La politica estera, si sa, è materia importante e delicata. È spesso lo specchio della cultura politica e della identità di chi la attua o la propugna ed è rilevatrice, più in generale, della propria visione del mondo.
Basti pensare alla discussione di questi giorni sulla Libia. Una discussione certamente complessa e rispetto alla quale vanno evitati gli slogan e le posizioni semplicistiche. Il recente ordine del giorno approvato dalla Direzione nazionale del Prc è positivo ed equilibrato, al pari della nota firmata dalla Federazione Mondiale della Gioventù Democratica (tradotta su questo blog), nella quale si riconosce l’esistenza all’interno della Libia di un conflitto non omogeneo (e non paragonabile per questo alle rivolte di Egitto e Tunisia), si condannano la repressione e le violenze inaccettabili delle forze governative e ci si schiera nettamente contro qualsiasi ingerenza esterna e contro qualsiasi ipotesi di intervento militare, fosse esso promosso dalla Nato, dagli Stati Uniti d’America, dall’Unione Europea o da qualunque Stato ex colonialista.
Ma c’è stato un altro Paese che negli ultimi giorni ha, almeno a sinistra, attirato l’attenzione e suscitato un dibattito. Ci riferiamo a Cuba, oggetto di un passaggio dell’intervento che Nichi Vendola ha pronunciato lunedì a Roma nel corso dell’assemblea nazionale di Sinistra Ecologia e Libertà. Vendola ha affermato che libertà e democrazia a Cuba non ci sono e ha indirizzato retoricamente a Cuba la domanda tanto cara ai movimenti («se non ora quando?»).
Nulla di nuovo, conoscendo non da oggi le posizioni di Nichi Vendola, simili a quelle espresse nel corso degli ultimi anni da Fausto Bertinotti e rispetto alle quali occorre ricordare – in spirito di onestà – che non vi fu in Rifondazione comunista negli anni passati la stessa reazione che oggi si è giustamente sollevata contro le parole di Vendola.
Ma torniamo al punto e al merito, perché la querelle che si è aperta ci consente più che di polemizzare, di parlare della realtà di Cuba.
Sin dal 1° gennaio 1959, quando il popolo cubano mise fine alla pagina tragica del colonialismo e delle dittature, Cuba combatte una vera e propria guerra contro l’imperialismo statunitense, che nel corso di tutti questi anni e indistintamente rispetto al colore politico della sue amministrazioni ha tentato di riprendere il controllo dell’isola sia con interventi economici di embargo (condannati ripetutamente ma senza esito dalle Nazioni Unite) sia con interventi diretti e indiretti di sabotaggio e di terrorismo che sono costati a Cuba più di 5000 vittime tra uccisi e feriti.
E pur tuttavia, in un contesto così drammatico e che avrebbe schiantato in pochi mesi qualsiasi altra esperienza di governo, Cuba resiste e resiste garantendo livelli di libertà, benessere e democrazia difficilmente eguagliabili nel contesto dell’America Latina.
Prendiamo il tema della libertà da due versanti solitamente utilizzati per screditare Cuba: la libertà della comunicazione e i diritti civili. Si deve sapere, allora, che il governo cubano ha recentemente varato, di concerto con il Venezuela di Chavez, un piano di sviluppo tecnologico che consentirà a tutti i cittadini cubani di essere raggiunti nei prossimi mesi dalla fibra ottica e cioè di entrare in comunicazione con il mondo attraverso Internet con una velocità di connessione 3000 volte superiore a quella attuale. Quanto ai diritti individuali, pochi anni fa è stata varata una legge che consente a chi abbia iniziato un percorso di cambiamento del proprio sesso di ottenere il nuovo documento d’identità ancora prima di effettuare l’operazione (al contrario di quel che avviene, come è noto, in Italia). E ciò, possiamo dirlo, se non è il simbolo di una grandissima attenzione ai diritti individuali, è certo un segnale molto incoraggiante.
Per non parlare della libertà dal bisogno, dalla miseria e dalla povertà a cui non solo i cittadini cubani erano condannati prima della Rivoluzione ma a cui sarebbero ancora condannati qualora lo Stato cubano avesse un governo simile a quelli che gli Stati Uniti d’America hanno imposto in questi decenni nel proprio «cortile di casa». Lo dimostrano i dati relativi alla mortalità infantile, alle aspettative di vita, alla disoccupazione, i tassi di povertà, di alfabetizzazione, il rapporto tra popolazione e medici, gli indici di sostenibilità ambientale. In breve, tutti quei dati statistici che registrano il grado di civiltà e di giustizia di un sistema sociale.
La democrazia, infine. Questo è il terreno più scivoloso, e su cui tante volte infatti siamo scivolati. Non è possibile contrapporre banalmente la democrazia borghese alla democrazia socialista. Questo perché i modelli più avanzati di «potere del popolo» (la democrazia consiliare, la democrazia progressiva) non hanno mai avuto applicazione integrale, come del resto l’idealtipo della democrazia liberale. Inoltre, il punto più alto di riflessione intorno alla democrazia nel nostro Paese ha coinciso con l’idea di coinvolgere le masse popolari in un processo di estensione delle garanzie democratiche, delle tutele e del pluralismo e non nella loro rozza rimozione. Tuttavia, analizzando non i modelli astratti ma i risultati concreti, possiamo dire che, al contrario di ciò che avviene nelle moderne democrazie liberali, a Cuba ogni cittadino ha il diritto di partecipare direttamente alla scelta (composizione delle liste) e al controllo dell’operato dei propri rappresentanti istituzionali. Non una delega passiva ai partiti (neppure al partito comunista cubano, che in quanto tale non partecipa alle elezioni) ma una forma di democrazia partecipata che coinvolge la società cubana sin nel più piccolo quartiere.
E ciò avviene senza che la politica possa essere né fonte di arricchimento economico (tutti gli eletti continuano a percepire lo stesso stipendio) né fonte di scalata sociale né forma di ulteriore dominio maschile sulla società né strumento di passivizzazione dell’elettorato. Al contrario di ciò che avviene in Italia, con stipendi elevatissimi, soprattutto per gli incarichi pubblici, una percentuale di partecipazione al voto sempre più bassa e una partecipazione delle donne alla politica semplicemente indecente.
Ci sono dei limiti a Cuba, delle contraddizioni? Ce ne sono, per esempio, sul terreno del funzionamento concreto della macchina democratica? Certo, come in tutte le esperienze politiche, come in tutte le cose umane.
Ma nessuno ci può impedire di guardare a Cuba con rispetto profondo e solidarietà.
Anche perché noi, donne e uomini di quest’Europa malata proprio di democrazia, di libertà e di benessere, faremmo davvero fatica a salire in cattedra, con il peso di una storia secolare di colonialismo, guerre e profondissime diseguaglianze sociali. Che, non a caso, vorrebbe rimanere coerente con se stessa anche nei confronti della Libia, aggredendo la sua sovranità e rapinando le sue risorse.
E allora, forse, dovremmo andare più a fondo e chiederci cos’è oggi la libertà e cos’è oggi la democrazia. E interrogarci su quale sia la libertà e la democrazia alle quali aspiriamo. Nella nostra parte del mondo, sicuramente una libertà e una democrazia diverse da quelle cubane. Ma senza dubbio distanti anni luce da questo sistema ingiusto e cattivo con i più deboli e servo e docile con i potenti. Forse è proprio questa la sfida: ricostruire, a partire dalle parole e dal loro significato, un nuovo orizzonte di senso, un nuovo immaginario, una prospettiva e una speranza.
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