venerdì 27 marzo 2009

Operazione "Piombo fuso": alcuni dati

Il milione e mezzo di tonnellate di esplosivo, cinque bombe di Hiroshima, scagliate, dopo decenni di ammazzamenti e angherie e tre mesi di embargo strangolatore (285 assassinati, 800 feriti), da quel Mazinga feroce e imbelle su un milione e mezzo di brave persone civili raggrumate nel formicaio dei 360 km quadrati, oltre ai 1.455 morti, con altri che continuano a cedere alle loro ferite e intossicazioni, e ai 5.500 feriti, perlopiù irrimediabili, hanno guadagnato a Israele il seguente bottino:
  • 600mila tonnellate di detriti da 14mila case, per centomila sfollati ridotti in tende, tuguri, caverne sotto i lastroni delle macerie e da 68 strutture di governo e amministrazione, 48 centri sanitari, 179 scuole pubbliche e 153 moschee tra distrutte e danneggiate
  • 11 milioni e centomila metri quadrati di terre coltivate
  • 141mila ulivi, 137mila alberi di agrumi, 10mila palme
  • animali da allevamento per 20 milioni di dollari
  • 115 ettari di serre
  • 75 km di strade agricole cancellate
  • 48 km di acquedotti
  • 415 pozzi e stagni di raccolta sfondati
  • il 93% delle strutture commerciali e industriali, per un danno complessivo di due miliardi e 734 milioni di dollari, e una perdita del 48% di un PIL espresso dall’80% di disoccupati e dal 70% di indigenti da embargo sotto il livello di povertà

La sedicente “comunità internazionale”, che compatta aveva sostenuto l’ignominia dell’ “autodifesa” al fosforo e all’uranio di Israele, riunita a Sharm El Sheik a marzo, ha stanziato circa 4 miliardi di dollari per ricostruire quanto l’assalitore aveva demolito.
C’era da far guadagnare le proprie ditte e far guadagnare un Abu Mazen rimesso in sella.
Ma a Gaza non si ricostruisce un bel nulla, mentre ruba dai fiumi e dalle cave di Cisgordania, per la superfetazione delle sue colonie illegali, il materiale edile che non possiede, Israele mantiene su cemento, mattoni, ferro e tutto il resto il blocco più assoluto.
Se non sono scappati dalle bombe, se ne andranno pure per non vivere in eterno sotto cartoni e nelle tende. O, quanto meno, vi si estingueranno.
Dimenticano, i pulitori etnici sionisti, che quel popolo nelle tende ha vissuto e resistito, chiavi di casa in mano, per decenni.
Gaza abbisogna di 20mila tonnellate di pesce che si ottengono da un’ottantina di uscite al mese. Nel 2008, col blocco appena attenuato, le uscite, a rischio di fucilazione, si erano ridotte a dieci e il pescato a 3.000 tonnellate.
In compenso le acque territoriali di Gaza vengono invase e saccheggiate da pescherecci israeliani ed egiziani.
Si calcola in 10 milioni di dollari il danno inflitto dall’aggressione al’industria della pesca. Mettiamoci un 20% dei terreni agricoli distrutto, il 18% degli orti e delle serre, è arriviamo a una carenza di alimenti del 30% e passa. La morte per fame ha cominciato a mordere.
I cananiti, primi abitanti di Gaza e antenati dei palestinesi, hanno dato a questa terra di congiunzione tra Africa e Asia, fucina e ponte di culture nei millenni, un nome che significa “forza”.
I persiani la chiamavano Hazatote, che vuol dire “tesoro”.
Il simbolo di Gaza è la fenice che risorge dalle sue ceneri.
A Gaza abbiamo capito perché.

Di Fulvio Grimaldi

(Fonte: http://guerrillaradio.iobloggo.com/)

Segnalo questa iniziativa del blog Internazionale:

Dopo le prove dei crimini di guerra commessi da Israele nei 23 giorni di operazione militare “Piombo fuso” risultate dalle indagini di Amnesty International, Human Rights Watch e Physicians for Human Rights, dopo le testimonianze dei soldati israeliani riportate sul giornale israeliano Ha’aretz, dopo il documentario girato dal quotidiano britannico The Guardian, ho deciso di creare una petizione seguendo la richiesta avanzata dal Guardian di aprire un'indagine internazionale. Di seguito i 5 motivi riportati dal quotidiano in un editoriale:
  1. La possibilità che il conflitto riprenda in ogni momento, in particolare con un Primo Ministro come Netanyahu;
  2. I crimini commessi non risultano essere incidenti isolati ma vere e proprie modifiche apportate alle regole d’ingaggio delle forze armate israeliane;
  3. Creare una pressione sul governo israeliano da parte dell’opinione pubblica internazionale;
  4. Evitare che Israele rimanga impunito per evitare conseguenze analoghe in altri conflitti internazionali;
  5. Evitare che l’inazione porti ad una terza intifada.
Cliccate qui per firmare:
Per un'indagine internazionale sui crimini israeliani a Gaza
Spero vogliate aiutarmi a diffondere questa singolare quanto simbolicamente necessaria iniziativa.

giovedì 19 marzo 2009

L'Italia da bere

Ecco l'Italia-Da-Bere del signor B.

di Gemma Contin su Liberazione del 10/03/2009

C'era una volta la Milano-Da-Bere. Era la Milano (e l'Italia) di Bettino Craxi, Carlo Tognoli e Paolo Pillitteri; presidente del Consiglio il primo, gli altri due sindaci a turno della capitale lombarda. Com'è andata la storia si sa. Non con la balla del "vissero tutti felici e contenti" dopo che il principe azzurro aveva svegliato la bella addormentata.
Invece, da una parte sfociata in Tangentopoli, con tutta la sua caterva di corruzioni concussioni tangenti e mazzette: dal Pio Albergo Trivulzio alla Metropolitana milanese, dalla "provvista" Enimont a quella Bonifaci, che provocò la dissoluzione dell'intera classe dominante e la fine della stagione politica cosiddetta "prima repubblica".
Dall'altra finita nella Milano2 del signor B. ai tempi del suo esordio come gran palazzinaro, anche per i meriti del suo fedelissimo supporter Marcello Dell'Utri e i buoni uffici dell'avvocato Cesare Previti, autore tra l'altro del passaggio di proprietà per quattro baiocchi di Villa San Martino e della tenuta di Arcore dalle mani virginali della marchesina minorenne Annamaria Casati Stampa, di cui Previti era all'epoca pro-tutore, a quelle dell'allora sconosciuto ai più (siamo nel 1974) imprenditore edile Silvio Berlusconi.
Oggi che l'abitante di Arcore è diventato anche l'inquilino di Palazzo Chigi (e di Palazzo Grazioli, sua residenza romana, e di Villa Certosa e dintorni in Sardegna, tanto per dire le più note), l'idea della Milano-Da-Bere si è ingrandita, allargata, sta tracimando per la Penisola, si sta trasformando, come in un irrefrenabile moto onnivoro, nell'Italia-Da-Bere. E da mangiare.
Un po' con la favola delle Grandi Opere, un po' con la deregulation edilizia che finirà di sventrare il Belpaese - facendolo diventare davvero brutto, paesaggisticamente parlando, come tante Agrigento messe una sull'altra, con contorno strappacuori di templi e giacimenti artistici - andando a rimpinguare le tasche di tutta l'accolita di palazzinari vecchi e nuovi sparsi tra Milano e Roma fino a Capo Passero e Punta Ala o Isola Capo Rizzuto and so on.
Ci sono in questa storia diversi paradossi. Uno è che "la linea della palma" di cui parlava ormai tanti tanti anni fa Leonardo Sciascia, intendendo la sotterranea tendenza ad espandersi della mafiosità, anzichè da Sud a Nord sta strisciando velocemente da Nord a Sud, macinando nella sua fame insaziabile tutto ciò che i buoni auspici del premier gli consentirà di arraffare e fagocitare, in assenza di regole, controlli, norme da osservare, vincoli da rispettare. In una vorace "appropriazione privata" di ciò che è o dovrebbe essere "bene pubblico". Trovando nella sua marcia, in assenza di uno Stato "vigile", zero ostacoli e molti buoni imprenditori pronti a prendere al volo quest'ultima corsa.
E' il caso della Finco, Federazione industrie prodotto e servizi per le costruzioni aderente a Confindustria, che ieri in un comunicato ha scritto: «Siamo soddisfatti. Finalmente vediamo prendere forma il Piano Casa, un accordo indispensabile per l'economia del Paese. Da molti anni sosteniamo la necessità di implementare il progetto di "rottamazione urbana" - Abbattere per Ricostruire - un piano strategico di riqualificazione del patrimonio immobiliare italiano».
Ecco il trucco. Di sicuro "abbattere per ricostruire" non è quello che possono fare le decine di migliaia di famiglie di sfrattati e meno abbienti in attesa di una casa popolare, di un programma di edilizia pubblica. A quelli basterebbe il recupero-riqualificazione-riuso di tante caserme in disuso, di tanti immobili fatiscenti nei vecchi e degradati quartieri urbani, di tanti edifici sfitti e abbandonati.
Ma questo no, non è l'obiettivo dei grandi costruttori. L'obiettivo dei grandi costruttori e "abbattere e ricostruire". O continuare a costruire sottraendo aree sempre più grandi per ricoprirle di cemento e poi vendere gli appartamenti "a prezzi di mercato".
Diciamolo: questo è l'obiettivo del Piano Casa del signor B. Ed è condiviso dai palazzinari come lui. Ma di sicuro, lo capisce anche un bambino di tre anni, non risolve il bisogno di case per chi non se le può permettere.
Il secondo paradosso, che cuba quasi 18 miliardi di euro, è quello non tanto delle Grandi Opere quanto delle Grandi Promesse. Perché quelli di noi che c'erano anche nel 2001, si ricordano benissimo che di grandi e grandissimi lavori pubblici si parlò, e tanto, e si finanziò, e tanto, sulla carta, anche ai tempi di quel tal ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi che ebbe a sua disposizione ben cinque anni di governo ininterrotto - un vero record - senza che uno straccio di opera sia diventata cantierabile, senza che i soldi siano arrivati neppure ai cantieri già aperti, tanto che la Salerno-Reggio Calabria è sempre lì, sempre più franosa, pericolosa, impraticabile, senza che un solo metro lineare abbia subito il benché minimo stato di avanzamento.
Non ci credete? E allora andate, andate a farvi un bel viaggio verso le terre di Calabria e di Basilicata, perché, molto prima di arrivare a Scilla e Cariddi, diceva con comune buon senso una nota urbanista siciliana, «quando anche dovesse esserci il Ponte, prescindendo da ogni altra considerazione sull'impatto ambientale o sugli interessi mafiosi che si metteranno in movimento, potremmo solo dire che la Sicilia sarà diventata, per il resto d'Italia e d'Europa, niente di più di quello che è già la Calabria».
Poi c'è il terzo paradosso. Quello degli interessi che si metteranno (che si sono già messi) in moto. Appunto. E questa volta non citeremo la nostra amica architetta ma "soltanto" la relazione annuale della Direzione nazionale antimafia che, ben tre mesi fa, nel dicembre del 2008, non in un capitolo circoscritto, ma innervando l'intero rapporto, fatto a più mani da tutti i capi delle Procure antimafia d'Italia, non fa altro che ribadire e avvertire che uno dei principali "affari" a cui puntano le organizzazioni mafiose è proprio quello degli appalti pubblici.
Non solo per ottenerne le tangenti, calcolate al 3% del totale, non solo per incanalare e riciclare ingenti flussi finanziari criminali, ma anche per estendere il controllo sul territorio e sulla pubblica amministrazione, accaparrarsi lavori in modo fraudolento, e le forniture di cemento, e l'attività delle cave, e i lavori di sbancamento, e l'affitto delle macchine di movimento terra.
E vogliamo, per finire, parlare della tratta di lavoratori in nero? Meglio se extracomunitari "fantasma", magari di quelli che sbarcano a Lampedusa? Perché anche qui c'è un bel business: uno che non ha il permesso di soggiorno se da un lato è fragile, ricattabile, sfruttabile fino alla schiavitù, dall'altro può essere sottopagato, si possono evadere gli oneri contributivi, i diritti, la sicurezza.
E questa è l'Italia-Da-Bere che ci sta apparecchiando il signor B.

domenica 15 marzo 2009

Sicurezza: emergenza o voglia d'ordine?

I penalisti contro il governo: “Intollerabile svolta autoritaria”

Documento diffuso dalla Giunta dell'Unione Camere Penali contro le misure del Governo in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale.

SICUREZZA: EMERGENZA O VOGLIA “D’ORDINE”?

I dati ufficiali diffusi dal Ministero dell’Interno danno conto di una costante e progressiva diminuzione del fenomeno criminale sin dal secondo semestre dell’anno 2007.
Nell’anno 2008 gli omicidi volontari sono al minimo storico, i furti sono diminuiti del 39,72% rispetto all’anno precedente, le rapine del 28,8%, l’usura del 10,4%, la ricettazione del 31,6%, il riciclaggio del 5,8%, le minacce del 22,1%; diminuiti anche estorsioni e danneggiamenti.
Sempre gli stessi dati ci dicono che anche i reati di violenza sessuale sono diminuiti: -8,4%. Non solo, la maggior parte degli “stupri” si consuma entro le mura domestiche: i dati relativi al 2007 ci dicono che il 69,7% è opera di partner, il 17,4% di un conoscente e solo il 6,2% è opera di estranei.
La sicurezza delle persone è dunque oggi maggiormente assicurata rispetto al passato e se un bisogno di sicurezza emerge esso sta nell’assicurare la tutela delle donne dalle offese delle persone a loro più vicine.
Eppure
  • dalla primavera scorsa l’“emergenza sicurezza” occupa pressoché interamente l’agenda del parlamento ed in nome della sicurezza si sono varate, spesso con il beneplacito dell’opposizione, norme, quali l’“aggravante di clandestinità”, di intollerabile eccezionalità rispetto al sistema dei valori costituzionali;
  • dalle pagine della stampa uomini politici di più parti, cogliendo a pretesto dolorosi fatti di cronaca, si lanciano in scriteriati attacchi all’indipendenza dei giudici, invocano di sostituirsi ad essi per comminare solo carcere per legge agli indagati, e per legittimare le proprie istanze confondono le carte e deliberatamente promuovono per “certezza” della pena ciò che altro non è che “certezza della anticipazione di una pena” ancora tutta da decidere, sacrificando il valore costituzionale della presunzione di non colpevolezza;
  • in nome della sicurezza il governo approva un decreto che rischia di agevolare l’istinto dei cittadini a dar sfogo ad insane voglie di ritorsioni, sminuendo l’operato delle forze dell’ordine, impone la totale privazione della libertà personale degli indagati per pericolosità presunta senza che nessun giudice l’abbia realmente accertata, invoca l’eliminazione delle misure alternative al carcere laddove è noto che esse “disincentivano” la recidiva in misura di gran lunga superiore alla detenzione;
  • in nome della sicurezza, il governo chiede oggi ai medici di violare il “giuramento di Ippocrate”; sollecita le vittime di reato a divenire delatori pena la perdita di legittime facoltà; impone ai detenuti il sacrificio di diritti umani elementari; introduce una sorta di schedatura in ragione della “diversità” di chi, per scelta o per necessità, non ha stabile dimora; utilizza norme di dubbia legittimità costituzionale, quali i delitti di apologia e di istigazione, come pericoloso strumento di limitazione del diritto di libera associazione e di libera manifestazione del pensiero.
Se i dati del Ministero dell’interno non dicono il falso, le pretese misure sulla sicurezza dei cittadini, talune delle quali avallate dalla stessa opposizione (che in passato ha “cavalcato” secondo modalità analoghe l’esigenza sicurezza), costituiscono un inganno ai danni dei cittadini medesimi e, lungi dal garantire più sicurezza celano, soltanto una forte voglia di “ordine pubblico” a tutti i costi.

A fronte di una simile impennata autoritaria, cui fa da emblema la proposta reintroduzione del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, la Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane
  • sottolinea come sia compito dello Stato farsi carico della sicurezza dei cittadini, ma come sia per converso contrario all’etica della politica strumentalizzare lo strepitus suscitato da pur odiosi fatti di cronaca per ragioni di sola propaganda,
  • ricorda che lo Stato forte non è quello che viene meno al rispetto dei valori costituzionali del processo penale, ma è tout court lo stato di diritto, che applica severamente le regole esistenti e che garantisce la certezza della pena non con una condanna preventiva ed aprioristica, ma con un percorso processuale di ragionevole durata senza alcun sacrificio delle regole di accertamento dei fatti. Processi di piazza e processi esemplari (concetti che per molti versi coincidono) sono fenomeni che rischiano di sfuggire di mano, e di politici apprendisti stregoni la storia fornisce fulgidi esempi,
  • esprime tutto lo sconcerto e lo sdegno dei penalisti italiani per le norme regressive ed illiberali adottate dal Governo e per quelle attualmente in discussione in Parlamento,
  • ribadisce ancora una volta la propria assoluta indisponibilità a consentire la continua lesione dei diritti costituzionali dell’individuo, la sistematica opera di devastazione del sistema penale e la crescente compromissione delle garanzie nel processo ad opera di interventi legislativi estemporanei ed emotivi, dettati dal clamore assunto da isolati, seppure gravi, fatti di cronaca e privi di qualsivoglia utilità e di garanzia in termini di “certezza della pena”,
  • fa appello al Presidente della Repubblica, al Governo, ai Presidenti di Camera e Senato, a tutte le forze politiche di maggioranza e di opposizione ed alla pubblica opinione affinché si ripensi interamente l’opportunità di adottare provvedimenti ingiustificati ed inefficaci, ma per converso “eversivi” del sistema dei valori costituzionali, destinati a determinare una profonda regressione del livello di civiltà e un’intollerabile svolta autoritaria del nostro ordinamento.
La Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane
Il Presidente - Il Segretario
Prof. Avv. Oreste Dominioni - Avv. Lodovica Giorgi

mercoledì 11 marzo 2009

Fosforo bianco

A Gaza le vittime di ustioni presentano possibili sintomi
di esposizione al fosforo bianco

di Amira Hass su Osservatorio Iraq del 10/02/2009

Gaza - Diversi medici palestinesi che operano negli ospedali di Gaza hanno informato gli esperti medici stranieri presenti sul territorio che durante le scorse due settimane hanno assistito ad un peggioramento inaspettato nelle condizioni dei loro pazienti che riportano ferite da ustione.
Molti descrivono lo stesso scenario: due settimane dopo aver riportato le ferite, le condizioni dei pazienti hanno iniziato a peggiorare richiedendo il loro spostamento all’estero per sottoporli a un trapianto di pelle. In altri casi, i pazienti hanno riportato gravi danni ai tessuti organici. Alcuni dei feriti sono morti tra i sette e i dieci giorni dopo essere stati ricoverati, nonostante le loro ferite non sembravano metterli in pericolo di vita. Solo in seguito al decesso i medici hanno scoperto che sia il fegato che i reni erano stati colpiti. A quel punto però era ormai troppo tardi per salvare molti dei feriti.
Il numero preciso dei pazienti che hanno riportato ferite da ustione e poi sono deceduti non è ancora chiaro. I medici precisano che fino a quanto non si concluderanno i test di laboratorio necessari, sarà impossibile determinare se le ustioni sono state causate dalle bombe al fosforo bianco lanciate dall’Idf durante le operazioni di terra nella striscia di Gaza.
Inoltre i medici non sono ancora in grado di determinare con certezza se il peggioramento nelle condizioni dei pazienti e lo spargersi dell’infezione possano derivare direttamente dal loro essere stati colpiti dai colpi di mortaio al fosforo. Tuttavia i ricercatori di Amnesty International e Human Rights Watch, che da tre settimane si trovano a Gaza, hanno concluso con certezza che le bombe al fosforo bianco hanno colpito quartieri residenziali nella striscia.
Il trattamento iniziale delle ustioni, prima che i dottori a Gaza si rendessero conto che erano causate dal fosforo bianco, viene ora considerato inutile.“Prima d’ora non abbiamo mai visto ustioni provocate dal fosforo”, dice un chirurgo straniero al giornale Ha’aretz. “Nella letteratura [medica] ciò che si conosce al riguardo di queste ustioni deriva da ciò che è stato fatto durante esperimenti all’interno di laboratori, oppure nelle basi militari forse risultando da incidenti” dichiara. Tuttavia tre documenti israeliani che ha ricevuto Ha’artez, tutti scritti durante l’operazione “Piombo Fuso”, descrivono il tipo di ustioni causate dal fosforo bianco, e questi sono simili alle descrizioni provenienti dallo staff medico presente nella striscia di Gaza. I documenti sono stati compilati dall’ufficio del capo ufficiale medico dell’Idf, il Medical Field Operations HQ e Mageb David Adom. Uno dei documenti, che porta la firma del dottor Zvi Feinberg, capo del dipartimento di medicina al Megan David Adom, e Rami Miller, un paramedico di alto grado, descrive come “il fosforo bianco contenuto in una bomba o un missile prenda fuoco quando entra in contatto con l’ossigeno… il fosforo che entra in contatto con la pelle causa ustioni gravi e profonde”.
Un altro dei documenti, firmato dal dottor Gil Hirschorn, che è anche un colonnello nell’esercito e capo del dipartimento di traumi nell’ufficio del capo ufficiale medico dell’Idf, dichiara: “Durante l’operazione Piombo Fuso abbiamo ricevuto informazioni che Hamas fa uso di armi che contengono fosforo. Il fosforo è una sostanza velenosa, bianco-giallastra, simile alla cera, che è usata nei colpi di mortaio e granate a mano”.“Quando il fosforo entra in contatto con tessuti viventi causa danni corrosivi. Caratteristiche delle ferite causate dal fosforo sono: ustioni chimiche accompagnate da dolori estremi, danni ai tessuti… il fosforo può filtrare all’interno del corpo e causare danni agli organi interni. A lungo andare, il collasso renale e lo spargersi dell’infezione sono comuni… In conclusione: una ferita causata da oggetti contenenti fosforo esplosivo è intrinsecamente pericolosa e ha la probabilità di causare gravi danni ai tessuti”.
Un documento intitolato “Esposizione al Fosforo Bianco”, preparato dal Quartier Generale delle Operazioni mediche da campo e inviato dal ministero della Sanità fa notare che “la maggior parte dei dati riguardanti le ferite causate dal fosforo derivano da incidenti e dagli esperimenti condotti su animali in laboratorio. Secondo numerosi esperimenti, l’esposizione al fosforo bianco è altamente velenoso. Anche ustioni che coprono un’area limitata del corpo, 12-15 per cento negli animali da laboratorio e meno di 10 per cento negli esseri umani, può essere letale a causa dei suoi effetti per lo più sul fegato, cuore e reni”.
Ha’aretz ha visitato alcune case nella striscia di Gaza che dimostrano chiari segni di esposizione al fosforo. Almeno uno dei bambini rimasti feriti in attacchi simili richiederà un trapianto di pelle all’estero. In un altro caso, quattro bambini e il loro padre sono rimasti uccisi durante un bombardamento a base di fosforo bianco”.

*Ha'aretz, 5 febbraio 2009
Traduzione di Andrea Dessi per Osservatorio Iraq

giovedì 5 marzo 2009

Oggi sento la necessità di un partito organizzato

Oggi sento la necessità di un partito organizzato e di farne parte

Di Haidi Gaggio Giuliani, su Liberazione del 22/02/2009

Scorro in internet la rassegna stampa: la Palestina non si trova più nelle prime pagine dei grandi giornali, tra le notizie importanti. Nessuna sorpresa: altre popolazioni martoriate non ci sono addirittura mai arrivate. Quasi per caso nella vecchia posta ritrovo alcune foto scattate a Tulkarem, tre anni fa, quando sono andata ad assistere alle elezioni con ragazzi e ragazze dei Giovani Comunisti; siamo in gruppo e sorridenti, qualcuno tiene il braccio sollevato, la mano stretta a pugno: un gesto identitario? Sono successe molte cose in questi tre anni; i social forum, che erano la nostra speranza, nati dallo spirito di Genova 2001, si sono per lo più disciolti come neve al sole; alcuni di quei ragazzi sono andati "oltre", dove non mi è chiaro e, quel che è peggio, temo non sia chiaro neppure a loro stessi. Siamo di fronte a una gravissima crisi economica frutto di venti anni di politiche liberiste che hanno precarizzato il lavoro, tagliato i salari e accresciuta la ricchezza di ladri ed evasori. Le fabbriche chiudono; i lavoratori continuano a morire. Non c'è sicurezza per loro. Rischia di scomparire il Contratto nazionale di lavoro, scompaiono cioè le garanzie collettive sui salari e sui diritti, conquistate in tanti anni di lotte. In cambio ricompaiono i manganelli contro gli operai, a Pomigliano, contro i lavoratori dell'Innse a Milano. Non c'è sicurezza per chi difende il proprio territorio, la vita dei propri figli: linea dura delle forze dell'ordine contro i No dal Molin a Vicenza, città d'arte con coprifuoco militare. Come in Valsusa, si pretende di gestire con la forza la pacifica contestazione degli abitanti. Ma la "grande informazione" non ne parla. Non c'è sicurezza neanche per le donne nelle vie delle nostre città e, soprattutto tra le pareti domestiche, perché non saranno certamente leggi più repressive, a difenderle, bensì una cultura più diffusa, una maggiore attenzione ai problemi delle persone, maggiore partecipazione alla vita nelle città. «Ser culto es el único modo de ser libre» , ricordava José Martí nell'ottocento, ma qui la cultura viene umiliata ogni giorno, la scuola pubblica impoverita: è meglio non allevare giovani cittadini capaci di pensare con la propria testa perché potrebbero un giorno diventare uomini e donne davvero liberi. Non c'è più neppure la speranza di poter morire in pace. In cambio ritornano le leggi razziali. Assistiamo quotidianamente a colpi di mano contro la giustizia e la civiltà: medici trasformati in spioni contro gli ammalati più poveri, tanto poveri da non possedere nemmeno un documento; legalizzate le ronde; proibito indagare negli affari di lorsignori. Vengono votate in Parlamento leggi ordinarie che svuotano di significato la Carta costituzionale. In questo panorama l'opposizione a volte cinguetta con la maggioranza, a volte balbetta; quello che un tempo era il blocco sociale della sinistra si va sbriciolando.
E allora io ho sentito, sento la necessità di un partito organizzato, e di farne parte. Un partito con le idee chiare. Che conosca le proprie radici e sappia anche riconoscere i propri errori; determinato a stare sempre dalla parte delle persone più deboli, sfruttate, derubate dei propri diritti, violentate nel corpo e nella vita. Voglio stare in un'organizzazione capace di discutere con forza al proprio interno e poi dichiarare apertamente quello che pensa e lavorare per raggiungere gli obiettivi individuati; capace di intervenire dove si apre un conflitto; e che quando decide di stare al fianco di grandi movimenti spontanei, come di piccole realtà, poi non li abbandona; capace altresì di denunciare le contraddizioni e di dare vita a nuovi conflitti. Voglio un partito determinato a risvegliare coscienze, disposto sempre a confrontarsi e a collaborare con altre organizzazioni, tutte le volte che è possibile; senza preconcetti ma senza nessun cedimento: un partito con le idee chiare, appunto. E voglio che il mio partito si faccia maestro e sappia fare scuola: deve sapere prima di tutto ascoltare i ragazzi e le ragazze, senza promettere facili carriere politiche ma insegnando con rigore sia la teoria come la pratica quotidiana. Perché è vero che moltissimi giovani sono nauseati dalla politica e pensano che non valga la pena di agire in una società come la nostra ma noi dobbiamo riuscire a dimostrare, come dicono le Madri argentine, che l'unica battaglia persa è quella che si abbandona. Ci riusciremo se sapremo essere onesti; se sapremo mettere da parte personalismi, leaderismi… Non si risale una montagna, non si conquista una cima da soli: si vince tutte e tutti insieme; ognuno con il proprio zaino, con il proprio carico di ricchezze e di errori, ma insieme.
Ecco, così penso alla mia Rifondazione. Ma se voglio davvero che sia sempre più così, e sempre più grande, ci devo stare dentro. E lavorare.