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Nel 1999 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite scelse di dedicare la data del 25 novembre alla Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, invitando governi, organizzazioni internazionali, ONG ed enti a organizzare attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema della violenza di genere, fenomeno endemico e gravissimo.La baronessa Catherine Ashton, alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione europea, ha recentemente definito la violenza sulle donne come “la più diffusa violazione dei diritti umani del nostro tempo”.ll fenomeno della violenza di genere non colpisce più un determinato target di persone, cioè le donne accomunate da una estrema vulnerabilità sia economica che psicologica, come le immigrate, le rifugiate, le disabili, le prostitute, le vittime della tratta, ecc. ma è un’emergenza che coinvolge tutte: mogli, madri, compagne, amanti e figlie.In Italia, quasi ogni due giorni, secondo i dati dell’AMI e di Telefono Rosa, una donna viene uccisa, nell’80% dei casi dal convivente, dall’ex partner o da una persona della famiglia.Anche l’Onu conferma che l’80% dei casi di violenze contro le donne si consuma tra le mura domestiche per mano di ex partner, mariti, compagni, padri, fratelli o persone conosciute.“Se non sei mia non sarai di nessun altro” è il mantra che sta alla base del concetto di amore = possesso di troppi rapporti sentimentali.Questo concetto è stato egregiamente espresso Dacia Maraini quando ha scritto che “L’amore-possesso, quando è posto in discussione dal pensiero autonomo dell’amata, mette in crisi l’identità stessa dell’amante che, per paura, si trasforma in mostro. Mi rimane la domanda: perché la coscienza sociale, le nostre coscienze, non sono turbate quanto dovrebbero?”Evidentemente c’è un’insufficienza culturale, etica e morale da colmare.Se si considera che oltre il 90% delle violenze non viene denunciato, ci si rende conto di quanto la lotta alla violenza contro le donne sia innanzitutto una sfida culturale, da affrontare fin dall’età della formazione.Per questo la scuola deve diventare il luogo dove si affrontino temi come l'uguaglianza di genere, per avviare un radicale cambiamento culturale nella nostra società e per estirpare i pregiudizi fondati sulla cosiddetta inferiorità delle donne o sui ruoli stereotipati attribuiti a donne e uomini.Ben vengano iniziative, manifestazioni, conferenze e dibattiti, ma la vera sfida è questa: costruire oggi gli uomini di domani.
Una delle più importanti sfide che deve raccogliere chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica è quella di ricucire lo strappo esistente tra i cittadini ed i loro amministratori, riconquistare la fiducia degli elettori, non attraverso l’inevitabile propaganda all’atto delle elezioni, ma attraverso un rinnovato rapporto basato con continuità sulla trasparenza, la vicinanza alle reali esigenze della città e la condivisione diretta delle scelte.lo strumento più adatto per agevolare la ricostruzione di un rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni va ricercato nel coinvolgimento di questi con la costruzione di percorsi partecipativi che accompagnino le scelte di governo. Nella creazione, cioè, di una conoscenza e consapevolezza diffusa attraverso politiche che agevolino e promuovano la partecipazione attorno alle scelte di governo più impattanti sulla vita dei cittadini.Siamo convinti che la partecipazione dei cittadini migliori le politiche pubbliche e ne potenzi positivamente l'impatto con la vita della comunità. Pertanto, riteniamo necessario porre in essere processi partecipativi che coinvolgano i singoli cittadini, le imprese, il terzo settore per ogni decisione di rilievo che li riguardi, con particolare riferimento al campo ambientale, economico, urbanistico, sociale, sanitario, dei servizi pubblici.Il nuovo Statuto dell’Unione che stasera siamo chiamati ad approvare contiene una carenza macroscopica: la mancanza del referendum, quel particolare strumento democratico grazie al quale gli elettori sono invitati a dare il loro parere su determinati temi di rilievo.Nella Commissione consiliare abbiamo proposto un emendamento che sanasse questa carenza: ci è stato risposto che non è possibile perché in questo modo si lederebbe l’autonomia dei singoli Comuni.Questo atteggiamento, secondo noi, è emblematico di come viene vissuta l’Unione, cioè come semplice sommatoria degli interessi dei singoli Comuni che la compongono. A nostro avviso è una visione perdente: in questo modo anche la nuova Unione è già morta in partenza.In ogni caso, abbiamo fatto una ricerca. La quasi totalità degli Statuti delle Unioni prevede espressamente il referendum tra gli istituti di partecipazione; possiamo presentarli anche stasera. Possibile che solo per noi questo sia impossibile?Pertanto, proponiamo nuovamente al Consiglio l’emendamento presentato in Commissione, e precisamente di aggiungere al termine del comma 2 dell’art. 39 il seguente periodo:“nonché referendum per conoscere, tramite l’espressione di un voto, la volontà dei cittadini nei confronti degli indirizzi politico-amministrativi dell’Unione stessa”.
Pier Paolo PASOLINI