico una parte del discorso che Piero Calamandrei fece in occasione dell’inaugurazione di un ciclo di conferenze organizzato da un gruppo di studenti universitari di Milano nel gennaio del 1955.

Il testo è lungo, ma interessante…

…«L’art. 34 dice: “i capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. E se non hanno mezzi! Allora nella nostra Costituzione c’è un articolo, che è il più importante di tutta la Costituzione, il più impegnativo; non impegnativo per noi che siamo al desinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a voi. Dice così: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. È compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’articolo primo “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza con il proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica. Una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una uguaglianza di diritto è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della Società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la Società. E allora voi capite da questo che la nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinnanzi!

È stato detto giustamente che le Costituzioni sono delle polemiche, che negli articoli delle Costituzioni c’è sempre, anche se dissimulata dalla formulazione fredda delle disposizioni, una polemica. Questa polemica di solito è una polemica contro il passato, contro il passato recente, contro il regime caduto da cui è venuto fuori il nuovo regime. Se voi leggete la parte della Costituzione che si riferisce ai rapporti civili e politici, ai diritti di libertà, voi sentirete continuamente la polemica contro quella che era la situazione prima della Repubblica, quando tutte queste libertà, che oggi sono elencate, riaffermate solennemente, erano sistematicamente disconosciute: quindi polemica nella parte dei diritti dell’uomo e del cittadino, contro il passato. Ma c’è una parte della nostra Costituzione che è una polemica contro il presente, contro la Società presente. Perché quando l’articolo 3 vi dice “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” riconosce, con questo, che questi ostacoli oggi ci sono di fatto e che bisogna rimuoverli.

Dà un giudizio, la Costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo, contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare, attraverso questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la Costituzione ha messo a disposizione dei cittadini italiani.
Ma non è una Costituzione immobile, che abbia fissato, un punto fermo. È una Costituzione che apre le vie verso l’avvenire, non voglio dire rivoluzionaria, perché rivoluzione nel linguaggio comune s’intende qualche cosa che sovverte violentemente; ma è una Costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa Società, in cui può accadere che, anche quando ci sono le libertà giuridiche e politiche, siano rese inutili dalle disuguaglianze economiche e dalla impossibilità, per molti cittadini, di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una fiamma spirituale che, se fosse sviluppata in un regime di perequazione economica, potrebbe anch’essa contribuire al progresso della Società. Quindi polemica contro il presente in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi per trasformare questa situazione presente.

Però vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità; per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, indifferentismo che è, non qui per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghi strati, in larghe categorie di giovani, un po’ una malattia dei giovani. La politica è una brutta cosa. Che me ne importa della politica. E quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina, che qualcheduno di voi conoscerà, di quei due emigranti, due contadini che traversavano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca, con delle onde altissime e il piroscafo oscillava. E allora uno di questi contadini, impaurito, domanda a un marinaio “ma siamo in pericolo?” e questo dice “secondo me, se continua questo mare, tra mezz’ora il bastimento affonda”. Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno, dice: “Beppe, Beppe, Beppe”, … “che c’è!”… “Se continua questo mare, tra mezz’ora, il bastimento affonda” e quello dice ”che me ne importa, non è mica mio!”.

Questo è l’indifferentismo alla politica. È così bello e così comodo. La libertà c’è, si vive in regime di libertà, ci sono altre cose da fare che interessarsi di politica. E lo so anch’io. Il mondo è così bello. È vero! Ci sono tante belle cose da vedere, da godere oltre che ad occuparsi di politica. E la politica non è una piacevole cosa. Però, la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai. E vi auguro, di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno, che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica.

La Costituzione, vedete, è l’affermazione scritta in questi articoli, che dal punto di vista letterario non sono belli, ma l’affermazione solenne della solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune, che se va a fondo, va a fondo per tutti questo bastimento. È la Carta della propria libertà. La Carta per ciascuno di noi della propria dignità d’uomo. Io mi ricordo le prime elezioni, dopo la caduta del fascismo, il 6 giugno del 1946; questo popolo che da venticinque anni non aveva goduto delle libertà civili e politiche, la prima volta che andò a votare, dopo un periodo di orrori, di caos: la guerra civile, le lotte, le guerre, gli incendi, andò a votare. Io ricordo, io ero a Firenze, lo stesso è capitato qui. Queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni. Disciplinata e lieta. Perché avevano la sensazione di aver ritrovato la propria dignità, questo dare il voto, questo portare la propria opinione per contribuire a creare, questa opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del proprio paese, della nostra patria, della nostra terra; disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese. Quindi voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendersi conto, questa è una delle gioie della vita, rendersi conto che ognuno di noi, nel mondo, non è solo! Che siamo in più, che siamo parte di un tutto, tutto nei limiti dell’Italia e nel mondo.

Ora vedete, io ho poco altro da dirvi, in questa Costituzione di cui sentirete fare il commento nelle prossime conferenze, c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie: son tutti sfociati qui negli articoli. E a sapere intendere dietro questi articoli, ci si sentono delle voci lontane. Quando io leggo nell’articolo 2: “L’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, politica, economica e sociale” o quando leggo nell’articolo 11 “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli”, “la patria italiana in mezzo alle altre patrie” ma questo è Mazzini! Questa è la voce di Mazzini. O quando io leggo nell’articolo 8: “Tutte le confessioni religiose, sono ugualmente libere davanti alla legge” ma questo è Cavour! O quando io leggo nell’articolo 5 “La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali” ma questo è Cattaneo! O quando nell’articolo 52 io leggo, a proposito delle forze armate “L’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”, l’esercito di popolo, e questo è Garibaldi! O quando leggo all’art. 27 “Non è ammessa la pena di morte” ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria! Grandi voci lontane, grandi nomi lontani.

Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro ogni articolo di questa Costituzione o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta. Quindi questa non è una Carta morta. Questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione».

mercoledì 2 gennaio 2008

Thinking Blogger Awards




In genere non partecipo mai a meme e catene, ma visto che stavolta sono stata nominata sia da S.b. sia da Tisbe (e adesso anche da Gianfranco, da Mimmo e da Oby) non posso esimermi dal continuare il gioco segnalando a mia volta bloggers, che leggendosi e “piacendosi” si tengono a mente e creano il “percorso”, la “storia” della propria esistenza in internet.
Nel ringraziare chi mi ha nominato per la fiducia accordatami, segnalo a mia volta cinque nomi (ma ce ne sarebbero molti altri) in rigoroso ordine alfabetico:

Duccio - Finazio - Gianfranco - Ivan - Romina

Chi lo vorrà potrà continuare il gioco.
Queste le regole per partecipare:

1. Partecipare se si è stati nominati.
2. Lasciare un link al post originario inglese
3. Quindi inserire nel post il logo del Thinking blog award
4. Indicare cinque blog che hanno la "capacità di farti pensare"