mercoledì 19 marzo 2008

Quando la democrazia fu sospesa

Il pm: «A Bolzaneto ci fu tortura»
Si è chiusa la requisitoria dei pm Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati al processo per le violenze a Bolzaneto.
Abuso d'ufficio, violenza privata, abuso di autorità contro detenuti o arrestati, falso, violazione dell'ordinamento penitenziario e convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: questi i reati contestati dai magistrati che hanno chiesto c
ondanne complessive per oltre 76 anni di reclusione per i 44 imputati nel processo per le violenze e i soprusi nella caserma della polizia di Bolzaneto, durante il G8 a Genova del luglio 2001. Per Giuseppe Fornasiere, ispettore di polizia penitenziaria responsabile dell'ufficio matricole, è stata chiesta l'assoluzione.
Durante la requisitoria i Pm avevano descritto la caserma di Bolzaneto come "un girone infernale" in cui furono inflitte alle persone fermate "almeno quattro" delle cinque tecniche di interrogatorio che, secondo la Corte europea sui diritti dell'uomo chiamata a pronunciarsi sulla repressione dei tumulti in Irlanda negli anni Settanta, configurano "trattamenti inumani e degradanti", in altre parole “tortura”.
Di seguito riporto un articolo tratto da La Repubblica del 17 marzo di cui vi consiglio la lettura.
Solo così, forse, chi non è stato presente a quei fatti potrà in minima parte rendersi conto di ciò che accaduto in quei tre giorni del luglio 2001 e di come in quei tre giorni in Italia la democrazia venne sospesa.
C'era anche un carabiniere "buono", quel giorno. Molti "prigionieri" lo ricordano. "Giovanissimo". Più o meno ventenne, forse "di leva". Altri l'hanno in mente con qualche anno in più. In tre giorni di "sospensione dei diritti umani", ci sono stati dunque al più due uomini compassionevoli a Bolzaneto, tra decine e decine di poliziotti, carabinieri, guardie di custodia, poliziotti carcerari, generali, ufficiali, vicequestori, medici e infermieri dell'amministrazione penitenziaria. Appena poteva, il carabiniere "buono" diceva ai "prigionieri" di abbassare le braccia, di levare la faccia dal muro, di sedersi. Distribuiva la bottiglia dell'acqua, se ne aveva una a disposizione. Il ristoro durava qualche minuto. Il primo ufficiale di passaggio sgridava con durezza il carabiniere tontolone e di buon cuore, e la tortura dei prigionieri riprendeva.
Tortura. Non è una formula impropria o sovrattono. Due anni di processo a Genova hanno documentato - contro i 45 imputati - che cosa è accaduto a Bolzaneto, nella caserma Nino Bixio del reparto mobile della polizia di Stato nei giorni del G8, tra venerdì 20 e domenica 22 luglio 2001, a 55 "fermati" e 252 arrestati. Uomini e donne. Vecchi e giovani. Ragazzi e ragazze. Un minorenne. Di ogni nazionalità e occupazione; spagnoli, greci, francesi, tedeschi, svizzeri, inglesi, neozelandesi, tre statunitensi, un lituano.
Studenti soprattutto e disoccupati, impiegati, operai, ma anche professionisti di ogni genere (un avvocato, un giornalista...). I pubblici ministeri Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati hanno detto, nella loro requisitoria, che "soltanto un criterio prudenziale" impedisce di parlare di tortura. Certo, "alla tortura si è andato molto vicini", ma l'accusa si è dovuta dichiarare impotente a tradurre in reato e pena le responsabilità che hanno documentato con la testimonianza delle 326 persone ascoltate in aula.
Il reato di tortura in Italia non c'è, non esiste. Il Parlamento non ha trovato mai il tempo - né avvertito il dovere in venti anni - di adeguare il nostro codice al diritto internazionale dei diritti umani, alla Convenzione dell'Onu contro la tortura, ratificata dal nostro Paese nel 1988. Esistono soltanto reatucci d'uso corrente da gettare in faccia agli imputati: l'abuso di ufficio, l'abuso di autorità contro arrestati o detenuti, la violenza privata. Pene dai sei mesi ai tre anni che ricadono nell'indulto (nessuna detenzione, quindi) e colpe che, tra dieci mesi (gennaio 2009), saranno prescritte (i tempi della prescrizione sono determinati con la pena prevista dal reato).
Come una goccia sul vetro, penosamente, le violenze di Bolzaneto scivoleranno via con una sostanziale impunità e, quel che è peggio, possono non lasciare né un segno visibile nel discorso pubblico né, contro i colpevoli, alcun provvedimento delle amministrazioni coinvolte in quella vergogna. Il vuoto legislativo consentirà a tutti di dimenticare che la tortura non è cosa "degli altri", di quelli che pensiamo essere "peggio di noi". Quel "buco" ci permetterà di trascurare che la tortura ci può appartenere. Che - per tre giorni - ci è già appartenuta.
Nella prima Magna Carta - 1225 - c'era scritto: "Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, spossessato della sua indipendenza, messo fuori legge, esiliato, molestato in qualsiasi modo e noi non metteremo mano su di lui se non in virtù di un giudizio dei suoi pari e secondo la legge del paese". Nella nostra Costituzione, 1947, all'articolo 13 si legge: "La libertà personale è inviolabile. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà"
La caserma di Bolzaneto oggi non è più quella di ieri. Con un'accorta gestione, si sono voluti cancellare i "luoghi della vergogna", modificarne anche gli spazi, aprire le porte alla città, alle autorità cittadine, civili, militari, religiose coltivando l'idea di farne un "Centro della Memoria" a ricordo delle vittime dei soprusi. C'è un campo da gioco nel cortile dove, disposti su due file, i "carcerieri" accompagnavano l'arrivo dei detenuti con sputi, insulti, ceffoni, calci, filastrocche come "Chi è lo Stato? La polizia! Chi è il capo? Mussolini!", cori di "Benvenuti ad Auschwitz".
Dov'era il famigerato "ufficio matricole" c'è ora una cappella inaugurata dal cardinale Tarcisio Bertone e nei corridoi, dove nel 2001 risuonavano grida come "Morte agli ebrei!", ha trovato posto una biblioteca intitolata a Giovanni Palatucci, ultimo questore di Fiume italiana, ucciso nel campo di concentramento di Dachau per aver salvato la vita a 5000 ebrei.
Quel giorno, era venerdì 20 luglio, l'ambiente è diverso e il clima di piombo. Dopo il cancello e l'ampio cortile, i prigionieri sono sospinti verso il corpo di fabbrica che ospita la palestra. Ci sono tre o quattro scalini e un corridoio centrale lungo cinquanta metri. È qui il garage Olimpo. Sul corridoio si aprono tre stanze, una sulla sinistra, due sulla destra, un solo bagno. Si è identificati e fotografati. Si è costretti a firmare un prestampato che attesta di non aver voluto chiamare la famiglia, avvertire un avvocato. O il consolato, se stranieri (agli stranieri non si offre la traduzione del testo).
A una donna, che protesta e non vuole firmare, è mostrata la foto dei figli. Le viene detto: "Allora, non li vuoi vedere tanto presto...". A un'altra che invoca i suoi diritti, le tagliano ciocche di capelli. Anche H. T. chiede l'avvocato. Minacciano di "tagliarle la gola". M. D. si ritrova di fronte un agente della sua città. Le parla in dialetto. Le chiede dove abita. Le dice: "Vengo a trovarti, sai". Poi, si è accompagnati in infermeria dove i medici devono accertare se i detenuti hanno o meno bisogno di cure ospedaliere. In un angolo si è, prima, perquisiti - gli oggetti strappati via a forza, gettati in terra - e denudati dopo. Nudi, si è costretti a fare delle flessioni "per accertare la presenza di oggetti nelle cavità".
Nessuno sa ancora dire quanti sono stati i "prigionieri" di quei tre giorni e i numeri che si raccolgono - 55 "fermati", 252 "arrestati" - sono approssimativi. Meno imprecisi i "tempi di permanenza nella struttura". Dodici ore in media per chi ha avuto la "fortuna" di entrarvi il venerdì. Sabato la prigionia "media" - prima del trasferimento nelle carceri di Alessandria, Pavia, Vercelli, Voghera - è durata venti ore. Diventate trentatré la domenica quando nella notte tra 1.30 e le 3.00 arrivano quelli della Diaz, contrassegnati all'ingresso nel cortile con un segno di pennarello rosso (o verde) sulla guancia.
È saltato fuori durante il processo che la polizia penitenziaria ha un gergo per definire le "posizioni vessatorie di stazionamento o di attesa". La "posizione del cigno" - in piedi, gambe divaricate, braccia alzate, faccia al muro - è inflitta nel cortile per ore, nel caldo di quei giorni, nell'attesa di poter entrare "alla matricola". Superati gli scalini dell'atrio, bisogna ancora attendere nelle celle e nella palestra con varianti della "posizione" peggiori, se possibile. In ginocchio contro il muro con i polsi ammanettati con laccetti dietro la schiena o nella "posizione della ballerina", in punta di piedi.
Nelle celle, tutti sono picchiati. Manganellate ai fianchi. Schiaffi alla testa. La testa spinta contro il muro. Tutti sono insultati: alle donne gridato "entro stasera vi scoperemo tutte"; agli uomini, "sei un gay o un comunista?" Altri sono stati costretti a latrare come cani o ragliare come asini; a urlare: "viva il duce", "viva la polizia penitenziaria". C'è chi viene picchiato con stracci bagnati; chi sui genitali con un salame, mentre steso sulla schiena è costretto a tenere le gambe aperte e in alto: G. ne ricaverà un "trauma testicolare". C'è chi subisce lo spruzzo del gas urticante-asfissiante. Chi patisce lo spappolamento della milza. A. D. arriva nello stanzone con una frattura al piede. Non riesce a stare nella "posizione della ballerina". Lo picchiano con manganello. Gli fratturano le costole. Sviene. Quando ritorna in sé e si lamenta, lo minacciano "di rompergli anche l'altro piede". Poi, gli innaffiano il viso con gas urticante mentre gli gridano. "Comunista di merda". C'è chi ricorda un ragazzo poliomielitico che implora gli aguzzini di "non picchiarlo sulla gamba buona". I. M. T. lo arrestano alla Diaz. Gli viene messo in testa un berrettino con una falce e un pene al posto del martello. Ogni volta che prova a toglierselo, lo picchiano. B. B. è in piedi.
Gli sbattono la testa contro la grata della finestra. Lo denudano. Gli ordinano di fare dieci flessioni e intanto, mentre lo picchiano ancora, un carabiniere gli grida: "Ti piace il manganello, vuoi provarne uno?". S. D. lo percuotono "con strizzate ai testicoli e colpi ai piedi". A. F. viene schiacciata contro un muro. Le gridano: "Troia, devi fare pompini a tutti", "Ora vi portiamo nei furgoni e vi stupriamo tutte". S. P. viene condotto in un'altra stanza, deserta. Lo costringono a denudarsi. Lo mettono in posizione fetale e, da questa posizione, lo obbligano a fare una trentina di salti mentre due agenti della polizia penitenziaria lo schiaffeggiano. J. H. viene picchiato e insultato con sgambetti e sputi nel corridoio. Alla perquisizione, è costretto a spogliarsi nudo e "a sollevare il pene mostrandolo agli agenti seduti alla scrivania". J. S., lo ustionano con un accendino.
Ogni trasferimento ha la sua "posizione vessatoria di transito", con la testa schiacciata verso il basso, in alcuni casi con la pressione degli agenti sulla testa, o camminando curvi con le mani tese dietro la schiena. Il passaggio nel corridoio è un supplizio, una forca caudina. C'è un doppia fila di divise grigio-verdi e blu. Si viene percossi, minacciati.
In infermeria non va meglio. È in infermeria che avvengono le doppie perquisizioni, una della polizia di Stato, l'altra della polizia penitenziaria. I detenuti sono spogliati. Le donne sono costrette a restare a lungo nude dinanzi a cinque, sei agenti della polizia penitenziaria. Dinanzi a loro, sghignazzanti, si svolgono tutte le operazioni. Umilianti. Ricorda il pubblico ministero: "I piercing venivano rimossi in maniera brutale. Una ragazza è stata costretta a rimuovere il suo piercing vaginale con le mestruazioni dinanzi a quattro, cinque persone". Durante la visita si sprecano le battute offensive, le risate, gli scherni. P. B., operaio di Brescia, lo minacciano di sodomizzazione. Durante la perquisizione gli trovano un preservativo. Gli dicono: "E che te ne fai, tanto i comunisti sono tutti froci". Poi un'agente donna gli si avvicina e gli dice: "È carino però, me lo farei". Le donne, in infermeria, sono costrette a restare nude per un tempo superiore al necessario e obbligate a girare su se stesse per tre o quattro volte. Il peggio avviene nell'unico bagno con cesso alla turca, trasformato in sala di tortura e terrore. La porta del cubicolo è aperta e i prigionieri devono sbrigare i bisogni dinanzi all'accompagnatore. Che sono spesso più d'uno e ne approfittano per "divertirsi" un po'.
Umiliano i malcapitati, le malcapitate. Alcune donne hanno bisogno di assorbenti. Per tutta risposta viene lanciata della carta da giornale appallottolata. M., una donna avanti con gli anni, strappa una maglietta, "arrangiandosi così". A. K. ha una mascella rotta. L'accompagnano in bagno. Mentre è accovacciata, la spingono in terra. E. P. viene percossa nel breve tragitto nel corridoio, dalla cella al bagno, dopo che le hanno chiesto "se è incinta". Nel bagno, la insultano ("troia", "puttana"), le schiacciano la testa nel cesso, le dicono: "Che bel culo che hai", "Ti piace il manganello".
Chi è nello stanzone osserva il ritorno di chi è stato in bagno. Tutti piangono, alcuni hanno ferite che prima non avevano. Molti rinunciano allora a chiedere di poter raggiungere il cesso. Se la fanno sotto, lì, nelle celle, nella palestra. Saranno però picchiati in infermeria perché "puzzano" dinanzi a medici che non muovono un'obiezione. Anche il medico che dirige le operazioni il venerdì è stato "strattonato e spinto".
Il giorno dopo, per farsi riconoscere, arriva con il pantalone della mimetica, la maglietta della polizia penitenziaria, la pistola nella cintura, gli anfibi ai piedi, guanti di pelle nera con cui farà poi il suo lavoro liquidando i prigionieri visitati con "questo è pronto per la gabbia". Nel suo lavoro, come gli altri, non indosserà mai il camice bianco. È il medico che organizza una personale collezione di "trofei" con gli oggetti strappati ai "prigionieri": monili, anelli, orecchini, "indumenti particolari". È il medico che deve curare L. K.
A L. K. hanno spruzzato sul viso del gas urticante. Vomita sangue. Sviene. Rinviene sul lettino con la maschera ad ossigeno. Stanno preparando un'iniezione. Chiede: "Che cos'è?". Il medico risponde: "Non ti fidi di me? E allora vai a morire in cella!". G. A. si stava facendo medicare al San Martino le ferite riportate in via Tolemaide quando lo trasferiscono a Bolzaneto. All'arrivo, lo picchiano contro un muretto. Gli agenti sono adrenalinici. Dicono che c'è un carabiniere morto. Un poliziotto gli prende allora la mano. Ne divarica le dita con due mani. Tira. Tira dai due lati. Gli spacca la mano in due "fino all'osso". G. A. sviene. Rinviene in infermeria. Un medico gli ricuce la mano senza anestesia. G. A. ha molto dolore. Chiede "qualcosa". Gli danno uno straccio da mordere. Il medico gli dice di non urlare.
Per i pubblici ministeri, "i medici erano consapevoli di quanto stava accadendo, erano in grado di valutare la gravità dei fatti e hanno omesso di intervenire pur potendolo fare, hanno permesso che quel trattamento inumano e degradante continuasse in infermeria".
Non c'è ancora un esito per questo processo (arriverà alla vigilia dell'estate). La sentenza definirà le responsabilità personali e le pene per chi sarà condannato. I fatti ricostruiti dal dibattimento, però, non sono più controversi. Sono accertati, documentati, provati. E raccontano che, per tre giorni, la nostra democrazia ha superato quella sempre sottile ma indistruttibile linea di confine che protegge la dignità della persona e i suoi diritti. È un'osservazione che già dovrebbe inquietare se non fosse che - ha ragione Marco Revelli a stupirsene - l'indifferenza dell'opinione pubblica, l'apatia del ceto politico, la noncuranza delle amministrazioni pubbliche che si sono macchiate di quei crimini appaiono, se possibile, ancora più minacciose delle torture di Bolzaneto.
Possono davvero dimenticare - le istituzioni dello Stato, chi le governa, chi ne è governato - che per settantadue ore, in una caserma diventata lager, il corpo e la "dimensione dell'umano" di 307 uomini e donne sono stati sequestrati, umiliati, violentati? Possiamo davvero far finta di niente e tirare avanti senza un fiato, come se i nostri vizi non fossero ciclici e non si ripetessero sempre "con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l'etica, con l'identica allergia alla coerenza"?
E per tutto questo, la prescrizione è vicina, molto vicina...

35 commenti:

Alzata con pugno ha detto...

Nel luglio 2001 avevo 20 anni e qualche mese, lavoravo, affittavo scooter ai turisti, dalla mattina fino a quando non rientravano tutti i mezzi, faceva caldo, mi pagavano poco. Lavoravo con l'attuale segretario della camera del lavoro, mi propose un biglietto per il treno speciale per Genova, lui non poteva andare.
Tornai a casa con questa proposta, la sera stessa, parto. Mia madre ha il naso fino, fece il davolo a quattro, mi disse che il clima era pessimo, che sarebbe successo qualcosa di brutto, che nell'aria c'era qualcosa che le ricordava gli anni settanta e che se volevo partire mi avrebbe chiusa in camera "se vuoi te le do io le bastonate, invece degli sbirri". Cedetti, forse non capivo fino in fondo l'importanza che avevano quei giorni. Continuai a lavorare sotto il sole, e qualche sera dopo tornando mia madre mi investì davanti alla porta di casa con gli occhi lucidi "te l'avevo detto: hanno ammazzato un ragazzo". Per lei io sarei potuta essere Carlo, ma anche Sara, Roberto, Giovanna, uno dei tanti ragazzi che hanno subito le torture, e lei mi aveva salvato.
Ancora oggi quando ne parliamo a me viene un nodo alla gola: sarei dovuta essere lì. Mia madre mi guarda e mi dice "ringraziami"...non sono mai riuscita a farlo.
In quei giorni è stata organizzata una repressione inimmaginabile per chi non ha vissuto gli anni settanta, noi al di sotto dei trent'anni non potevamo immaginare che si sarebbe arrivato a tanto: non siamo più negli anni '70, dicevamo. Ma la violenza non ha epoca. Vorrei solo che a questo punto dal più alto in grado fino all'ultimo pagassero per quello che hanno fatto.

isline ha detto...

Ho il voltastomaco...

Franca ha detto...

Mia figlia c'era.
Per molto tempo non è stata in grado neanche di parlarle. Ogni volta che provava le si spezzava la voce.
Poi l'anno scorso ne ha scritto sul suo blog.
Chi ha voglia di leggere il suo racconto lo trova qui

Melina2811 ha detto...

stò facendo un giro a salutare gli amici di tutti i blog da me preferiti e ad augurare Buona Pasqua. Ciao da Maria

Chit ha detto...

Ricordo molto bene quei giorni, non fosse altro per la "richiesta" che arrivò da un mio amico volontario nel 118 di "sfogarsi" una volta rientrato a Torino. Mi raccontò quel poco che lui aveva potuto vedere entrando a Bolzaneto e quello che invece raccontava chi lì dentro era stato chiamato per soccorrere quelli messi peggio.
non vedo molta differenza con Abu Graib e non mi stupirei se tra una ventina d'anni (tempo medio per scoprire le prove di certe stragi in Italia) non spuntassero fuori pure delle foto, nel miglior american style!

valentina orsucci ha detto...

il ricordo di quelle immagini, e di quei racconti, è per fortuna indelebile.

marina ha detto...

Non lo dimenticheremo affatto! non faremo affatto finta di niente. è successo qualche cosa di assoluta gravità, che ha messo il nostro paese fuori della democrazia. Speriamo di fare in tempo a vederli in galera.
vado a leggere il post di guccia, anche se un po' timorosa. sai che ho paura di quelle immagini? e di quei racconti? ma invece dobbiamo leggerli e ricordarli
ti abbraccio marina

Franca ha detto...

@ Marina:

In galera non vedremo nessuno.
A parte il pericolo reale di prescrizione, in ogni caso le pene saranno tutte sotto la soglia dell'indulto...

rudyguevara ha detto...

un cazzotto nello stomaco,quei fatti aberranti.......sarebbe l'ora di fare e pretendere giustizia!leggerò il racconto di tua figlia, franca.mi dispiace tantissimo pe lei e per tutti quelli che erano lì.senti,se vai a vedere sul mio post su quella petizione,ho messo una traduzione nei commenti.

Daniele Verzetti il Rockpoeta® ha detto...

Ho letto questo articolo. Non devono passarla liscia.
Scusa ma la rabbia è tanta e le parole rallentano perchè vorrebbero solo vedere giustizia e non ancora attesa.

Anonimo ha detto...

Leggere la testimonianza di Guccia è stato come rivedere le immagini di quei giorni.Ricordo quella di un padre che,con un braccio sosteneva un bimbo e l'altro era costretto a tenerlo alzato,come un terrorista.Un' altra vergognosa pagina dell'Italia berlusconica e i suoi accoliti Fini e Scajola ecc.
Certo,ci sarà la prescrizione e i givani dovrebbero scendere in piazza.
Cristiana

Associazione ImperiaParla! ha detto...

A me quello che continua a fare arrabbiare (è un mio chiodo fisso, essendo mio concittadino) è che in tutti questi resoconti non compaia mai il nome dell'allora ministro dell'interno che era, ricordatevelo tutti, Claudio Scajola.

senzanomealcuno ha detto...

Il problema è che la democrazia, forse, non è più stata ripristinata!

Anonimo ha detto...

Quello che accadde a Genova in quei giorni è scolpito nella mente di ogni italiano che abbia a cuore le sorti del suo paese e della democrazia.

Che a quell'offesa alla città, all'idea stessa che abbiamo di Stato, si possa aggiungere anche la prescrizione, non è commentabile.

Un saluto, un po' triste..
Mister X di Comicomix

Anonimo ha detto...

E' stato teribile, io l'ho seguita in televisione e non credevo ai miei occhi... Davvero sembrava il Cile euqetso solo la manifestazione. Poi quell che è successo dopo è stato davvero il massimo della vergogna. Giulia

Pino Amoruso ha detto...

Ho paura che la prescrizione arriverà...Purtroppo!!!
Chissà come mai i media non ne parlano quasi più...
A presto :-(((

Lara ha detto...

Ricordo perfettamente quei giorni, quelle orribili scene da incubo, ho letto il post di Guccia e tremo.

Cara Franca, hai fatto benissimo a parlare di questo processo che, come al solito, non assicurerà GIUSTIZIA.

Anonimo ha detto...

Ho letto ieri questo articolo. impressionante ma ancora più impressionante che si parli dell'italia. Il g8 è l'ennesima pagina nera italiana che non avrà giustizia vera. Quelli continuano a litigare tra di loro per scaricare o minimizzare l'accaduto, è dal 1988 che si dovrebbe istituire il reato di tortura ma nessuno ci ha mai pensato. Ora lo usano come argomentazione per una campagna elettorale sempre più vergognosa. Prima le donne, poi i bambini, ora le tragedie collettive.
Quello che più mi fa male è che, nonostante sia un fatto che coinvolga l'intera Europa, il parlamento europeo ha fatto poco e niente per portare giustizia. Almeno, che so, delle sanzioni pesantissime all'Italia o l'applicazione di leggi europee nel nostro stato.
E' una vergogna.

Anonimo ha detto...

In Italia la tortura non esiste, certo il Parlamento non ha avuto tempo o modo, sono così impegnati poverini, però loro non sono mica avidi fannulloni eh!
Disgusto e ribrezzo.
ps: sono molto dispiaciuta del fatto che tua figlia si sia trovata lì.
Un caro saluto.

ArabaFenice ha detto...

In precedenza ho già avuto modo di esprimere la mia opinione sui fatti di Genova.
Non posso fare altro che ribadire la mia posizione di assoluta intolleranza della violenza, da qualunque parte provenga.
Pertanto, il mio auspicio è che chi commette atti di violenza debba risponderne penalmente, che porti una divisa o che non la porti.


P.S. Ti ringrazio moltissimo per il banner.

Anonimo ha detto...

Visto che se n'è tornato a parlare, anche col diretto interessato, ieri sera, su Rai3, è bene ricordare chi ha bocciato la commissione parlamentare: MASTELLA e DI PIETRO (che l'ha spacciata e confusa, lui che è un exPM, volutamente con le indagini della magistratura, mentre la commissione rivela semmai eventuali responsabilità politiche).

BC. Bruno Carioli ha detto...

Ho letto il tuo post e quello di Guccia.
Ho il magone.

articolo21 ha detto...

Per questa storia nessuno andrà in carcere alla fine... non c'è andato neanche Spaccatorella... incolpato per omicidio volontaro per la morte di Gabriele Sandri...

zefirina ha detto...

io ho reagito come la mamma di alzatadipugno, ho pestato i piedi, ho litigato e sono riuscita a tenere a casa Valentina, siamo rimasti incollati davanti alla televisioni increduli e con le lacrime agli occhi, ero così presa dall'incredulità di quanto vedevo che non mi sono resa conto che con me stavano guardando anche i bambini, allora erano tali, anche loro non hanno dimenticato!

non ho altre parole, mi muoiono tutte in gola, constatare che chi ci dovrebbe difendere diventa un aguzzino mi rende afona!

rudyguevara ha detto...

ho letto il post di tua figlia.....sono senza parole.sono passata x augurarti buona pasqua.un bacio a tutte e due,naturalmente.

Romina ha detto...

Siamo in Italia, nessuno pagherà. Chiunque commetta atti simili dovrebbe essere severamente punito, e ciò a prescindere dal fatto che sia un uomo in divisa o meno. Ma, appunto, qui non accadrà.

DS ha detto...

io non ho più parole. altro che tibet. in italia cosa boicottiamo? io dovevo esserci e ringrazio qualcuno per non avermi fatto andare. ho visto ogni sorta di video sui pestaggi all'aria aperta e più volte ho rischiato il vomito. non vorrò mai vedere video, se ne esistono, sugli avvenimenti in caserma. potrei svenire. ma se esistessero li consiglio vivamente a chi ha istituito la prescrizione per certi reati.
il fascismo non è mai morto e tra poco tornerà al potere.
tommi

Giovanna Alborino ha detto...

ciao franca,
passo per augurarti una felice e serena pasqua...

Anonimo ha detto...

In un'intervista esclusiva il presidente della Camera Fausto Bertinotti risponde alle dichiarazioni di Giuliano Amato e parla del G8 di Genova nel 2001. Denuncia la pesante repressione come una chiara scelta politica del governo di allora. Le complicità furono degli organi dello Stato italiano e delle forze dell’ordine. Bertinotti affronta anche altri temi, dalla camorra al ruolo futuro della Sinistra Arcobaleno.

http://agenziami.it/articolopage-video.php?idart=325

Daniele Verzetti il Rockpoeta® ha detto...

Franca volevo trovare uno spazio per augurare a te, a tua figlia ed a chi ami Buona Pasqua

Daniele

francesca ha detto...

pertroppo in galera non vedremo nessuno...buona pasqua franca

Unknown ha detto...

veramente quel giorno fu sospesa la democrazia, ora lo dice anche Amato.

Mamma Simona ha detto...

non so perché non ritrovo il commento che avevo lasciato qui...dicevo che approfondendo questa storia per il mio lavoro ho scoperto che in Italia non abbiamo una legge contro la tortura....bella roba. comunque ho letto un po' di articoli e di testimonianze e abbiamo intervistato un giornalista che era alla Diaz. mi è risalita una rabbia incredibile...vado a leggermi il post di guccia.

Mamma Simona ha detto...

ho letto il post di guccia. che dire Franca, è qualcosa che non si può commentare, non c'è niente da aggiungere. tranne che ho una gran rabbia anche perché i miei colleghi di testate più illustri della mia se ne sono totalmente dimenticati, tranne qualche eccezione. Per non parlare dei politici..
comunque buona Pasqua a te ai tuoi cari.

Anonimo ha detto...

Per...cmpletezza...linlo quanto segue...
http://www.veritagiustizia.it/comunicati_stampa/caro_presidente_bertinotti.php