di Bruno Contini
Può la seconda fase del governo Monti fare a meno di un ripensamento sull’imposta patrimoniale e/o sulla tassa di successione? I problemi pratici che si frappongono all’introduzione di una imposta patrimoniale sono indubbiamente seri (al di là dell’opposizione politica che troverebbe in Parlamento). Ma sarebbe già un passo avanti se il governo annunciasse l’avvio di una credibile operazione volta a risolverne le modalità di applicazione e fornisse al vasto pubblico una spiegazione esauriente del perché l’Italia sia così diversa da tutti i paesi europei e di oltre Atlantico.
Dove tale imposta esiste, e fornisce un gettito importante, senza essere messa in discussione neanche dai partiti più conservatori. Ammesso che una valida spiegazione non si riduca alla ben nota questione del livello patologico di evasione fiscale e di esportazione di capitali verso i paradisi fiscali. Come se i paradisi fiscali servissero solo ai ricchi evasori italiani e non a quelli inglesi, tedeschi, francesi – perché ci sono anche quelli - oltre che ai russi e i padroni arabi del petrolio.
La nuova IMU potrebbe configurarsi come una imposta sul patrimonio immobiliare. Ma, sotto questo aspetto, sarebbe molto più equa e convincente se la prima casa ne rimanesse esente o comunque le fosse accordato un trattamento decisamente più privilegiato. La maggioranza degli italiani – anche quelli più tartassati dalla stretta fiscale della prima fase governo Monti - vivono in casa di proprietà. Senza contare che molti, proprietari di casa in una città dove sono nati o hanno avuto il primo lavoro, devono spostarsi altrove perché sono stati trasferiti o hanno trovato un nuovo lavoro, devono pagarsi l’affitto, o più spesso solo una parte di affitto, con il canone che percepiscono nel luogo di origine. Su cui pagano l’IRPEF e potrebbero essere chiamati a pagare l’IMU se non fosse previsto un meccanismo di esenzione non difficile da implementare.
Un’imposta patrimoniale, così come una IMU più equa di quella che sembra aspettarci, non produrrebbe ulteriori contrazioni dei consumi privati, e non avrebbe l’impatto recessivo che la stretta fiscale impone al paese.
E per finire, non si capisce per quale motivo “economico” non venga reintrodotta la tassa di successione, così amata dal vecchio Einaudi, il più illustre di tutti i liberali italiani, proprio in nome di una equità redistributiva che non dovrebbe premiare più di tanto i figli dei ricchi. Anche di questa, ovviamente, se ne capisce il motivo “politico”. Ma il governo dei tecnici non dovrebbe esserne continuamente condizionato, così come sembra darsi il caso su altri provvedimenti, primo fra tutti la riforma del mercato del lavoro.
da sbilanciamoci.info
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