Sopravvivere: questo è quello che si cerca di
fare quando muore una figlia.
Anzi, il primo desiderio è morire con lei perché
il dolore è talmente forte, talmente grande, talmente assurdo da sentirsi persi,
svuotati, annientati.
Il pozzo nel quale si precipita diventa sempre
più profondo, la sofferenza scava nell’animo e vi rimane. Per sempre.
Non c’è pace, ma solo tormento…
Il vuoto è infinito anche quando si tenta di dare un
senso a qualcosa che, invece, un senso non ce l’ha più.
E solo una madre (o un padre, anche se in maniera
diversa) che ha attraversato lo stesso dolore può comprendere realmente cosa
significhi la perdita di una figlia.
Si continua a vagare in un mare senza mai approdare
a nessuna sponda, senza una rotta, senza un timoniere che indichi la direzione.
Ci si sente un superstite, vulnerabile e disperato.
Ci si sente un superstite, vulnerabile e disperato.
Tutto è sospeso tra il ‘prima’ e il ‘dopo’, senza
più riferimenti certi, senza sicurezze se non la consapevolezza che il dolore non lo può togliere nessuno.
E la ferita resta aperta e così rimarrà per tutta
la vita…
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