venerdì 17 febbraio 2012

Quale ricordo?

Da Redlab di Simone Oggionni

Quando nel 2004 l’allora governo Berlusconi introdusse per legge il “Giorno del ricordo” ogni anno il 10 febbraio si ripete lo stesso rituale.
La pressoché totalità del mondo politico svolge la funzione che fino a pochi anni fa era appannaggio esclusivo della destra missina, irredentista e neofascista: organizza seminari, convegni, commemorazioni, non di rado manifestazioni di piazza e mobilitazioni vere e proprie. Buona parte del mondo accademico e di quella che con molta presunzione si ritiene l’élite intellettuale – basta sfogliare in questi giorni i più letti quotidiani nazionali – sale sul carro del vincitore e di tanto in tanto, all’approssimarsi della ricorrenza, dà in pasto all’opinione pubblica nuovi dettagli, nuove cifre, nuove ricostruzioni. Poco importa che si tratti in larga misura di vere e proprie mistificazioni.
Quel che rileva è che il rituale del 10 febbraio, con tutto ciò che muove, è tutt’altro che un rituale stanco e statico. Si tratta al contrario di un rituale dinamico, gravido di conseguenze e di capacità di costruire e a sua volta descrivere un “senso comune” che progressivamente, in questi anni, ha conquistato e conquista forza, valenza e significati che vanno ben oltre le stesse previsioni politiche ipotizzate dai promotori dell’iniziativa di legge.
E allora forse conviene fermarsi a riflettere, e provare a ragionare intorno a questi pochi elementi, che a me paiono di una qualche rilevanza.
Il primo: il “Giorno del ricordo” sceglie di fare i conti con una porzione di storia artificiosamente estrapolata dalle vicende precedenti la Liberazione di Gorizia del 1° maggio 1945. Affronta il tema delle foibe come se fossero un evento sconnesso dalla Storia. Quale storia? Vent’anni di regime fascista che, sul confine orientale, ha corrisposto alla persecuzione nazionalista e razzista di oltre mezzo milione di sloveni e croati che abitavano nei territori divenuti italiani dopo la fine della Prima Guerra Mondiale (divieto di parlare la propria lingua, soppressione delle associazioni slovene e croate, incarcerazione e condanna a morte dei resistenti), con il lugubre epilogo (1941-45) della guerra di aggressione nazifascista alla Jugoslavia e la deportazione nei campi di concentramento (Arbe/Rab, Gonars e molti altri) di migliaia di persone.
Il secondo: lo stesso utilizzo massiccio delle foibe, esattamente all’opposto di quello che si vuole fare credere, è storicamente riconducibile alle persecuzioni e alle esecuzioni di antifascisti (soprattutto slavi ma anche italiani) messe in atto a partire dal 1942 dal fascistissimo e italianissimo Ispettorato Speciale di Polizia per la Venezia Giulia.
Il terzo: quando nel 1943 sono anche i partigiani titini ad eseguire esecuzioni e ad utilizzare le foibe come luogo di sepoltura, le vittime sono nella stragrande maggioranza dei casi uomini compromessi con il fascismo (collaborazionisti a diverso titolo, come nella segnalazione di ebrei, allo scopo dei rastrellamenti, al “Centro per lo studio del problema ebraico” aperto nel giugno del 1942 a Trieste) quando non militari dell’esercito italiano prima e dell’esercito occupante tedesco poi. Questa è la realtà dei fatti. I documenti storiografici a disposizione di chi volesse studiare il fenomeno in maniera seria e rigorosa parlano di poche centinaia di persone uccise in Istria dopo l’insurrezione dell’8 settembre e la successiva rioccupazione da parte dei nazifascisti e di poche decine tra Trieste e Gorizia dopo il 1945.
Una gigantesca operazione di mistificazione storica, dunque. Che passa attraverso l’utilizzo di fatti specifici e circostanziati, collocati all’interno di quello scenario di guerra e di resistenza, allo scopo di riscrivere a proprio uso e consumo la storia nazionale, legittimandone le pagine peggiori e, di conseguenza, una presunta memoria condivisa che, nei fatti, è l’apologia del peggiore nazionalismo.
Qual è la relazione tra questo revisionismo storico e l’Italia di questi mesi? Ve ne sono molte, perché la cultura storiografica delle classi dominanti è parte della cultura complessiva delle classi dominanti. E questo, come sappiamo, accompagna e in una certa misura motiva e legittima le stesse classi dominanti e le loro scelte.
Nel nostro caso, l’operazione-foibe è funzionale alla costruzione di una narrazione utile a sdoganare protagonisti altrimenti impresentabili e, insieme ad essi, una vocazione interventista ed espansionistica e un abnorme orgoglio nazionale, cresciuto ancor più in corrispondenza delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
Non stupiamoci se tra qualche mese, se non tra qualche settimana, questi ingredienti verranno utilizzati per sorreggere una nuova operazione di guerra, questa volta molto probabilmente contro la Siria.
Un motivo in più per ricordare e ricordare a noi stessi il senso di questo 10 febbraio. Per ricordare tutto.

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