Milano, 12 dicembre ... cronaca di una strage annunciata
di Paola CerettaUn articolo del 2004 con ancora tutta la sua tragica attualità...
Arnoldi Giovanni
China Giulio
Corsini Eugenio
Dendena Pietro
Gaiani Carlo
Galatioto Calogero
Garavaglia Carlo
Gerli Paolo
Mocchi Vittorio
Meloni Luigi
Papetti Gerolamo
Pasi Mario
Perego Carlo
Sangalli Oreste
Scaglia Angelo
Silva Carlo
Vare Attilio
e Giuseppe Pinelli
è il macabro appello che si può fare ogni volta che si attraversa Piazza Fontana, in centro a Milano. Sono lì dal 1969. Io non ero ancora nata ma ogni anno, tra il 12 e 16 dicembre mi assalgono la voglia di sapere, di capire e … tanta rabbia: manca la memoria, mancano i colpevoli. O meglio, dei colpevoli si sa nome e cognome, ma continuano a condurre una vita tranquilla, da liberi cittadini. Più o meno tutti sanno cosa accadde in quei giorni, pochi vogliono ricordare. Perché si fa fatica, perché fa paura, perché è meglio pensare a comperare i regali di Natale e stare allegri, perché il passato è passato e viviamo in una nuova era dove le stragi ci arrivano per televisione, restando lontane. Ma chi ha provato e prova dolore, ricorda, oggi più di ieri.
Passiamo ai fatti: nel 1969 come nel 2004, il 12 dicembre, Milano è un gigantesco panettone scintillante e infiocchettato. Si respira aria di festa. Addobbi rosso e oro, vetrine tirate a lucido. Allora come oggi si sta attenti al portafogli ma un pacchetto sotto l’albero fa piacere a tutti. Nel 1969, il 12 dicembre cade di venerdì. Gli uffici chiudono un po’ prima, sabato non si lavora: quale migliore occasione per darsi allo shopping natalizio. Metà pomeriggio. Corso Vittorio Emanuele, Piazza Duomo e le vie adiacenti sono gremite di gente. Alla Statale c’è ancora lezione. Le banche sono già chiuse. In Piazza Fontana, la Banca Nazionale dell’agricoltura è ancora aperta. E’ la banca degli agricoltori e il venerdì c’è il mercato provinciale. Quasi tutti arrivano da fuori Milano. Sono tanti. Qualcuno si è portato il figlio, qualcun altro il nipotino. Più o meno a quell’ora il ferroviere Giuseppe Pinelli, di fede anarchica, ha finito il turno e si reca in un bar sui navigli dov’è di casa.
Sono le 16.25. Nel cuore sereno e spensierato di Milano si apre un buco nero che non si richiuderà mai più. Qualcuno ha "dimenticato" due valigette di pelle sotto il tavolo centrale della Banca Nazionale dell’agricoltura. Cinque minuti prima della chiusura, prevista per le 16.30, esplodono: 15 morti, 90 feriti di cui 3 gravissimi. Due moriranno dopo pochi giorni e un ragazzino perderà le gambe. In mezzo alle luci e ai colori del Natale, si consuma una scena raccapricciante: gli occhi sbarrati per la paura e l’orrore di chi si è salvato, i corpi straziati e il sangue di chi non ce l’ha fatta, macerie e cristalli in frantumi tutt’intorno. E un intenso odore di mandorle amare. Increduli si affacciano alcuni passanti. Chi era da quelle parti, chi ha visto la banca tremare, chi ha sentito un boato assordante. Un dipendente dell’Ente Nazionale Risi, che all’epoca aveva gli uffici in quel palazzo, apre la finestra che dà sulla cupola della banca per vedere cos’è tutto quel fracasso. Rimarrà sotto shock per un mese. Gli studenti della Statale si precipitano sul posto, vogliono sapere, vogliono capire. I primi soccorritori non hanno parole per descrivere quello che vedono. Anche le forze dell’ordine ammutoliscono. Le ambulanze arrivano all’ospedale Fatebenefratelli con le ruote sporche di sangue. Cos’è successo? Perché?
In quei momenti tanto drammatici quanto concitati, il ferroviere Giuseppe Pinelli, di fede anarchica, se ne sta tranquillo a giocare a carte al bar sui navigli dov’è di casa, ignaro di tutto.
Le prime indiscrezioni danno la colpa a una caldaia difettosa. Prima di sera si conosce già la verità: hanno messo una bomba.
Si susseguono giorni bui. Famiglie costrette al dolore e alla disperazione. La mattina dei funerali anche il cielo è scuro scuro. Milano piange i suoi morti. E saranno ancora tante le lacrime che dovrà versare e molti i cadaveri da seppellire. La scia di sangue, appena accennata, è ancora lunga da percorrere. Piazza Fontana, la madre di tutte le stragi. Una strage annunciata dalle bombe sui treni e alla fiera di Milano nell’aprile dello stesso anno. Più avanti nel tempo, in piazza, uno slogan la definirà una strage di Stato.
Cosa è successo? Chi è stato? Perché? Nessuno sa darsi una risposta, così, su due piedi. Ma qualcuno sa, è ovvio. In serata, in questura, hanno già una pista certa: sono stati gli anarchici. E si lavora per fabbricare il mostro da dare in pasto alla stampa e all’indignazione popolare: il ballerino Pietro Valpreda, naturalmente di fede anarchica. Al momento dell’attentato era a casa della nonna, a letto con l’influenza. Un testimone, Rolandi, che poco tempo dopo morirà in circostanze misteriose, giura di averlo accompagnato sul luogo del massacro, col suo taxi. Resterà in carcere fino al 1972. Sarà varata persino una legge che porta il suo nome. Assolto. L’unico che si è meritato tale verdetto perché realmente estraneo ai fatti.
Se passare degli anni in carcere sapendo di essere innocenti è un destino infame, per il ferroviere Giuseppe Pinelli è in agguato una tragedia ancora peggiore. Invitato dall’allora commissario della sezione politica Calabresi a seguirlo in Questura a bordo della propria bicicletta per una chiacchierata informale, non farà più ritorno a casa. Trattenuto per più di 24 ore senza notifica di un qualsiasi stato di fermo, senza nessun contatto con la famiglia tranne una breve telefonata alla moglie, accusato e minacciato più volte dalle forze dell’ordine di essere parte attiva nell’orrenda strage, cade "accidentalmente" dalla finestra del quarto piano della Questura di Milano, precipitando nel cortile sottostante. E’ la notte tra il 15 e il 16 dicembre. E’ scoccata da poco la mezzanotte. In fin di vita viene trasportato all’ospedale Fatebenefratelli. La moglie Licia viene a sapere dell’ "incidente" occorso al marito, per caso, da un giornalista che bussa alla sua porta. E’ l’una di notte. Si mette in contatto con il commissario Calabresi. Perché non è stata avvisata. Le viene risposto che in quegli uffici sono molto impegnati. Licia si precipita in ospedale con la suocera. Il marito, forse, respira ancora ma non le è concesso di vederlo. Spirerà nella notte.
Omicidio? Suicidio? Le ipotesi e le testimonianze sono confuse. Si è suicidato per il rimorso. Si sentiva soffocare, si è avvicinato alla finestra per respirare un po’ d’aria, si è sentito male ed è caduto di sotto. Gli agenti presenti (chi dice 4, pare fossero 5, Calabresi era in un’altra stanza) si sono prodigati per trattenerlo. Lo sforzo è stato tale che a uno gli è rimasta in mano una scarpa. Come mai, quando l’hanno raccolto dal selciato, le aveva entrambe ai piedi? Come mai, a Milano, in pieno inverno, di sera tardi, la finestra era aperta? Si apre un’inchiesta, si celebra un processo, da Milano a Catanzaro. Verdetto: morte accidentale per malore attivo. Nessun colpevole. In molti credono all’omicidio. Mi domando: se avesse visto qualcosa che non doveva vedere? Se avesse sentito qualcosa che non doveva sentire? Se avesse visto qualcuno che non doveva essere lì? Sarebbe stato un testimone troppo scomodo. Un testimone da eliminare. Anche il ferroviere Giuseppe Pinelli, di fede anarchica, ha una lapide commemorativa, in un’aiuola in Piazza Fontana, accanto a quella che riporta i nomi delle 17 vittime della strage alla Banca Nazionale dell’agricoltura.
12 dicembre 2004. Domenica. Milano è più luminosa che mai. Vestita a festa: l’altissimo albero di Natale in Piazza Duomo, le bancarelle con i dolci in Piazza Mercanti, lo stand con il presepe in Corso Vittorio Emanuele. Zampognari e Babbo Natale. Oggi come allora gli addobbi sono rossi e oro ma molti, molti di più anche se, oggi come allora, si sta attenti al portafogli. I negozi sono aperti. Le vetrine incantano: una più fastosa dell’altra. C’è gente dappertutto. Un gran vociare. I bambini con lo zucchero filato.
In Piazza Fontana si raduna una piccola folla commossa. Il silenzio è forte, compatto ma l’eco dell’orrore che quel giorno invase la città pesa sulla piazza, lo si respira distintamente. Negli stessi locali in cui avvenne l’esplosione, ora, ha sede la Banca Antonveneta ma l’insegna BANCA NAZIONALE DELL’AGRICOLTURA è ancora lì, a lettere cubitali, illuminate al neon, come una macabra decorazione natalizia, un monito, forse, per chi passa distratto da quelle parti. H.16.25. Un nugolo di persone, le autorità e alcuni parenti delle vittime, si raccolgono davanti alla lapide commemorativa. Le forze dell’ordine depongono corone di fiori alle pareti dell’edificio. La tromba della banda cittadina intona il Silenzio. I gonfaloni dei comuni intervenuti si alzano, insieme agli striscioni. Un minuto di puro semplice intenso silenzio mentre, tutt’intorno, Milano si muove convulsa ma sembra così lontana. L’emozione si scioglie in un applauso. L’attenzione si sposta verso il piccolo palco allestito per l’immancabile intervento delle autorità. A rompere il ghiaccio è il presidente dell’Associazione parenti delle vittime: con un filo di voce ripercorre i fatti, soffermandosi sull’incredibile iter giudiziario che ha portato a celebrare diversi processi in giro per l’Italia. Sconcertato e indignato ribadisce che dopo 35 anni nessuno ha ancora pagato e forse nessuno pagherà mai. Segue Aniasi, all’epoca sindaco di Milano. Il ricordo di quella visione agghiacciante, giunto sul posto poco dopo l’attentato, lo perseguita ancora oggi. Ancora la solita domanda: chi è il colpevole? Ancora la solita risposta: nessuno. Si susseguono altre autorità. Con retorica si parla di verità storica, di memoria, di mancanza di giustizia. Io lo definirei fallimento… Il presidente della provincia Penati si congratula per la presenza numerosa, soprattutto di facce giovani… Veramente siamo in pochi, i giovani, poi, si contano a fatica, forse perché è domenica, forse perché c’è il ponte di S.Ambrogio, forse perché ogni anno siamo sempre meno. Un papà, accanto a me, tiene in braccio un bimbo che non avrà più di tre anni. Gli racconta cosa è successo, come fosse una favola nera: lì dentro, indicando le vetrine della Banca Antonveneta, tanti anni fa c’erano tante persone che si sono fatte tanto male. Il bimbo, curioso, fa domande, vuole sapere... L’ultima voce è quella della figlia di una delle vittime. Anche lei sottolinea i 35 lunghi anni trascorsi senza risposte, gli estenuanti processi di cui non ha perso una seduta, inseguendoli per tutta Italia. Ha una parola per i morti, per i feriti e per coloro che non si sono risparmiati nel cercare il senso di quella carneficina, di cercare la verità. Conclude, arrabbiata, ricordando che molti orfani come lei si sono dovuti reinventare una vita consapevoli che il loro dolore non poteva restare privato.
Mi rimbombano in testa le parole di Aniasi: il ricordo che lo perseguita. Penso che la strage di Piazza Fontana e la morte di Pinelli debbano perseguitare tutti noi, dandoci la possibilità di fermarci a riflettere per riappropriarci di una memoria già nostra e troppo spesso assopita, per darle spessore in una città che per antonomasia va di fretta, accelerando sempre di più verso un futuro che tocca di striscio il presente e non ha tempo di pensare al passato. Piazza Fontana e la morte di Pinelli sono due ferite profonde che dobbiamo continuare a tenere aperte perché, per quanto mi riguarda, è lì che bisogna scavare per capire che senso ha una verità storica che dopo 35 anni fa nomi e cognomi ma se ci si domanda, chi sono i colpevoli?, non si può far altro che rispondere: nessuno.
Passiamo ai fatti: nel 1969 come nel 2004, il 12 dicembre, Milano è un gigantesco panettone scintillante e infiocchettato. Si respira aria di festa. Addobbi rosso e oro, vetrine tirate a lucido. Allora come oggi si sta attenti al portafogli ma un pacchetto sotto l’albero fa piacere a tutti. Nel 1969, il 12 dicembre cade di venerdì. Gli uffici chiudono un po’ prima, sabato non si lavora: quale migliore occasione per darsi allo shopping natalizio. Metà pomeriggio. Corso Vittorio Emanuele, Piazza Duomo e le vie adiacenti sono gremite di gente. Alla Statale c’è ancora lezione. Le banche sono già chiuse. In Piazza Fontana, la Banca Nazionale dell’agricoltura è ancora aperta. E’ la banca degli agricoltori e il venerdì c’è il mercato provinciale. Quasi tutti arrivano da fuori Milano. Sono tanti. Qualcuno si è portato il figlio, qualcun altro il nipotino. Più o meno a quell’ora il ferroviere Giuseppe Pinelli, di fede anarchica, ha finito il turno e si reca in un bar sui navigli dov’è di casa.
Sono le 16.25. Nel cuore sereno e spensierato di Milano si apre un buco nero che non si richiuderà mai più. Qualcuno ha "dimenticato" due valigette di pelle sotto il tavolo centrale della Banca Nazionale dell’agricoltura. Cinque minuti prima della chiusura, prevista per le 16.30, esplodono: 15 morti, 90 feriti di cui 3 gravissimi. Due moriranno dopo pochi giorni e un ragazzino perderà le gambe. In mezzo alle luci e ai colori del Natale, si consuma una scena raccapricciante: gli occhi sbarrati per la paura e l’orrore di chi si è salvato, i corpi straziati e il sangue di chi non ce l’ha fatta, macerie e cristalli in frantumi tutt’intorno. E un intenso odore di mandorle amare. Increduli si affacciano alcuni passanti. Chi era da quelle parti, chi ha visto la banca tremare, chi ha sentito un boato assordante. Un dipendente dell’Ente Nazionale Risi, che all’epoca aveva gli uffici in quel palazzo, apre la finestra che dà sulla cupola della banca per vedere cos’è tutto quel fracasso. Rimarrà sotto shock per un mese. Gli studenti della Statale si precipitano sul posto, vogliono sapere, vogliono capire. I primi soccorritori non hanno parole per descrivere quello che vedono. Anche le forze dell’ordine ammutoliscono. Le ambulanze arrivano all’ospedale Fatebenefratelli con le ruote sporche di sangue. Cos’è successo? Perché?
In quei momenti tanto drammatici quanto concitati, il ferroviere Giuseppe Pinelli, di fede anarchica, se ne sta tranquillo a giocare a carte al bar sui navigli dov’è di casa, ignaro di tutto.
Le prime indiscrezioni danno la colpa a una caldaia difettosa. Prima di sera si conosce già la verità: hanno messo una bomba.
Si susseguono giorni bui. Famiglie costrette al dolore e alla disperazione. La mattina dei funerali anche il cielo è scuro scuro. Milano piange i suoi morti. E saranno ancora tante le lacrime che dovrà versare e molti i cadaveri da seppellire. La scia di sangue, appena accennata, è ancora lunga da percorrere. Piazza Fontana, la madre di tutte le stragi. Una strage annunciata dalle bombe sui treni e alla fiera di Milano nell’aprile dello stesso anno. Più avanti nel tempo, in piazza, uno slogan la definirà una strage di Stato.
Cosa è successo? Chi è stato? Perché? Nessuno sa darsi una risposta, così, su due piedi. Ma qualcuno sa, è ovvio. In serata, in questura, hanno già una pista certa: sono stati gli anarchici. E si lavora per fabbricare il mostro da dare in pasto alla stampa e all’indignazione popolare: il ballerino Pietro Valpreda, naturalmente di fede anarchica. Al momento dell’attentato era a casa della nonna, a letto con l’influenza. Un testimone, Rolandi, che poco tempo dopo morirà in circostanze misteriose, giura di averlo accompagnato sul luogo del massacro, col suo taxi. Resterà in carcere fino al 1972. Sarà varata persino una legge che porta il suo nome. Assolto. L’unico che si è meritato tale verdetto perché realmente estraneo ai fatti.
Se passare degli anni in carcere sapendo di essere innocenti è un destino infame, per il ferroviere Giuseppe Pinelli è in agguato una tragedia ancora peggiore. Invitato dall’allora commissario della sezione politica Calabresi a seguirlo in Questura a bordo della propria bicicletta per una chiacchierata informale, non farà più ritorno a casa. Trattenuto per più di 24 ore senza notifica di un qualsiasi stato di fermo, senza nessun contatto con la famiglia tranne una breve telefonata alla moglie, accusato e minacciato più volte dalle forze dell’ordine di essere parte attiva nell’orrenda strage, cade "accidentalmente" dalla finestra del quarto piano della Questura di Milano, precipitando nel cortile sottostante. E’ la notte tra il 15 e il 16 dicembre. E’ scoccata da poco la mezzanotte. In fin di vita viene trasportato all’ospedale Fatebenefratelli. La moglie Licia viene a sapere dell’ "incidente" occorso al marito, per caso, da un giornalista che bussa alla sua porta. E’ l’una di notte. Si mette in contatto con il commissario Calabresi. Perché non è stata avvisata. Le viene risposto che in quegli uffici sono molto impegnati. Licia si precipita in ospedale con la suocera. Il marito, forse, respira ancora ma non le è concesso di vederlo. Spirerà nella notte.
Omicidio? Suicidio? Le ipotesi e le testimonianze sono confuse. Si è suicidato per il rimorso. Si sentiva soffocare, si è avvicinato alla finestra per respirare un po’ d’aria, si è sentito male ed è caduto di sotto. Gli agenti presenti (chi dice 4, pare fossero 5, Calabresi era in un’altra stanza) si sono prodigati per trattenerlo. Lo sforzo è stato tale che a uno gli è rimasta in mano una scarpa. Come mai, quando l’hanno raccolto dal selciato, le aveva entrambe ai piedi? Come mai, a Milano, in pieno inverno, di sera tardi, la finestra era aperta? Si apre un’inchiesta, si celebra un processo, da Milano a Catanzaro. Verdetto: morte accidentale per malore attivo. Nessun colpevole. In molti credono all’omicidio. Mi domando: se avesse visto qualcosa che non doveva vedere? Se avesse sentito qualcosa che non doveva sentire? Se avesse visto qualcuno che non doveva essere lì? Sarebbe stato un testimone troppo scomodo. Un testimone da eliminare. Anche il ferroviere Giuseppe Pinelli, di fede anarchica, ha una lapide commemorativa, in un’aiuola in Piazza Fontana, accanto a quella che riporta i nomi delle 17 vittime della strage alla Banca Nazionale dell’agricoltura.
12 dicembre 2004. Domenica. Milano è più luminosa che mai. Vestita a festa: l’altissimo albero di Natale in Piazza Duomo, le bancarelle con i dolci in Piazza Mercanti, lo stand con il presepe in Corso Vittorio Emanuele. Zampognari e Babbo Natale. Oggi come allora gli addobbi sono rossi e oro ma molti, molti di più anche se, oggi come allora, si sta attenti al portafogli. I negozi sono aperti. Le vetrine incantano: una più fastosa dell’altra. C’è gente dappertutto. Un gran vociare. I bambini con lo zucchero filato.
In Piazza Fontana si raduna una piccola folla commossa. Il silenzio è forte, compatto ma l’eco dell’orrore che quel giorno invase la città pesa sulla piazza, lo si respira distintamente. Negli stessi locali in cui avvenne l’esplosione, ora, ha sede la Banca Antonveneta ma l’insegna BANCA NAZIONALE DELL’AGRICOLTURA è ancora lì, a lettere cubitali, illuminate al neon, come una macabra decorazione natalizia, un monito, forse, per chi passa distratto da quelle parti. H.16.25. Un nugolo di persone, le autorità e alcuni parenti delle vittime, si raccolgono davanti alla lapide commemorativa. Le forze dell’ordine depongono corone di fiori alle pareti dell’edificio. La tromba della banda cittadina intona il Silenzio. I gonfaloni dei comuni intervenuti si alzano, insieme agli striscioni. Un minuto di puro semplice intenso silenzio mentre, tutt’intorno, Milano si muove convulsa ma sembra così lontana. L’emozione si scioglie in un applauso. L’attenzione si sposta verso il piccolo palco allestito per l’immancabile intervento delle autorità. A rompere il ghiaccio è il presidente dell’Associazione parenti delle vittime: con un filo di voce ripercorre i fatti, soffermandosi sull’incredibile iter giudiziario che ha portato a celebrare diversi processi in giro per l’Italia. Sconcertato e indignato ribadisce che dopo 35 anni nessuno ha ancora pagato e forse nessuno pagherà mai. Segue Aniasi, all’epoca sindaco di Milano. Il ricordo di quella visione agghiacciante, giunto sul posto poco dopo l’attentato, lo perseguita ancora oggi. Ancora la solita domanda: chi è il colpevole? Ancora la solita risposta: nessuno. Si susseguono altre autorità. Con retorica si parla di verità storica, di memoria, di mancanza di giustizia. Io lo definirei fallimento… Il presidente della provincia Penati si congratula per la presenza numerosa, soprattutto di facce giovani… Veramente siamo in pochi, i giovani, poi, si contano a fatica, forse perché è domenica, forse perché c’è il ponte di S.Ambrogio, forse perché ogni anno siamo sempre meno. Un papà, accanto a me, tiene in braccio un bimbo che non avrà più di tre anni. Gli racconta cosa è successo, come fosse una favola nera: lì dentro, indicando le vetrine della Banca Antonveneta, tanti anni fa c’erano tante persone che si sono fatte tanto male. Il bimbo, curioso, fa domande, vuole sapere... L’ultima voce è quella della figlia di una delle vittime. Anche lei sottolinea i 35 lunghi anni trascorsi senza risposte, gli estenuanti processi di cui non ha perso una seduta, inseguendoli per tutta Italia. Ha una parola per i morti, per i feriti e per coloro che non si sono risparmiati nel cercare il senso di quella carneficina, di cercare la verità. Conclude, arrabbiata, ricordando che molti orfani come lei si sono dovuti reinventare una vita consapevoli che il loro dolore non poteva restare privato.
Mi rimbombano in testa le parole di Aniasi: il ricordo che lo perseguita. Penso che la strage di Piazza Fontana e la morte di Pinelli debbano perseguitare tutti noi, dandoci la possibilità di fermarci a riflettere per riappropriarci di una memoria già nostra e troppo spesso assopita, per darle spessore in una città che per antonomasia va di fretta, accelerando sempre di più verso un futuro che tocca di striscio il presente e non ha tempo di pensare al passato. Piazza Fontana e la morte di Pinelli sono due ferite profonde che dobbiamo continuare a tenere aperte perché, per quanto mi riguarda, è lì che bisogna scavare per capire che senso ha una verità storica che dopo 35 anni fa nomi e cognomi ma se ci si domanda, chi sono i colpevoli?, non si può far altro che rispondere: nessuno.
37 commenti:
Un articolo bellissimo. Stupendo.
A mio avviso con troppi "se" nel senso che io sono stato molto più diretto nella mia ricostruzione.
I colpevoli li conosciamo. Lo sappiamo che non è stata nè la sinistra nè tanto meno gli anarchici, come del resto in tutte le stragi dell'epoca i colpevo sono dell'estrema destra,e, dello Stato.
Tante persone sono morte, tante sono state ferite, tante altre pur rimanendo in vita sono morte con i propri familiari.
Tanti miei coetanei, oggi, e cavolo da 21enne mi fa molto incazzare, probabilmente stanno passando in Piazza Fontana senza sapere nulla di nulla, tanti altri, invece - e non so cosa sia peggio - stanno passando facendo finta di nulla.
Saluti Franca.
ps: s enon ti dispiace vorrei inserirti nella lista dei blog preferiti.
Oggi un mio collega mi ha fatto ricordare di questo 12 dicembre, m'eera passato dalla mente. Ma appena uno sente le parole P.zza Fontana, vien subito un magone,l'hanno fatta franca... non nel senso del tuo nome.
Dunque, non esiste nessuna giustizia se la giustizia è in mano agli uomini.
Si potrebbe dedurre che nessuno di noi lo sia, forse.
questo bellissimo articolo merita parole migliori delle mie:
" bisogna farne di strada per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che Non Ci Sono Poteri Buoni! "
un buon fine settimana
brava franca... io che vengo da milano, ho nostalgia di quella manifestazione del 12 dicembre che ogni anno imperversava nelle vie del centro. era comunuque un segno.ricordo che uscivamo dal liceo, ci incontravamo con tutti gli altri e strada facendo i passanti si accodavano e il corteo diventava sempre più grande... e oggi? .. la memoria... cos'è la memoria in questo paese? ormai quasi più nulla...
Cara Franca ti dico solo che le stragi impunite non sarebbero tali se i colpevoli si trovassero in galera e invece sono sempre al loro posto alcuni ormai anziani e sembrano immortali. Dio ma perchè non te li chiami?
Senza giustizia non c'è democrazia.
Man mano che proseguivo la lettura del tuo bellissimo post, un senso di rabbia e tristezza pervadeva il mio voler essere cittadino italiano.
bellıssımo post, davvero... nemmeno ıo ero nata... ma ho una rabbıa dentro me... la gıustızıa e uguale per tuttı...
Grazie per aver pubblicato questo bellissimo articolo. Una strage impunita e che rischia di finire nel dimenticatoio...purtroppo!!!
Anch'io dico "Grazie Franca!"
Gli anni di piombo, Pinelli, il commissario Calabresi, quante vittime, quanti carnefici!
Dobbiamo ricordare, tramandare ai giovani e tentare di riuscire a sperare che qualche giustizia, da qualche parte del mondo, esista ancora.
questa ricostruzione toglie il fiato. grazie franca di averci fatto leggere questo articolo.
Aggiunto il link, Franca ;)
La chiamarono la perdita dell'innocenza, da allora non l'abbiamo più recuperata...
Piazza Fontana e la morte Pinelli sono purtroppo solo alcuni dei misteri e delle stragi inpunite.
Oggi, sabato 13 dicembre, con l'Unità il DVD sul G8 di Genova del 2001, il primo grande dramma della seconda repubblica e il momento peggiore per i diritti e la democrazia dal dopo guerra ad oggi.
Conoscete il docufilm 'Come un uomo sulla terra' e l'accordo Italia Libia sui migranti? Venite a dare un'occhiata...
Ciaooo Franca!
;-) duccio
I colpevoli? Perchè, non era davvero esplosa una caldaia?
...
amarezza.
Ciao Franca, trovo questo tuo post particolarmente toccante sia perché è scritto molto bene ed è scritto con il cuore, sia perché tocca un nervo scoperto che è quello della consapevolezza che troppo spesso la Giustizia ha fallito, troppi morti non possono riposare nella pace che l'ingiustizia subita abbia avuto la giusta attenzione, troppi delitti senza perché, senza autori.
Non faccio ipotesi, chiedo solo che venga stabilita la Verità, perché non è possibile che non ci siano colpevoli, non è possibile che una bomba finisca da sola in una banca....
Sì, io so che è stata la destra eversiva complice lo Stato e la Cia
quel giorno è scolpito nella mia memoria.
Un pensiero a Pinelli
marina
Ciao, vorrei proporti uno scambio di link: contattami sul mio blog... A presto!!!
meno male che qualcuno ancora ricorda.
Ricordare, sempre..
Per non dimenticare!!
E mi rifaccioa alle parole di articolo21: Senza giustizia non c'è democrazia.
Grazie per questo ricordo, non dico passato sotto silenzio, ma comunque messo in disparte dallo sciopero e da altri fatti di cronaca. Mi ricordo benissimo Piazza Fontana, avevo 19 anni, e tutto quel che è seguito dopo la strage, e grazie soprattutto per aver nominato Pinelli, lui davvero dimenticato e oscurato. Di Calabresi si parla, di lui non più.
Davvero commovente. Tanti giovani non erano lì fisicamente, ma c'erano col pensiero, con tutto il cuore, come me.
Come ogni volta che percorro il primo binario della stazione di Bologna, mi fermo un minuto e guardo lo squarcio.
Questo articolo mi era sfuggito ed è talmente e "terribilmente bello" che lascia senza parole e... non voglio cercarne altre.
Purtroppo non è l'unico caso e cambiando accadimenti e nomi si presterebbe a molte altre stragi italiache... :-S
Cara Franca,
leggendo il tuo post sono tornato con la memoria a quel terrebile pomeriggio quando cominciò a circolare la notizia di una esplosicone alla banca dell'agricoltura, prima pareva una fuga di gas poi si apprese della bomba, poi delle bombe...
Ho mentalmente ripercorso quei giorni difficili ricordando la rabbia, il dolore, la voglia di lottare.
Una rabbia, un dolore, una voglia di lottare per un Paese migliore che si è ripetuta tante volte dinnanzi a fatti gravissimi come le stragi e le Br ed in occasioni meravigliose come i referendum sull' aborto ed il divorzio.
Oggi provo rabbia, ma temo di cadere nell'apatia prigioniero della melassa che soffoca il Paese.
Scusa lo sfogo, ma se non con una come te..con chi ?
Cara Franca, ci sono due righe per te.
;-) duccio
Grazie per aver ricordato la ricorrenza. Mi era sfuggita, ormai la mia memoria perde colpi o forse ci sono troppe brutte cose da ricordare.
Ciao.
Articolo lungo ma decisamente meritevole.
Soprattutto per chi -come me- non ha che una conoscenza molto blanda di quei fatti.
Abbiamo un elenco molto nutrito di stragi senza i veri colpevoli purtrtoppo....
Franca, nel mio blog c'è una cosa per te. Ciao!
Pure da me! Pure da me!! ;)
OT: idem come Flo cara Franca, spero non me ne voglia ma vista la motivazione non potevi "schivarlo" questo... ;-)
Un abbraccio
io ero nato e quella sera ero a Milano ad aspettare mia moglie che lavorava in Corso di Porta Vittoria e avrebbe dovuto proprio passare li davanti per venire in Piazza Duomo a prendere il Metrò.E' stato solo questione di orario perchè non rimanesse coinvolta nel caos di quel giorno.
In Italia mancano sempre i colpevoli e nessuno è mai responsabile di qualcosa.
E non credo che cambierà.
un buon articolo, che testimonia, aimè, di come ci si dimentichi spesso della storia senza sapere che, al contrario, questa non si dimentica mai di noi e periodicamente ritorna sui suoi passi. A volte sembra farlo per vedere se abbiamo capito la lezione, il guaio è che ci dimostriamo sempre impreparati.
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