martedì 23 agosto 2016

Sopravvivere

Sopravvivere: questo è quello che si cerca di fare quando muore una figlia.
Anzi, il primo desiderio è morire con lei perché il dolore è talmente forte, talmente grande, talmente assurdo da sentirsi persi, svuotati, annientati.

Il pozzo nel quale si precipita diventa sempre più profondo, la sofferenza scava nell’animo e vi rimane. Per sempre.
Non c’è pace, ma solo tormento…
Il vuoto è infinito anche quando si tenta di dare un senso a qualcosa che, invece, un senso non ce l’ha più.

E solo una madre (o un padre, anche se in maniera diversa) che ha attraversato lo stesso dolore può comprendere realmente cosa significhi la perdita di una figlia.

Si continua a vagare in un mare senza mai approdare a nessuna sponda, senza una rotta, senza un timoniere che indichi la direzione. 
Ci si sente un superstite, vulnerabile e disperato.

Tutto è sospeso tra il ‘prima’ e il ‘dopo’, senza più riferimenti certi, senza sicurezze se non la consapevolezza che il dolore non lo può togliere nessuno.

E la ferita resta aperta e così rimarrà per tutta la vita…


giovedì 18 agosto 2016

Manchi

«Io esisto ancora, tu non ci sei più, come parli di te o non ne parli, sono sempre minacciata dal pianto.
Devo fare ricorso più volte nella giornata a una pacatezza al quanto più ragionevole, rallento il ritmo, abbasso il tono della voce, economizzo gli aggettivi. 
La tua morte ha rarefatto l'atmosfera.
Niente ha alcun potere sulla morte, luogo della sconfitta della parola, eppure abbiamo parlato per 40 anni io e te; adesso parlo solo io, tu non parli più, non c'è risposta, né un sorriso, niente».

(L. Ravera, 1994)




giovedì 11 agosto 2016